Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28438 del 14/12/2020

Cassazione civile sez. III, 14/12/2020, (ud. 14/10/2020, dep. 14/12/2020), n.28438

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 13166/17 proposto da:

-) Comune di Parolise, elettivamente domiciliato a Roma, via Bafile

n. 5, difeso dall’avvocato Fioravante Del Giudice, in virtù di

procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Banco di Napoli s.p.a., in persona del proprio rappresentante

volontario Italfondiario s.p.a., elettivamente domiciliato a Roma,

via Luigi Lilio n. 95, difeso dall’avvocato Teodoro Carsilio in

virtù di procura speciale apposta in margine al controricorso;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

nonchè

T.M., + ALTRI OMESSI;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli 24 marzo 2017 n.

1364;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14 ottobre 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

viste le conclusioni scritte del Procuratore Generale.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 1989 il Comune di Parolise concluse una convenzione con la Cooperativa “Parco il Galiziano” (d’ora innanzi, per brevità, “la Cooperativa”) in virtù della quale:

-) il Comune si obbligava ad espropriare vari fondi privati ed a concedere alla Cooperativa il diritto di superficie su essi, per costruirvi immobili di edilizia economica e popolare;

-) la Cooperativa avrebbe rimborsato il Comune dei costi sostenuti per l’espropriazione dei terreni e per gli oneri di urbanizzazione.

2. La Cooperativa per la realizzazione del progetto stipulò un mutuo con la banca Cariplo (le cui obbligazioni, per effetto di successive fusioni ed incorporazioni, pervennero infine alla Banco di Napoli s.p.a.; d’ora innanzi, per brevità, “la Banca”) per l’importo di 1,4 miliardi di vecchie Lire.

La restituzione venne garantita – secondo quanto riferito dal ricorso da ipoteca iscritta sugli immobili da costruire (così il ricorso, p. 5; tuttavia a p. 4, punto C, del controricorso si legge che l’ipoteca fu iscritta “sulle aree oggetto della Convenzione”, ed a p. 12 della sentenza si legge che l’ipoteca fu iscritta “sul diritto di superficie”), ai sensi e per i fini previsti dal combinato disposto del D.L. 23 gennaio 1982, n. 9, art. 5 e del D.L. 13 agosto 1975, n. 376, art. 10 ter.

3. Insorta controversia tra il Comune di Parolise ed i proprietari dei fondi da espropriare, nel corso della lite i proprietari dei fondi espropriandi accettarono la somma offerta loro dal Comune, e desistettero dalla domanda. Il Tribunale di Avellino, organo investito della suddetta controversia, con sentenza passata in giudicato ritenne che il Comune fosse divenuto proprietario dei fondi da espropriare per effetto di “cessione bonaria”, a decorrere dal 31 gennaio 1994.

4. Nel frattempo, poichè la Cooperativa non aveva adempiuto agli obblighi assunti nei confronti del Comune, quest’ultimo dapprima chiese ed ottenne un decreto ingiuntivo nei confronti della Cooperativa (4 luglio 1994), avente ad oggetto il pagamento delle somme ancora dovute dalla Cooperativa al Comune a titolo di rimborso delle spese da questo sostenute per l’espropriazione e per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione; quindi con Delib. 21 dicembre 1994 dichiarò la Cooperativa decaduta dal diritto di superficie concessole con la convenzione del 1989.

La Cooperativa propose opposizione al suddetto decreto ingiuntivo, la quale venne rigettata.

5. Concluso il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, nel 1997 il Comune di Parolise con pignoramento del 20.2.1997 (così il ricorso; nel controricorso e nella sentenza impugnata è indicata la diversa data del 18.4.1997) iniziò l’esecuzione forzata per espropriazione su cinque villette che, nelle more dei giudizi sopra richiamati, la Cooperativa aveva nel frattempo edificato.

Nella procedura intervenne la Banca, originariamente senza titolo; nel corso della procedura si munì anch’essa di titolo esecutivo, costituito da un decreto ingiuntivo.

6. Pendente la suddetta procedura esecutiva, trascorsi quattro anni dall’inizio di essa e dopo che era stata già fissata l’udienza della vendita, il Comune di Parolise depositò una istanza con cui chiese al giudice dell’esecuzione di dichiarare quest’ultima “improcedibile”.

A fondamento di questa richiesta il Comune articolò il seguente ragionamento:

-) la Cooperativa era stata dichiarata decaduta dal diritto di superficie con una Delib. comunale del 1994;

-) per effetto di tale decadenza, gli immobili costruiti dalla Cooperativa sul terreno di proprietà comunale erano divenuti di proprietà di quest’ultimo per accessione;

-) di conseguenza la procedura esecutiva si stava celebrando nei confronti di un soggetto (la Cooperativa) che non era più titolare di alcun diritto reale sui beni pignorati.

7. Il giudice dell’esecuzione, dopo vari e reiterati rinvii protrattisi per sei anni, nel 2007 adottò un provvedimento con cui:

-) ritenne che l’istanza depositata dal Comune andasse qualificata come “opposizione all’esecuzione”;

-) sospese l’esecuzione, ritenendo che questa ormai avesse ad oggetto “beni e diritti dei quali la debitrice non era più titolare, con conseguente illegittimità dell’instaurazione del processo esecutivo”;

-) fissò “a chi di interesse” il termine per l’introduzione del giudizio di merito.

8. La Banca, in ossequio tale ordinanza, introdusse il giudizio di merito, all’esito del quale il Tribunale di Avellino, con sentenza n. 501 del 2012, dichiarò l’inesistenza del diritto della Banca a procedere all’espropriazione forzata delle cinque villette edificate dalla Cooperativa.

Il Tribunale a fondamento di tale decisione pose una motivazione così riassumibile:

-) l’ipoteca iscritta su immobili da costruire da parte di una società concessionaria del diritto di superficie (ai sensi del combinato disposto del D.L. n. 376 del 1975, art. 10 ter e D.L. n. 9 del 1982, art. 5) è inefficace fino a quando non venga trascritta la convenzione di edificazione stipulata tra il Comune e l’ente concessionario, e tale fatto non era stato dimostrato;

-) in ogni caso l’ipoteca iscritta su immobili da costruire da parte di una società concessionaria del diritto di superficie (ai sensi del combinato disposto del D.L. n. 376 del 1975, art. 10 ter e D.L. n. 9 del 1982, art. 5) è inefficace fino a quando l’ente concedente (nella specie, il Comune) non acquisti la proprietà delle aree su cui concedere il diritto di superficie, e l’acquisti per effetto di una espropriazione per pubblica utilità svoltasi regolarmente fino alla fine;

-) nel caso di specie la procedura di espropriazione per pubblica utilità non si era svolta regolarmente, in quanto si era conclusa con un “accordo bonario”;

-) la “cessione bonaria” dei fondi da parte dei proprietari in favore del Comune era inidonea a rendere efficace l’ipoteca concessa dalla Cooperativa alla banca, perchè non risultava che fosse avvenuta con atto pubblico.

9. Tale sentenza venne appellata dalla Banca.

L’atto d’appello venne notificato alla Cooperativa in bonis.

10. Con sentenza 24 marzo 2017 n. 1364 la Corte d’appello di Napoli accolse il gravame, e dichiarò “l’esistenza del diritto di Italfondiario a procedere ad esecuzione forzata sui beni pignorati dal Comune con atto del 20 febbraio 1997”.

La Corte d’appello ritenne che:

-) le convenzioni stipulate tra Comune e Cooperativa erano state debitamente trascritte; si era verificato quindi il presupposto per l’operatività dell’ipoteca iscritta su beni altrui ai sensi del D.L. n. 9 del 1982, art. 5;

-) la procedura di espropriazione per pubblica utilità si era regolarmente conclusa con gli atti di cessione bonaria dei fondi;

-) che i fondi fossero divenuti di proprietà del Comune per effetto di cessione bonaria era stato accertato dal Tribunale di Avellino con la sentenza (passata in giudicato) pronunciata all’esito del giudizio introdotto dai proprietari espropriati nei confronti del Comune, ed era perciò questione non più controvertibile;

-) a fronte del suddetto giudicato, la mancanza di un atto pubblico di cessione era irrilevante;

-) poichè l’espropriazione per pubblica utilità si era dunque svolta regolarmente, il Comune doveva ritenersi proprietario delle aree suddette a far data dal provvedimento di cessione bonaria, ovvero dal 31 gennaio 1994;

-) poichè la convenzione stipulata tra il Comune la Cooperativa prevedeva che questa avrebbe acquistato il diritto di superficie automaticamente a partire dal momento in cui il Comune sarebbe divenuto proprietario delle aree da edificare, la Cooperativa aveva acquisito il diritto di superficie dal 31 gennaio 1994, e lo aveva conservato fino all’adozione della Delib. comunale di decadenza della Cooperativa dalla proprietà superficiaria, adottato il 21 dicembre 1994;

-) di conseguenza, in virtù di quanto previsto dal D.L. n. 9 del 1982, art. 5 l’ipoteca concessa dalla Cooperativa alla banca “sul diritto di superficie” aveva acquistato efficacia sin dal 31 gennaio 1994, e per effetto della decadenza avvenuta a dicembre dello stesso anno, il Comune era subentrato ex lege negli obblighi assunti dalla Cooperativa verso la banca mutuante, ai sensi della L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 87.

11. Tale sentenza è stata impugnata per cassazione dal Comune di Parolise, con ricorso fondato su cinque motivi ed illustrato da memoria.

Ha resistito con controricorso la Italfondiario, quale rappresentante volontario del Banco di Napoli, la quale ha altresì proposto ricorso incidentale condizionato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il comune lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità del giudizio di appello.

Deduce che l’atto d’appello proposto dalla Banca venne notificato alla Cooperativa in bonis, mentre la suddetta società era stata disciolta e cancellata dal registro delle imprese già il 30 gennaio 2012, e cioè non solo prima della notifica dell’atto d’appello, ma addirittura prima ancora della pronuncia della sentenza di primo grado.

Ne trae la conclusione che erroneamente la Corte d’appello ha dichiarato “contumace” un soggetto estinto, e che l’appello doveva essere dichiarato inammissibile perchè non proposto nei confronti della giusta parte.

1.1. La Banca ha replicato a tale censura formulando un’eccezione così riassumibile:

-) l’estinzione d’una società comporta la successione ad essa dei soci, neì limiti delle somme ricevute col bilancio finale di liquidazione;

-) nel caso di specie la Cooperativa è stata cancellata dal registro delle imprese ai sensi dell’art. 223 septiesdecies disp. att. c.c., e dunque sul presupposto dell’assenza di “valori patrimoniali immobiliari”;

-) ergo, i soci della Cooperativa non sono divenuti successori della Cooperativa disciolta, e non erano legittimati passivi nel giudizio di appello.

Aggiunge che in ogni caso, essendo divenuto il Comune proprietario delle aree e degli immobili per effetto della dichiarazione di decadenza della Cooperativa dal diritto di superficie, questi era da considerarsi ipso iure un successore processuale del debitore esecutato, e avendo egli partecipato al giudizio, nessun vulnus all’integrità del contraddittorio si è verificato.

1.1. L’eccezione è in parte inammissibile, ed in parte infondata.

Inammissibile è la suddetta eccezione nella parte in cui deduce che i soci della disciolta Cooperativa nulla hanno acquisito dal bilancio finale di liquidazione, e dunque non sarebbero successori della stessa. Tale circostanza, infatti, è una questione di puro fatto, che non può essere accertata in questa sede.

L’eccezione è invece infondata nella parte in cui vi si sostiene che il Comune nessun pregiudizio avrebbe subito per effetto della mancata partecipazione al giudizio d’appello dei soci della disciolta cooperativa. Lo stabilire, infatti, se il Comune fosse o non fosse successore della Cooperativa nell’obbligazione di questa verso la banca era un posterius, e non un prius, rispetto all’integrità del contraddittorio. Ed infatti la qualità del Comune di successore della cooperativa non poteva che essere accertata nei confronti della Cooperativa ovvero, disciolta questa, dei suoi soci, nei limiti in cui ciò sia consentito dal diritto societario.

Nel presente giudizio, dunque – il cui oggetto, non va dimenticato, è la proseguibilità dell’espropriazione forzata introdotta dal Comune e coltivata dalla Banca – prima doveva costituirsi un valido contraddittorio, e poi si sarebbe dovuto stabilire se vi fosse, e chi fosse, un successore del debitore esecutato.

1.2. Nel merito, il motivo è fondato.

Il processo d’appello si è infatti svolto pacificamente nei confronti d’un soggetto inesistente, cioè la Cooperativa in bonis.

La sentenza è quindi nulla e va cassata con rinvio – al contrario di quanto richiesto dal comune di Parolise -, in quanto nel giudizio di opposizione all’esecuzione il debitore esecutato è litisconsorte necessario (ex permultis, Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 4763 del A4. 19/02/2019, Rv. 653012 – 01; Sez. L, Sentenza n. 9645 del 21/07/2000, Rv. 538672 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 4607 del 11/05/1994, Rv. 486579 – 01).

Pertanto, poichè l’appello è stato comunque tempestivamente proposto contro il Comune, la Corte d’appello avrebbe dovuto ordinare l’integrazione del contraddittorio ex 331 c.p.c. nei confronti dei litisconsorti.

1.3. Nel giudizio di rinvio, ovviamente, valuterà il giudice di merito se il Comune abbia o non abbia interesse a coltivare il presente giudizio di opposizione all’esecuzione.

1.4. I restanti motivi di ricorso restano assorbiti, così come il ricorso incidentale.

2. Le spese.

Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.

P.Q.M.

la Corte di cassazione:

(-) accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbiti i restanti motivi ed il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2020

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