Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28433 del 19/12/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 28433 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: ARIENZO ROSA

SENTENZA
sul ricorso 20517-2010 proposto da:
SARCHESE DORA C.F. SRCDR045P65G141B, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE DEI PARIOLI 76, presso lo
studio dell’avvocato D’AMORE SEVERINO, rappresentata
e difesa dall’avvocato GIALLORETO GIUSEPPE, giusta
delega in atti;
– ricorrente –

2013
2992

contro

I.N.A.I.L – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE
CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO C.F. 01165400589, in
persona del legale rappresentante pro tempore,

Data pubblicazione: 19/12/2013

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE
144, presso lo studio degli avvocati LA PECCERELLA
LUIGI, FABBI RAFFAELA, giusta delega in atti;
– controri corrente –

avverso la sentenza n. 597/2009 della CORTE D’APPELLO

1271/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 23/10/2013 dal Consigliere Dott. ROSA
ARIENZO;
udito l’Avvocato PUGLISI LUCIA per delega LA
PECCERELLA LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

di L’AQUILA, depositata il 27/10/2009 R.G.N.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 27.10.2009, la Corte di Appello di L’Aquila respingeva il gravame
proposto da Sarchese Dora avverso la pronunzia del Tribunale di Chieti che ne aveva
rigettato la domanda intesa ad ottenere la rendita come coniuge superstite di persona
deceduta a seguito di infortunio sul lavoro. Rilevava la Corte territoriale che il coniuge
della Sarchese — D’Auria Domenico – era deceduto mentre svolgeva lavori di potatura

conseguito il decesso, ma che non era stato provato dalla parte oneratane che l’attività di
lavoro agricolo svolta fosse di carattere prevalente, risultando a nome del soggetto
infortunato un reddito pensionistico ed un reddito come amministratore di società
commerciale, diversi da quello di coltivatore diretto.
Per la cassazione della indicata decisione ricorre la Sarchese, affidando l’impugnazione a
quattro motivi, illustrati con memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Resiste l’INAIL, con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la ricorrente denunzia omessa e/o insufficiente motivazione circa un
fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’ art. 360, n. 5, c.p.c., osservando
che non è contestata l’attività agricola manuale abituale e continuativa espletata dal
D’Auria a favore dell’azienda agricola della moglie, essendo, invece, dibattuta la questione
di diritto concernente la necessità — ai fini della tutela assicurativa — della prevalenza
quantitativa ed economica di tale attività rispetto ad altre e ad ulteriori fonti di reddito.
Sostiene che la ricostruzione della fattispecie concreta è errata — essendo stato il D’Auria
qualificato come coltivatore diretto autonomo e non come lavoratore-coniuge della
Sarchese, che prestava attività lavorativa nell’azienda agricola e sui terreni di costei — e
che tale ricostruzione ha inficiato la decisione, che è stata basata su fallaci presupposti di
fatto.
Con il secondo motivo, la Sarchese lamenta violazione e/o erronea applicazione dell’art.
205, lett. B) del d.p.r. 1124/65, nonché di ogni altra norma e principio in tema di
indennizzabilità degli infortuni sul lavoro e degli artt. 2116 c. c., 67 D.P.R. 1124/65, nonché

venendo in contatto con un compressore che gli aveva procurato numerosi traumi cui era

,

di ogni altra norma e principio in tema di automatismo delle prestazioni assicurative e
previdenziali obbligatorie, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c.. Evidenzia che l’art. 205 d.P.R.
1124/65 dispone che sono assicurati contro gli infortuni sul lavoro in agricoltura “i
proprietari, … loro coniuge e figli” che prestino opera manuale abituale nelle rispettive
aziende, non stabilendo nè che debba trattarsi di attività prevalente, né quale debba
essere la proporzione dell’opera manuale rispetto a quella totale ed a quella non manuale,

norma non contiene neanche un riferimento alla prevalenza del reddito collegato all’attività
agricola rispetto a quello proveniente da altre attività e sostiene che sia sufficiente per il
godimento della tutela assicurativa che il coniuge espleti attività di lavoro agricolo abituale
e continuativa. La circostanza che l’infortunato non era assicurato presso l’INAIL per tale
attività lavorativa non costituiva, poi, ulteriore autonoma ratio decidendi e, peraltro, afferma la ricorrente — per il principio dell’automatismo, il diritto della persona tutelata
prescinde dalla stipulazione dell’assicurazione e dal versamento di contributi e, quindi, ove
si verifichi l’evento previsto dalla legge per l’attribuzione delle prestazioni, l’istituto
assicuratore è tenuto ad eseguire le prestazioni stesse. Aggiunge, infine, la Sarchese,
che neanche l’omissione contributiva precluderebbe la nascita del diritto alle prestazioni
assicurative, rilevando la stessa solo nel senso di determinare l’obbligo di pagamento dei
contributi omessi.
Con il terzo motivo, si duole della violazione e/o erronea applicazione — sotto altro profilo dell’art. 205 lett. B) e A) del d.P.R. 1124/65, anche in relazione agli artt. 35 e 38 della
Costituzione, nonché di ogni altra norma e principio in tema di indennizzabilità degli
infortuni sul lavoro dei coniugi e familiari dei proprietari e titolari di aziende agricole,
ancorchè non legati da un rapporto di lavoro subordinato ovvero da altro rapporto
lavorativo ad esso assimilabile od analogo di carattere oneroso con i predetti proprietari e
titolari, e degli artt. 2116 c. c 67 dpr 1124/65, nonché di ogni norma e principio in tema di
automatismo delle prestazioni assicurative e previdenziali obbligatorie, ai sensi dell’art.
360, n. 3, c.p.c.. Osserva che il D’Auria non poteva essere annoverato tra i lavoratori
autonomi, avendo prestato attività lavorativa manuale abituale e continuativa nell’azienda
agricola della moglie Sarchese e sui terreni alla stessa appartenenti e che, pur non
sussistendo un formale lavoro dipendente oneroso, non poteva il rapporto inquadrarsi
come autonomo, in quanto lo stesso era piuttosto riconducibile ad un atipico lavoro
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essendo sufficiente la sola abitualità e manualità dell’attività lavorativa. Rileva che la

subordinato o parasubordinato, essendo comunque caratterizzato dalle prestazioni
lavorative rese dal lavoratore in favore di un soggetto titolare di azienda agricola. Assume
che la fattispecie è riconducibile alla previsione normativa di cui alla lett. a) dell’art. 205
comma 1 del d.P.R. 1124/65, dovendo il D’Auria essere annoverato tra i lavoratori “addetti
ad aziende agricole” e, per effetto di un’interpretazione costituzionalmente orientata
(artt.35 e 38 Cost.), dell’art. 205, lett. a) e b) del d.P.R. 1124/65, nonché in generale

il condizionamento dell’esclusività e-o della prevalenza. Richiama precedenti di legittimità
a conforto del principio per cui la tutela è dovuta a prescindere dal titolo o dal regime
giuridico del lavoro prestato.
Infine, con il quarto motivo, ascrive alla sentenza impugnata violazione e/o erronea
applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c. c., nonchè di ogni altra norma o
principio in tema di mancata ammissione e-o rifiuto della prova testimoniale sui fatti
costitutivi della pretesa di parte ricorrente, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione circa un fatto controverso e decisivo, ex art. 360, n. 5, c.p.c.
Il ricorso è infondato.
La questione oggetto del presente giudizio riguarda il diritto alla costituzione della rendita
vitalizia in favore del coniuge superstite di soggetto infortunato che abbia prestato opera
manuale nell’azienda agricola familiare e sui terreni proprietà della moglie, pur nella
accertata mancanza di prevalenza della detta attività agricola e di non esclusività del
reddito dalla stessa percepito.
Ai sensi dell’art.205, comma 1, lett. b), sono assicurati contro gli infortuni sul lavoro in
agricoltura i proprietari, mezzadri, affittuari, loro mogli e figli, anche naturali e adottivi, che
prestano opera manuale abituale nelle rispettive aziende. L’art. 2, comma 2, I. 9 gennaio
1963 n. 9 prevede che, con decorrenza dall’entrata in vigore della presente legge, il
requisito della abitualità nella diretta e manuale coltivazione dei fondi o nell’allevamento e
nel governo del bestiame, previsto dagli artt. 1 e 2 della legge 26 ottobre 1957 n. 1047 e
dell’art. 1 della legge 22 novembre 1954 n. 1136, si ritiene sussistente quando i soggetti
indicati nelle suddette norme si dedicano in modo esclusivo o almeno prevalente a tali
attività ed il comma 3 stabilisce che “per attività prevalente, ai sensi di cui al precedente

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dell’intero testo normativo, i suddetti lavoratori sono tutelati dalla normativa stessa, senza

comma, deve intendersi quella che impegni il coltivatore diretto ed il mezzadro o colono
per il maggior periodo di tempo nell’anno e che costituisca per essi la maggior fonte di
reddito”. Il D. L. n. 155 del 1993, art. 14, lett. B, ha disposto, poi, che i lavoratori autonomi
di cui al d.P.R. n. 1124 del 1965, art. 205, lett. b), tutelati per gli infortuni sul lavoro, sono
individuati secondo gli stessi criteri e modalità previsti dalla I. n. 1047 del 1957, che ha
esteso l’assicurazione invalidità vecchiaia e superstiti ai coltivatori diretti, mezzadri e

Dal coacervo delle disposizioni richiamate emerge — come sottolineato dalla
giurisprudenza di questa Corte di legittimità — che, al fine di accertare se sussista il
requisito dello svolgimento di attività agricola “prevalente”richiesto alla I. 9 gennaio 1963 n.
9, art. 2, richiesto per la configurabilità del diritto all’assicurazione di invalidità e vecchiaia
per i coltivatori diretti, il giudizio di prevalenza deve tenere conto sia del criterio temporale
che di quello reddituale, in riferimento al quale la comparazione deve essere effettuata tra
il reddito di lavoro agricolo e tutti gli altri redditi del lavoratore, derivino essi dalla
prestazione di altra attività o da pensione (cfr. Cass., ord., sez 6°, 30107/2008,
Cass.16.6.2006 n. 13938, Cass. 12.2.2002 n. 2000).
Sono, pertanto, destituite di fondamento le censure formulate avverso la decisione
impugnata, posto che non era in discussione che il D’Auria prestasse attività lavorativa
nell’azienda agricola e sui terreni della moglie e che deve considerarsi nuova la
prospettazione secondo cui il predetto non fosse coltivatore diretto, ma lavoratore
subordinato o assimilabile.
Quanto all’invocato principio di automatismo delle prestazioni, deve osservarsi che nella
disciplina dell’assicurazione obbligatoria per le pensioni d’invalidità e vecchiaia a favore
dei componenti delle famiglie dei coltivatori diretti, dei coloni e dei mezzadri, di cui alla
legge 26 ottobre 1957 n 1047 e successive disposizioni modificative, ne è stata affermata
la inoperatività, con la conseguenza che, in difetto del materiale versamento dei contributi,
non era fitemmto possibile ritenere la sussistenza del requisito contributivo prescritto.
Invero, a norma dell’art 11, sesto comma, della legge 9 gennaio 1963 n 9 (elevazione dei
trattamenti minimi di pensione e riordinamento delle norme in materia di previdenza dei
coltivatori diretti, coloni e mezzadri), confermato dall’ad 63, quarto comma, della legge 30
aprile 1969 n 153 (revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza
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coloni.

sociale), il titolo per l’accredito dei contributi è costituito dall’effettiva riscossione dei
contributi medesimi e, a norma dell’ad 62, primo comma, della stessa legge n 153 del
1969, il requisito contributivo deve ritenersi raggiunto quando la contribuzione prescritta
risulti effettivamente versata (cfr. Cass. 16.7.1980 n 4626). Tale principio è stato ribadito
anche successivamente, confermandosi che, poichè la regola dell’automatismo delle
prestazioni non trova applicazione nei confronti dei lavoratori autonomi, i superstiti, se

(cfr. Cass. 16.6.2006 n. 13938). E’ stato, però, anche osservato che il diritto dei predetti
alla rendita per infortunio lavorativo – costituendo un diritto “iure proprio” e non “iure
hereditatis” – non può essere subordinato all’adempimento dell’obbligazione contributiva
(cfr. Cass. 13938/06 cit.). Tuttavia, tale ultimo principio non può essere invocato nella
specie per le altre ragioni sopra indicate e per quelle evidenziate anche di seguito con
riguardo alla esclusività e prevalenza dell’attività agricola svolta Itt Ila valutazione
comparativa dei redditi percepiti dal soggetto deceduto.
Quanto al requisito della prevalenza del reddito connesso allo svolgimento dell’attività
agricola è sufficiente il richiamo alla normativa sopra indicata come interpretata dalla
giurisprudenza riportata, avuto riguardo alla circostanza pacifica che il D’Auria percepiva
sia un reddito pensionistico che un reddito quale amministratore di società commerciale.
Nello stesso senso deve essere disatteso il rilievo di cui al terzo motivo, essendo da
escludere la riconducibilità del rapporto all’ipotesi di cui all’art. 205, primo comma, lett. a) e
non essendo stata la prospettazione iniziale conforme a quella che solo nella presente
sede la ricorrente presuppone.
Infine, va ribadito che il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova
testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui
essa abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia
e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a
dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera
probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il
convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva
di fondamento, (Cfr. Cass. 17.5.2007 n. 11457). Nella specie non sussistono tali
presupposti, atteso che la prova sulla continuità ed abitualità dell’attività di lavorazione e

eredi, sono obbligati a pagare i contributi omessi, secondo le regole del diritto successorio

coltivazione dei terreni di proprietà della coniuge non assume carattere di decisività, per le
considerazioni svolte in relazione all’indispensabilità del requisito della prevalenza anche
con riguardo al reddito connesso alla svolgimento della stessa.
Deve, poi aggiungersi che, in tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al
principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc.
civ. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di

dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede
di legittimità (cfr. Cass. 20.6.2006 n. 14267).
Il ricorso deve conclusivamente essere respinto.
Quanto all’esenzione dal pagamento di spese, competenze e onorari nei giudizi per
prestazioni previdenziali ed in base all’art. 152 disp. att. cod. proc. civ. (nel testo risultante
dopo la modifica apportata dal d.l. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11,
convertito nella L. 24 novembre 2003, n. 326) – secondo il quale “L’interessato che, con
riferimento all’anno precedente a quello di instaurazione del giudizio, si trova nelle
condizioni indicate nel presente articolo formula apposita dichiarazione sostitutiva di
certificazione nelle conclusioni dell’atto introduttivo e si impegna a comunicare, fino a che il
processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito verificatesi nell’anno
precedente” – l’onere autocertificativo imposto alla parte ricorrente deve essere assolto
con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, e l’adempimento di tale onere esplica
efficacia anche nelle fasi successive, valendo, fino all’esito definitivo del processo,
l’impegno di comunicare le variazioni reddituali eventualmente rilevanti (cfr. Cass.
17.6.2011 n. 13367).
Ai fini dell’esenzione dal pagamento di spese, competenze e onorari, nei giudizi per
prestazioni previdenziali, la dichiarazione sostitutiva di certificazione delle condizioni
reddituali, da inserire nelle conclusioni dell’atto introduttivo ex art. 152 disp. att. cod. proc.
civ., sostituito dall’art. 42, comma 11, del d.l. n. 269 del 2003, convertito nella legge n. 326
del 2003, è, poi, inefficace se non sottoscritta dalla parte, poiché a tale dichiarazione la
norma connette un’assunzione di responsabilità non delegabile al difensore, stabilendo
che “l’interessato” si impegna a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le
variazioni rilevanti dei limiti di reddito (cfr. Cass. 4.4.2012 n. 5363).
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cui all’art. 360, primo comma, numero 5), cod. proc. civ., e deve emergere direttamente

Nella specie, nella memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., la Sarchese ha asserito di avere
depositato la dichiarazione suddetta, che non risulta invece allegata e, peraltro, il relativo
deposito sarebbe anche inammissibile, essendo ammessa ai sensi dell’art. 372 c.p.c. la
produzione di altri documenti solo se riguardino la nullità della sentenza impugnata e
l’ammissibilità del ricorso e del controricorso. Peraltro, anche se viene richiamata la
dichiarazione a tal fine resa nell’atto introduttivo del giudizio, la stessa non è esaminabile,

depositare, sicchè anche sotto tale profilo l’onere incombente alla parte non risulta essere
stato osservato e le spese di lite, in relazione al principio della soccombenza, vanno poste
a carico della stessa nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio, liquidate in euro 100,00 per esborsi ed in euro 3000,00 per compensi
professionali, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 23.10.2013

in quanto non risultano prodotti i fascicoli di parte che la ricorrente si è riservata di

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