Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28435 del 05/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 05/11/2019, (ud. 26/06/2019, dep. 05/11/2019), n.28435

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. CIRIELLO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13189/2015 proposto da:

M.V., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato MICHELE MISCIONE;

– ricorrente –

contro

FLYER S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA BOLOGNA 6, presso lo

studio dell’avvocato MARIO CAPUANO, rappresentata e difesa dagli

avvocati ROMINA FILIPPINI e ANNA ARDITO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 78/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 17/02/2015, R.G.N. 499/2013.

Fatto

RILEVATO

che il Tribunale di Bologna ha accolto la domanda proposta da M.V. e ne ha dichiarato illegittimo il licenziamento del maggio 2011, confermando, altresì, il decreto ingiuntivo emesso con il quale il datore di lavoro era stato condannato al pagamento dell’indennità sostitutiva per 62 giorni di ferie non godute (Euro 7.698,77) e del T.f.r., calcolati al lordo;

che la Corte di appello di Bologna, con la sentenza n. 78 del 17.2.2015, per quanto qui rileva, in riforma della sentenza di primo grado del Tribunale di Bologna, quanto ai capi appellati, ha respinto la domanda di impugnazione del licenziamento proposta da M.V. ed ha dichiarato non dovuta la somma già ingiunta e confermata in primo grado, di Euro 7.698,77, e dovuto il TFR, tuttavia poichè calcolato al lordo e non al netto dell’imposta erariale;

che a fondamento del decisum, la Corte territoriale ha ritenuto che dal materiale probatorio raccolto non emergesse prova della prestazione di lavoro straordinario da cui scaturiva il diritto alla corresponsione di somme per giorni di riposo/ferie non godute, risultando quindi irrilevante la prova circa l’esistenza di accordo di conversione della monetizzazione in giornate aggiuntive (cfr. pag. 4 sentenza impugnata);

che licenziamento dovesse ritenersi legittimo, risultando provata l’effettività del riassetto organizzativo e l’impossibilità del repechage della lavoratrice, anche alla luce della mancata contestazione del calo del fatturato e del ridimensionamento non contingente della forza lavoro; la corte, in particolare, valorizzava il dato dell’assenza di nuove assunzioni nelle stesse mansioni amministrative svolte dalla lavoratrice e la circostanza che il datore di lavoro avesse rispettato il criterio della anzianità (cfr. ult. cpv di p. 10 sentenza).

che avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione M.V. affidato a due motivi, illustrati da successive memorie;

che FLYER s.p.a. ha resistito con controricorso;

che il P.G. non ha formulato richieste scritte.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso per cassazione, in sintesi, si censura:

1) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio di discussione tra le parti, quale l’accordo tra le parti di conversione della monetizzazione delle ore di lavoro straordinario prestato dalla lavoratrice in giornate aggiuntive di ferie;

2) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, artt. 3, 5, artt. 1175,1375 c.c., per difetto di prova, a carico del datore di lavoro, dell’effettività del giustificato motivo oggettivo (per calo di fatturato), della soppressione effettiva del posto di lavoro della lavoratrice (responsabile dell’ufficio amministrazione), della necessità di riorganizzazione aziendale e comunque del nesso di causalità tra questa e il licenziamento, nè dell’impossibilità di assegnazione ad altre mansioni, anche inferiori;

che il primo motivo è infondato;

ed infatti il fatto storico denunciato come non esaminato (il suddetto accordo di “flessibilità”), in realtà risulta oggetto di specifico esame e valutazione da parte del giudice di merito che (cfr. p. 3 sentenza) ne esclude la rilevanza alla luce della mancata prova del lavoro straordinario;

pertanto il motivo, pur se formalmente devoluto ai sensi del novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. s.u. 7.4.2014 n. 8053; Cass. s.u. 22.9.2014 n. 19881), consiste in una sostanziale contestazione (come in particolare dal penult. Cpv. di p. 30 al 1 cpv. di p. 31 del ricorso per cassazione) della valutazione probatoria e dell’accertamento in fatto della Corte, congruamente argomentato in base all’attento scrutinio delle risultanze istruttorie;

che il secondo motivo di ricorso è invece fondato;

la corte di appello, pur avendo verificato l’effettività delle ragioni inerenti l’attività produttiva e l’organizzazione del lavoro (evidenziando la prova del calo di fatturato da Euro 18.349.991 dell’anno 2010 a Euro 14.799.074 dell’anno 2011, anno di intimazione del licenziamento impugnato, nonchè l’avvenuto ridimensionamento non contingente della forza lavoro da 23 a 13 unità rispettivamente dall’inizio alla fine dell’anno 2011: (cfr. p. 10 della sentenza impugnata), elementi rilevanti anche in relazione al più recente e consolidato indirizzo di questa Corte, per cui non occorre la prova dell’andamento economico negativo dell’azienda, siccome non integrante un presupposto fattuale ai fini della legittimità del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo (Cass. 19.12.16, n. 25201; Cass. 3.5.17, n. 10699; Cass. 15.1.19, n. 828), risulta tuttavia aver omesso ogni accertamento in concreto circa la sussistenza del collegamento eziologico tra le accertate ragioni ed il mutamento organizzativo.

Ed infatti, al riguardo, la corte di appello si limita alla affermazione della possibilità astratta per il datore di modulare il riassetto organizzativo (cfr. pag. 4 sentenza) senza tuttavia dare conto del nesso causale tra le accertate ragioni e l’effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa.

Questa corte, sul punto (cfr. Cass. 19.12.16, n. 25201), pur avendo riconosciuto il diritto del datore di lavoro ad una diversa ripartizione di determinate mansioni fra più dipendenti ha rimarcato la indispensabilità della verifica del rapporto di congruità causale fra la scelta imprenditoriale e il licenziamento, non risultando sufficiente che i compiti un tempo espletati dal lavoratore licenziato siano stati distribuiti ad altri, essendo necessario che tale riassetto sia all’origine del licenziamento anzichè costituirne mero effetto di risulta (Cass. 28.9.16, n. 19185; Cass. 6.12.17, n. 29238).

Nel caso di specie, la Corte di appello, una volta ritenuta la suddetta effettività di ragioni alla base del licenziamento, ha direttamente verificato la correttezza del procedimento di praticabilità del repechage e del criterio di scelta in base all’anzianità professionale (cfr. pag. e 3 e 4 sentenza), senza alcun cenno al pregiudiziale accertamento del suindicato nesso di causalità, assorbente ogni successiva verifica; che alla stregua di quanto esposto il ricorso deve, pertanto, essere accolto quanto al secondo motivo, rigettato il primo e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di appello di Bologna in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo rigettato il primo motivo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla corte di appello di Bologna in diversa composizione cui demanda anche la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 26 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2019

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