Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28433 del 07/11/2018

Cassazione civile sez. I, 07/11/2018, (ud. 09/10/2018, dep. 07/11/2018), n.28433

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26029/2017 proposto da:

M.C., alias M.C., elettivamente domiciliato in

Roma, Via Sardegna n. 29, presso lo studio dell’avvocato Ferrara

Alessandro, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno – Commissione Territoriale per il

Riconoscimento della Protezione Internazionale di CASERTA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 4017/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

pubblicata il 04/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/10/2018 dal cons. TRICOMI LAURA.

Fatto

RITENUTO

CHE:

La Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 4 dicembre 2017, ha rigettato l’opposizione di M.C. (alias M.C.) avverso il provvedimento che aveva respinto la domanda di riconoscimento della protezione internazionale. Nel presentare la domanda l’odierno ricorrente aveva riferito di essere cittadino nigeriano, appartenente all’etnia (OMISSIS), di religione cristiana pentecostale, di essere stato affidato unitamente al fratello minore, dopo la scomparsa dei genitori, allo zio paterno che li sottoponeva quotidianamente a violenze e maltrattamenti; aveva quindi narrato che lo zio, ritenendolo responsabile della fuga del fratello minore, gli aveva ordinato di lasciare la casa, minacciandolo di morte se non avesse obbedito, e che, per timore di essere ucciso, non avendo parenti o conoscenti disposti ad ospitarlo, aveva deciso di trasferirsi in un altro Stato meno pericoloso della Nigeria, raggiungendo prima la Libia e poi l’Italia.

La Corte ha ritenuto che le ragioni dell’allontanamento dalla Nigeria, ascrivibili alle violenze e vessazioni dello zio, qualificabili come maltrattamenti familiari, non concretizzassero i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, tanto più che lo stesso zio gli aveva intimato di allontanarsi dalla casa.

La Corte di appello ha escluso anche la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o dell’asilo politico, sulla considerazione che la situazione di insicurezza determinata dal conflitto interno legato alle attività del gruppo “(OMISSIS)” non era estesa all'(OMISSIS) ed alla città di provenienza del ricorrente. Ha, quindi, escluso anche il riconoscimento della protezione umanitaria, ritenendo che l’allontanamento, dovuto a vicende familiari, fosse ascrivibile alla volontà di sottrarsi alle condizioni di povertà ed abbandono in quanto orfano.

Avverso questa sentenza M.C. (alias M.C.) ricorre per cassazione, affidandosi a due mezzi ed alla memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c.; il Ministero dell’interno non ha svolto difese. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Si dà atto che in data 4/10/2018 è stato emanato il D.L. n. 113 (pubblicato su G.U. n.231 del 5/10/2018), che ha apportato modifiche al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, al D.Lgs. 28 gennaio 2008, art. 25 al D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150) dei cui effetti, ove rilevanti ai fini della decisione si darà conto in sede di esame dei motivi.

2. Con il primo motivo si lamenta la violazione e mancata applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3,commi 1, 2, 3, 4 e 5 e art. 14 e art. 19, comma 2; del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3 e 11 come modificato dal D.Lgs. n. 158 del 2009, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e 19 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32,comma 4, (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

A parere del ricorrente la Corte di appello sarebbe incorsa nella denunciata violazione perchè, pur avendo riconosciuto il differente ambito applicativo tra protezione sussidiaria e protezione umanitaria, avrebbe tuttavia di sua iniziativa ricondotto la domanda di protezione umanitaria a ragioni di carattere economico, invece di prendere in esame le ragioni esposte dal ricorrente nel racconto, pur ritenuto credibile, ed il timore di essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti, stante le violenze e le minacce di morte subite dallo zio ed il contesto ordinamentale di provenienza, caratterizzato da forze di polizia corrotte aduse a metodi di inaudita violenza fisica e morale.

Il motivo è inammissibile.

La Corte d’appello ha ritenuto, che la specifica vicenda personale del ricorrente, come da lui stesso riferita, sostanzialmente non contenesse la denuncia del rischio di esposizione del ricorrente a grave violazione dei diritti umani in caso di rimpatrio. Nè tale conclusione è revocabile in dubbio dall’utilizzo da parte della Corte territoriale dell’ulteriore argomento costituito dalla ipotizzabile finalità di sfuggire alla povertà nella scelta dell’allontanamento dal Paese di origine.

A fronte di ciò le doglianze del ricorrente inerenti al rischio di trattamenti inumani e degradanti non meglio precisati, in famiglia e ad opera delle autorità locali, sono inammissibili per genericità, non essendo neppure precisato, nel ricorso per cassazione, in cosa consisterebbe l’inumanità o degradazione degli stessi.

3. Con il secondo motivo si lamenta la violazione e mancata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 200, art. 3, comma 3, lett. a) e art. 6, art. 7, comma 2 e art. 14; del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e art. 12, comma 1 bis e art. 2, art. 27 e art. 32, comma 4, in relazione alle cd. protezioni minori (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

A parere del ricorrente la Corte di appello, pur ritenendolo credibile, avrebbe errato nel rigettare l’appello sulla considerazione che la zona della Nigeria di provenienza non era interessata da problemi di vera e propria crisi umanitaria, operando così una “parcellizzazione” dell’analisi socio-politica-ordinamentale del Paese di provenienza non conforme alla ratio della normativa in tema di protezione internazionale.

In particolare afferma che la valorizzazione della zona di provenienza all’interno del Paese di origine costituisce un’opzione interpretativa non perseguibile, atteso il mancato recepimento nella normativa nazionale dell’art. 8 della direttiva 2004/83/CE.

Il motivo è inammissibile.

I giudici del merito hanno esposto che in base al rapporto di Amnesty International la condizione della violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato interno o internazionale determinato dalla attività terroristiche del gruppo “(OMISSIS)” non è estesa all'(OMISSIS) ed alla città di provenienza del ricorrente. La censura, senza smentire l’accertamento compiuto dai giudici del merito, nel criticare la “parcellizzazione” del Paese di provenienza, i non tiene conto che la realtà della zona di provenienza ha un suo rilievo, come dimostra la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 2294/2012, n. 8399/2014,) nella misura in cui l’istanza di protezione non può essere rigettata quando in altra zona del territorio del Paese d’origine, a differenza da quella da cui il richiedente proviene, egli non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corra rischi effettivi di subire danni gravi, ma non nel caso opposto, come quello in esame, in cui il luogo di provenienza non si connota per una violenza indiscriminata (Cass. n. 5674/2014), in quanto assumono rilievo dirimente le caratteristiche che connotano lo specifico luogo di provenienza.

Le ulteriori considerazioni svolte dal ricorrente, relative al diritto alla terra, al cibo, all’accesso all’acqua ed ai servizi igienico sanitari ed all’abitazione sono eccentriche rispetto alle allegazioni del richiedente, ed alla sentenza che su di esse ha, correttamente, deciso. Anche gli argomenti svolti nella memoria in merito al carattere di favor per il richiedente delle norme in materia di protezione internazionale ed il richiamo alle regole del soft law sono fuori tema e, comunque, gli stessi sono totalmente generici.

4. La disamina del ricorso, risultato inammissibile, non ha richiesto l’esame delle disposizioni normative modificate dal D.L. n. 113 del 2018.

5. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese.

Non è dovuto il raddoppio del contributo unificato, essendo il ricorrente stato ammesso provvisoriamente al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

– Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018

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