Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28436 del 14/12/2020

Cassazione civile sez. III, 14/12/2020, (ud. 10/09/2020, dep. 14/12/2020), n.28436

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28155-2019 proposto da:

H.J., elettivamente domiciliato in Milano, corso XXII Marzo,

n. 4, presso l’avv. GAETANO BOSCO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 12/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/09/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il ricorrente, H.J., è cittadino del (OMISSIS).

Racconta di essere fuggito dal suo paese per il suo rifiuto di abbracciare la religione (OMISSIS) e per le conseguenti reazioni del padre, della famiglia di origine, nonchè dei sui compaesani.

Ha anche riferito che, nella sua città, aveva un lavoro di piastrellista, e che qui, dove ha una sorella sposata che vive stabilmente in Italia, ha trovato un lavoro a tempo indeterminato, regolarmente retribuito, ed ha preso una casa in locazione.

Ha chiesto il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione internazionale e di quella sussidiaria.

La Commissione Territoriale ha rigettato le sue richieste, ed analogamente ha fatto il Tribunale di Milano.

Il ricorrente propone avverso tale decisione un motivo di ricorso. Non v’è costituzione con controricorso del Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- La ratio della decisione impugnata.

Il Tribunale di Milano ritiene inverosimile il racconto del ricorrente, e dunque la possibilità che questi subisca ritorsioni gravi alla sua persona in caso di rimpatrio per motivi religiosi; esclude che vi sia peraltro in (OMISSIS) una situazione di conflitto generalizzato tale da esporre a rischio i civili presenti sul territorio; infine, ed è quanto ci interessa maggiormente, il Tribunale esclude altresì che possa riconoscersi il permesso di soggiorno per motivi umanitari, atteso che il livello di integrazione in Italia non è tale da giustificare protezione, e che comunque il ricorrente potrebbe trovare un lavoro in (OMISSIS), mantenendo il livello di vita acquisito.

2.- Il ricorrente contesta questa ratio con un solo motivo, che denuncia violazione della L. n. 268 del 1998, art. 5 e dunque la censura è limitata al solo capo di sentenza che rigetta la richiesta di permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il ricorrente lamenta una erronea applicazione del criterio di comparazione tra la sua situazione in Italia, ossia il livello di integrazione raggiunto, e la situazione del paese di origine, ossia l’eventualità che quel livello di integrazione venga perduto in caso di rimpatrio.

Rileva non solo che gli indici da lui allegati a sostegno della sua integrazione sono significativi (lavoro stabile, a tempo indeterminato, locazione di un immobile, conoscenza della lingua italiana), ma altresì che il tempo trascorso dall’allontanamento dal suo Paese rende impossibile un reinserimento che garantisca la condizione di vita ormai raggiunta in Italia.

Il motivo è fondato.

Va ricordato che il giudizio circa la vulnerabilità dello straniero ai fini della protezione umanitaria presuppone che si consideri da un lato il livello di integrazione raggiunto e dall’altro se, data la situazione del paese di origine, il rimpatrio possa far perdere la condizione acquisita in Italia, per via della integrazione sociale raggiunta (Cass. Sez. U. 29459/ 2019).

Si tratta di un accertamento in fatto, riservato al giudice di merito, che però non è del tutto insindacabile in sede di legittimità, dove invece può essere censurato in quanto valutazione del fatto ai fini della sua riconducibilità alla clausola generale: altro, ad esempio, è accertare quale sia il livello di integrazione raggiunto dallo straniero, altro è valutare se tale livello sia tale da rientrare nella previsione di legge, ossia sia tale che la sua perdita, in caso di rimpatrio renda vulnerabile il ricorrente.

Da questo punto di vista, la corte di merito ha ritenuto che un lavoro a tempo indeterminato ed ovviamente regolarizzato, un contratto di locazione e la conoscenza della lingua italiana non integrino un adeguato livello di integrazione in Italia; e si tratta già di per sè di una valutazione che tenendo conto del parametro normativo (L. n. 286 del 1998, art. 5) non è corretta, non potendosi richiedere altro da uno straniero, oltre che lavorare in modo stabile, conoscere la lingua, avere un alloggio con mezzi propri. Ma soprattutto, non si è tenuto conto adeguatamente ai fini del giudizio di vulnerabilità del tempo trascorso dall’allontanamento dal paese di origine, che incide inevitabilmente sulla possibilità di reintegrazione e dunque sulla possibilità dello straniero di recuperare nel suo paese le condizioni di vita raggiunte in Italia e perdute a causa del rimpatrio. Il ricorso va pertanto accolto.

P.Q.M.

La corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Milano, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 10 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2020

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