Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28440 del 05/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 05/11/2019, (ud. 11/09/2019, dep. 05/11/2019), n.28440

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28913/2014 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati LUIGI

CALIULO, ANTONELLA PATTERI, SERGIO PREDEN, LIDIA CARCAVALLO;

– ricorrente –

contro

P.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE

MARCORA 18/20, presso l’UFFICIO LEGALE CENTRALE DEL PATRONATO ACLI,

rappresentata e difesa dall’avvocato GUIDO FAGGIANI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 231/2014 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

pubblicata il 07/08/2014 R.G.N. 112/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza

dell’11/09/2019 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ Stefano, che ha concluso per accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato LIDIA CARCAVALLO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 7.8.2014, la Corte d’appello di Trieste ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva dichiarato illegittima la pretesa dell’INPS di ripetere l’indebito maturato nei confronti di P.F. – quanto al periodo 1.1.2007 al 31.12.2010 – in ragione del fatto che le maggiorazioni sociali non spettanti in relazione all’entità del reddito familiare erano state corrisposte per mero errore dell’INPS, che era a conoscenza della circostanza che l’INPDAP erogava una pensione al marito della stessa.

2. La Corte territoriale ha respinto la tesi dell’Inps, secondo la quale il combinato della L. n. 88 del 1989, art. 52 e della L. n. 412 del 1991, art. 13, consentirebbe il recupero delle somme in questione in quanto indebitamente erogate dall’Istituto, alla sola condizione che il recupero avvenga entro l’anno successivo alla conoscenza o conoscibilità delle situazioni reddituali incidenti sulla misura o sul diritto alle prestazioni pensionistiche, mentre solo dopo la scadenza di questo termine la ripetibilità delle somme sarebbe condizionata all’accertamento del dolo del percettore.

3. Ad avviso della sentenza impugnata, invece, nel caso in esame, l’indebito era nato per errore dell’Inps sulla valutazione del reddito familiare nonostante l’Istituto sapesse della percezione della pensione da parte del marito della P., da qui inquadramento nell’ambito della L. n. 88 del 1989, citato art. 52, che, tuttavia, non poteva in concreto essere applicato in difetto del dolo della pensionata.

4. Avverso tale pronuncia l’INPS ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura. P.F. resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di censura, l’INPS denuncia violazione della L. n. 88 del 1989, art. 52, L.n. 412 del 1991, art. 13 e della L. n. 448 del 2001, art. 38, per avere la Corte di merito ritenuto che le somme indebitamente percepite dalla pensionata successivamente alla comunicazione dei dati sulla cui scorta l’INPS aveva rilevato, nell’anno successivo, la percezione indebita del trattamento pensionistico, fossero irripetibili per difetto di dolo.

2. motivo è fondato, essendosi chiarito che, ai fini dell’applicazione della L. n. 412 del 1991, art. 13, comma 2 (a norma del quale “l’INPS procede annualmente alla verifica delle situazioni reddituali dei pensionati incidenti sulla misura o sul diritto alle prestazioni pensionistiche e provvede, entro l’anno successivo, al recupero di quanto eventualmente pagato in eccedenza”), non si richiede l’accertamento del dolo dell’assicurato o l’esistenza di un provvedimento dell’Istituto di attribuzione del bene della vita oggetto di recupero, ma rileva semplicemente il controllo delle date in cui la comunicazione dell’assicurata è avvenuta e la tempestività della richiesta dell’Istituto rispetto ad esse (così Cass. n. 3215 del 2018, in motivazione; Cass. nn. 15039 e 2802 del 2019), di talchè, una volta che il pensionato abbia comunicato i dati rilevanti ai fini della verifica della persistenza delle condizioni legittimanti la corresponsione del trattamento pensionistico (prima del quale adempimento il termine annuale non decorre: così Cass. n. 953 del 2012), debbono considerarsi ripetibili tutte le somme che siano state erogate in eccesso rispetto al dovuto.

3. Si è, infatti, chiarito che la previsione dell’art. 13, comma 2, a differenza di quanto stabilito nel comma 1, non richiede alcun accertamento del dolo dell’assicurato o dell’esistenza di un provvedimento dell’Istituto di attribuzione del bene, ma impone soltanto il controllo delle date in cui la comunicazione dell’assicurata è avvenuta e la tempestività della richiesta dell’Istituto rispetto ad esse.

4. In particolare, questa Corte di legittimità (Cass. n. 1228 del 2011; Cass. 24 gennaio 2012, n. 953 e, più di recente, Cass. 26 luglio 2017, n. 18551), nel delineare il meccanismo di operatività proprio della fattispecie normativa in esame ha precisato che essa non richiede l’accertamento del dolo dell’accipiens ed ha ricordato che la materia relativa all’onere di comunicazione dei dati reddituali incidenti sul diritto e sulla misura delle prestazioni previdenziali ed assistenziali, è stata più volte modificata dal legislatore (D.L. n. 207 del 2008, art. 35, comma 8, convertito in L. n. 14 del 2009, i cui commi 11, 12 e 13, sono stati poi abrogati dal primo gennaio 2010 dal D.L. n. 78 del 2009, nonchè art. 15, convertito in L. n. 102 del 2009, che ha precisato che la materia è stata ancora parzialmente modificata dal D.L. n. 78 del 2010, art. 13, comma 6, convertito in L. n. 122 del 2010) ma è però sempre rimasto in vigore, nonostante i mutamenti delle modalità di comunicazioni reddituali, l’obbligo dell’Inps di procedere annualmente alla verifica e di provvedere al recupero, entro l’anno successivo di quanto pagato in eccedenza.

5. Inoltre, le Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 18046 del 04/08/2010, hanno affermato che “In tema d’indebito previdenziale, nel giudizio instaurato, in qualità d’attore, dal pensionato che miri ad ottenere l’accertamento negativo del suo obbligo di restituire quanto l’ente previdenziale abbia ritenuto indebitamente percepito, l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto a conseguire la prestazione contestata, ovvero l’esistenza di un titolo che consenta di qualificare come adempimento quanto corrisposto, è a suo esclusivo carico”. Nella fattispecie le S.U. hanno ritenuto che spettasse al pensionato-attore l’onere di provare il mancato superamento della soglia del reddito per l’attribuzione della quota d’integrazione al minimo, contestata dall’Ente previdenziale in sede di richiesta stragiudiziale di ripetizione della maggior somma erogata. Ne consegue che – contrariamente a quanto affermato dalla sentenza impugnata – spettava non all’Inps ma alla pensionata, originaria ricorrente, di dimostrare le condizioni per la irripetibilità dell’indebito alla luce della L. n. 88 del 1989, art. 52, come autenticamente interpretato dalla L. n. 412 del 1991, art. 13.

6. Al riguardo, come emerge anche dalla stessa sentenza impugnata, l’Inps si è attivato tempestivamente per la verifica delle situazioni reddituali della pensionata incidente sul diritto o sulla misura delle pensioni, come prescritto del citato art. 13, comma 2, in difetto di comunicazioni da parte della pensionata, posto che l’attivazione in tal senso dell’Istituto ha come presupposto la segnalazione da parte dell’interessato di fatti incidenti sul diritto a pensione o sulla sua misura, se sconosciuti all’ente erogatore, mentre, in mancanza di tale segnalazione la seconda parte del citato art. 13, comma 1, consente la ripetibilità senza il limiti temporale annuale delle somme indebitamente percepite. Nella specie l’indebito poteva quindi essere recuperato alla luce del disposto della L. n. 412 del 1991, art. 13, comma 2.

5. Non essendosi la Corte di merito attenuta al superiore principio di diritto, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata per nuovo esame alla Corte d’appello di Venezia, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata in parte qua e rinvia la causa alla Corte d’appello di Venezia, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2019

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