Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28432 del 22/12/2011

Cassazione civile sez. I, 22/12/2011, (ud. 15/11/2011, dep. 22/12/2011), n.28432

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – rel. Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6887/2010 proposto da:

P.C. (c.f. (OMISSIS)), domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato ROMITO DOMENICO, giusta procura

a margine del ricorso;

– ricorrente –

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A. (P.I. (OMISSIS)), in

persona del vice presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, LARGO TONIOLO 6, presso l’avvocato MORERA UMBERTO, che la

rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1145/2009 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 23/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/11/2011 dal Consigliere Dott. RENATO RORDORF;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato DOMENICO ROMITO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato UMBERTO MORERA che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il 18 ottobre 2004 il presidente del Tribunale di Bari, accogliendo un ricorso proposto dalla sig.ra P.C., ingiunse con decreto alla Banca del Monte dei Paschi di Siena s.p.a. (in prosieguo indicata solo come Monte dei Paschi) di versare alla ricorrente la somma di Euro 26.333,07, corrispondente a quanto da lei investito in obbligazioni della società Cirio, poi divenuta insolvente, senza che la banca per il cui tramite l’investimento era stato effettuato avesse rispettato una molteplicità di disposizioni previste dalla normativa di settore, ivi compresa quella riguardante la forma richiesta per la validità degli ordini di acquisto di strumenti finanziari impartiti dal cliente.

L’opposizione proposta dal Monte dei Paschi, rigettata dal tribunale, fu invece accolta a seguito di gravame dalla Corte d’appello di Bari, con sentenza resa pubblica il 23 novembre 2009.

La corte barese ritenne, anzitutto, che non fossero fondate nè l’eccezione di genericità, e dunque d’inammissibilità, del gravame proposto dalla banca soccombente in primo grado, nè quella di nullità dell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo, per difetto di citazione a comparire dinanzi al giudice, non richiesta nello speciale rito previsto dal D.Lgs. n. 5 del 2003. Quanto al merito, la stessa corte affermò che il requisito della forma scritta a pena di nullità è riferibile al solo contratto col quale tra cliente ed intermediario sono disciplinate le prestazioni dei servizi d’investimento (c.d. contratto-quadro), ma che analogo requisito non è prescritto anche per i singoli ordini di acquisto impartiti dal cliente in esecuzione del servizio di negoziazione prestato dalla banca in base al predetto contratto-quadro. Aggiunse poi che le violazioni della normativa di settore imputata dalla sig.ra P. al Monte dei Paschi, per avere quest’ultimo prestato il servizio d’investimento senza assumere nè fornire le indispensabili informazioni preventive, non avrebbero comunque potuto comportare la nullità dei contratti intercorsi tra le parti, e che non era stata fornita prova adeguata del conflitto d’interessi in cui la banca si sarebbe trovata dando esecuzione agli ordini di acquisto impartiti dalla sig.ra P., la quale non aveva tempestivamente proposto sin dal primo grado alcuna domanda di risoluzione dei contratti scaturiti da tali ordini.

Per la cassazione di questa sentenza la sig.ra P. ha proposto ricorso, articolato in sei motivi.

Il Monte dei Paschi ha resistito con controricorso e successiva memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I primi due motivi di ricorso investono questioni processuali, rispettivamente riferite al giudizio d’appello ed a quello di primo grado.

Non sono, però, fondati.

1.1. L’eccezione d’inammissibilità dell’appello, per pretesa genericità del relativo motivo d’impugnazione, è stata rigettata dalla corte territoriale; la quale ha reputato che la censura formulata da parte appellante – censura afferente alla decisione con cui il tribunale aveva considerato nulli, per difetto di forma, gli ordini di acquisto degli strumenti finanziari dei quali in causa si discute – fosse sufficientemente chiara e precisa, come dimostrato anche dal fatto che la controparte si era ampiamente difesa proprio sul punto sollevato da quel motivo di gravame.

Si tratta di una conclusione del tutto condivisibile, che resiste alle critiche sollevate nel ricorso.

Il requisito della specificità dell’appello risponde all’esigenza d’individuare le statuizioni concretamente impugnate e di mettere tanto il giudice del gravame quanto la controparte nella condizione di conoscere e di valutare le ragioni per le quali tali statuizioni sono criticate dall’impugnante. Nel caso di specie, avendo il tribunale ritenuto che i requisiti formali prescritti dalla normativa primaria e secondaria per la stipulazione dei contratti d’investimento sono applicabili anche ai singoli ordini impartiti dal cliente all’intermediario dopo che tra dette parti sia stato stipulato (in forma scritta) il contratto (c.d. contratto-quadro) destinato a disciplinare la prestazione del servizio di negoziazione, l’appellante ha viceversa sostenuto che tali ordini non sono assoggettati ai suaccennati requisiti di forma. La circostanza che il primo giudice avesse argomentato anche sulle possibili diverse forme, equivalenti allo scritto, che a suo giudizio la normativa secondaria consente di adoperare nella trasmissione ed acquisizione degli ordini impartiti all’intermediario dal cliente non toglie che la questione al centro del dibattito processuale tra le parti fosse quella dianzi riferita, rispetto alla quale appare chiarissima la contrapposizione tra il fondamento della decisione appellata e la tesi sostenuta dall’appellante. Contrapposizione di cui anche la parte appellata mostra di avere avuto piena consapevolezza, sviluppando a propria volta diffuse difese al riguardo, onde è sicuramente escluso che si sia verificata una lesione del diritto di difesa o del diritto al contraddittorio, a o che sia stato in alcun modo leso uno dei principi regolatori del giusto processo.

1.2. Nessuna lesione di tali principi è riscontrabile neppure per quel che riguarda l’atto col quale è stato introdotto il giudizio di primo grado.

L’assunto della ricorrente, secondo la quale la citazione in opposizione a decreto ingiuntivo notificatale sarebbe giuridicamente inesistente perchè priva della “chiamata a comparire” dinanzi al giudice, appare manifestamente privo di consistenza. Un atto nel quale figurino l’indicazione dei soggetti della causa, dell’oggetto della domanda e dei fatti posti a base della stessa, nonchè dell’ufficio giudiziario dinnanzi al quale la causa deve essere trattata (secondo il rito all’epoca disciplinato dal D.Lgs. n. 5 del 2003) ha tutti i connotati dell’atto di citazione in giudizio. Ove pure si volesse ritenere che quell’atto è viziato dalla mancanza di una formula espressa di vocatio in ius, peraltro evidentemente implicita nel contenuto complessivo dell’atto stesso, se ne potrebbe tutt’al più dedurre una ragione d’irregolarità di esso; e se anche ci si volesse spingere a parlare di nullità, essa risulterebbe comunque sanata dall’avvenuta costituzione in giudizio della parte convenuta, potendosi fare qui applicazione del principio già altre volte enunciato da questa corte secondo cui la nullità della citazione i derivante dall’omissione persino dell’intera vocatio in ius è soggetta alle sanatorie con effetti retroattivi previste dall’art. 164 c.p.c., commi 2 e 3, (cfr. Cass. 16 ottobre 2009, n. 22024).

2. Occorre allora occuparsi del merito della controversia, cui attengono i restanti quattro motivi del ricorso.

E’ peraltro opportuno precisare, in via preliminare, che il rapporto dedotto in causa si è svolto in epoca antecedente al recepimento delle direttive comunitarie n. 2004/39 e n. 2006/73 (costituenti la c.d. direttiva MiFid), poi integrate dal regolamento n. 1287/2006.

Nelle pagine seguenti si farà perciò sempre riferimento alla disciplina dettata dal D.Lgs. n. 58 del 1998, (testo unico delle disposizioni in materia d’intermediazione finanziaria, cui d’ora innanzi ci si riferirà con la semplice sigla tuf) e dal regolamento Consob quale vigente prima delle modifiche apportate per adattarla alle suddette nuove direttive.

2.1. La ricorrente anzitutto lamenta la violazione dell’art. 23 del tuf, nonchè dell’art. 30 del regolamento Consob n. 11522 del 1998, sostenendo che la controparte non ha fornito adeguata evidenza processuale dell’esistenza del contratto scritto in base al quale sono stati prestati i servizi d’investimento di cui alla presente causa. Di ciò, a parere della ricorrente, la corte d’appello avrebbe dovuto tener conto, anche indipendentemente dalle domande e dalle eccezioni formulate dalla parte (terzo motivo del ricorso).

2.2. La violazione delle stesse norme sopra richiamate, ed inoltre dell’art. 1352 c.c., è poi dedotta nel quarto motivo del ricorso, volto a sostenere che gli ordini di acquisto di strumenti finanziari impartiti alla banca avrebbero dovuto esser dichiarati nulli in quanto non redatti in forma scritta oppure trasfusi in un ordine telefonico registrato o in un ordine telematico, secondo la previsione contenuta nel “contratto-quadro”.

2.3. Il quinto motivo del ricorso richiama, oltre al citato art. 23 del tuf, gli artt. da 26 a 29 del pure citato regolamento Consob e l’art. 1418 c.c.. Vi si sostiene che, essendo la banca venuta meno al proprio obbligo d’informarsi sulla situazione patrimoniale e sulla propensione al rischio del cliente, oltre che d’informare compiutamente quest’ultimo circa le caratteristiche degli strumenti finanziari oggetto dell’investimento, sarebbe stato per ciò stesso violato anche l’obbligo che grava sull’intermediario di non effettuare operazioni non adeguate. Obbligo, questo, che la normativa vigente al tempo dei fatti di causa rendeva derogabile solo in presenza di un espresso ordine scritto del cliente: donde la nullità degli ordini impartiti invece in forma diversa.

2.4. L’ultimo motivo del ricorso fa riferimento, oltre che alla normativa di settore, anche agli artt. 1394 e 1395 c.c.. La ricorrente insiste nel ravvisare una situazione di conflitto d’interessi in cui si sarebbe trovato il Monte dei Paschi nell’eseguire – anche al di fuori del mercato regolamentato ed anche operando in contropartita diretta – gli ordini di acquisto di strumenti finanziari dei quali si discute. Ne deduce che quegli ordini avrebbero potuto essere eseguiti solo se il cliente, informato, avesse manifestato per iscritto il proprio consenso e che, in ogni caso, si sarebbe trattato di contratti annullabili perchè conclusi dal rappresentante con se stesso senza che ne fosse predeterminato il contenuto.

3. L’esame dei riferiti motivi di ricorso, nel corpo dei quali talora si rinvengono censure ripetute più volte, può esser svolto senza seguirne pedissequamente l’ordine, ma tenendo conto che essi pongono due principali interrogativi: in primo luogo, se gli ordini di acquisto di strumenti finanziari dei quali si discute siano da considerare nulli per difetto di forma; in secondo luogo, se essi siano annullabili per conflitto di interessi. E’ evidente che il primo quesito assume carattere pregiudiziale, giacchè dell’altro ci si dovrà occupare solo se al primo sia stata data risposta negativa.

La nullità viene sempre in qualche modo ricondotta ad un difetto di forma: o perchè la ricorrente muove dal presupposto che per gli ordini impartiti dal cliente all’intermediario il legislatore (primario e secondario) abbia inderogabilmente prescritto requisiti di forma, in questo caso non rispettati (essendo incontroverso che gli ordini furono impartiti oralmente), o come conseguenza di un difetto d’informazione ovvero di una situazione di conflitto d’interessi in presenza dei quali si assume che quegli ordini avrebbe potuto essere eseguiti solo qualora fossero stati redatti per iscritto.

3.1. Occorre allora prender le mosse dall’art. 23 del tuf, il quale dispone espressamente che i contratti relativi alla prestazione di servizi d’investimento debbono essere redatti per iscritto, fatta salva la possibilità che, per particolari tipi contrattuali, la Consob (sentita la Banca d’Italia) individui con regolamento una forma diversa. L’inosservanza di tale disposizione determina la nullità del contratto, deducibile però solo da parte del cliente, onde si è soliti a tal riguardo parlare di nullità relativa, o anche di nullità di protezione.

Sennonchè, la prestazione dei servizi d’investimento – ed in particolare di quello di negoziazione, che qui interessa – si svolge di regola secondo una sequenza che prevede la stipulazione di un contratto (il c.d. contratto – quadro) volto a disciplinare i termini dello svolgimento successivo del rapporto, al quale fanno poi seguito i singoli ordini d’investimento (o disinvestimento) impartiti dal cliente all’intermediario. Non v’è pieno accordo, in dottrina, nè sulla configurazione contrattuale di tale meccanismo, che taluni riconducono alla falsariga del contratto normativo, seguito da singoli contratti di mandato, altri invece inquadrano sin da principio nella figura del mandato, ravvisando negli ordini successivi delle mere disposizioni esecutive. Neppure è pacifico – ed è questo il punto che qui soprattutto rileva – se la citata disposizione che assoggetta i contratti d’investimento al requisito della forma scritta, a pena di nullità, sia riferibile unicamente al contratto-quadro o anche ai successivi atti negoziali aventi ad oggetto i singoli ordini del cliente che l’intermediario è tenuto ad eseguire.

La prima delle due indicate opzioni interpretative è però senz’altro da preferire, come è reso evidente anche dalla formulazione adoperata nell’art. 30, comma 1, del più volte citato regolamento Consob, il quale, impostando il tema dal punto di vista degli obblighi comportamentali gravanti sugli intermediari autorizzati, chiarisce che costoro non possono prestare i propri servizi se non “sulla base di un apposito contratto scritto”:

espressione da cui agevolmente si ricava come il requisito della forma scritta riguardi il c.d. contratto-quadro, che è appunto quello “sulla base” del quale l’intermediario esegue gli ordini impartiti dal cliente, e non anche il modo di formulazione degli ordini medesimi. La modalità di tali ordini ed istruzioni, viceversa, è previsto sia indicata nel medesimo contratto-quadro (art. 30, cit., comma 2, lett. c), e quindi, lungi dall’essere soggetta ad una qualche forma legalmente predeterminata, è rimessa alla libera determinazione negoziale delle parti.

Ad ulteriore conferma di tale conclusione può aggiungersi che l’art. 39 della sopravvenuta direttiva n. 2006/73/CE fa obbligo agli Stati membri di subordinare la prestazione dei servizi d’investimento (diversi dalla consulenza) alla conclusione, tra l’intermediario ed un “nuovo” cliente al dettaglio, di “un accordo di base scritto su carta o altro supporto durevole”, dal quale risultino i diritti e gli obblighi essenziali dei contraenti (eventualmente determinabili anche per relationem ad altri documenti o testi giuridici). Non pare seriamente dubitabile che il requisito della forma scritta (o equivalente) sia riferito anche da tale ultima disposizione unicamente al tipo di accordo corrispondente a quello che è invalso definire come contratto-quadro, e non anche agli altri successivi atti negoziali posti in essere sulla base di esso. Infatti, detto requisito è prescritto soltanto per l’instaurazione di rapporti con nuovi clienti, e ciò sta chiaramente a significare che il legislatore Europeo ha avuto riguardo al momento in cui per la prima volta s’instaura il rapporto tra intermediario e cliente, senza richiedere un analogo requisito formale per i contatti ulteriori, quali quelli che si realizzano in occasione degli ordini impartiti in un momento successivo da chi la qualifica di cliente abbia già assunto. Ma, nell’adeguarsi a queste disposizioni, il legislatore italiano non ha avvertito alcun bisogno di porre mano al testo previgente dell’art. 23 del tuf, ed anche la Consob, nell’emanare il nuovo regolamento n. 16190 del 2007, vi ha introdotto disposizioni (art. 37) sotto questo profilo del tutto analoghe a quelle contenute nel già citato art. 30 del regolamento anteriore: a riprova del fatto che già nel vigore di tali precedenti disposizioni il requisito della forma scritta doveva ritenersi necessario unicamente per il c.d. contratto-quadro.

In tale contesto è del pari evidente come l’ulteriore norma dettata dal secondo comma dell’art. 60 del regolamento Consob vigente all’epoca dei fatti di causa, nel fare obbligo agli intermediari di registrare su nastro magnetico o su altro supporto equivalente gli ordini impartiti telefonicamente dagli investitori, per un verso serve a ribadire la piena legittimità di ordini telefonici e, per altro verso, si limita a dettare una regola destinata a garantire ex post la ricostruibilita del contenuto di tali ordini. Una regola, cioè, operante sul piano della prova, ma non certo volta ad introdurre una qualsivoglia prescrizione di forma ad substantiam acti.

E’ perciò corretto il principio di diritto al quale la corte d’appello si è attenuta: che, cioè, la forma scritta è richiesta per la validità del c.d. contratto-quadro col quale l’intermediario si obbliga a prestare il servizio di negoziazione di strumenti finanziari in favore del cliente, ma non anche per i singoli ordini che, in base a tale contratto, vengano poi impartiti dal cliente all’intermediario medesimo, la cui validità non è soggetta a requisiti di forma.

3.1.1. Nel caso in esame la ricorrente sostiene però anche che dagli atti del processo non risulterebbe l’indispensabile redazione per iscritto del cont’atto-quadro in base al quale sono stati eseguiti gli acquisti di strumenti finanziari dei quali si discute, essendo stato prodotto in causa un documento firmato solo da lei e non anche dalla controparte.

Ma una simile prospettazione non risulta sia stata formulata nel corso del giudizio di merito, o quanto meno non risulta che essa sia stata prospettata per fondarvi un’esplicita eccezione di nullità, indispensabile quando si tratti di un’ipotesi di nullità relativa, quale è quella prevista dal citato art. 23 del tuf. Tanto dal tenore della sentenza impugnata quanto dall’esposizione dei fatti processuali contenuta nello stesso ricorso si desume, invece, che la pretesa restitutoria avanzata dalla sig.ra P., sin dalla fase monitoria, era fondata unicamente sul difetto di requisiti formali dei singoli ordini di acquisto, oltre che su asserite violazioni di obblighi di comportamento gravanti sull’intermediario.

La novità della questione, che implicherebbe altresì un esame diretto delle risultanze processuali non consentito a questa corte, rende perciò inammissibile la doglianza in tal senso espressa nel terzo motivo di ricorso.

3.1.2. Va ancora osservato che, in alcuni passaggi del quarto motivo di ricorso, sembra essere adombrata anche la tesi che l’obbligo di forma scritta per gli ordini d’investimento di cui si discute possa derivare, nel presente caso, da prescrizioni contenute a tal riguardo nel contratto-quadro o da questo comunque ricavabili. Si verterebbe, allora, in un caso di forma convenzionalmente pattuita, la cui essenzialità si dovrebbe presumere a norma dell’art. 1352 c.c..

Anche questa doglianza è però inammissibile: sia perchè espressa in modo così poco chiaro da non lasciar bene comprendere se il preteso requisito di forma debba ricercarsi in quanto il contratto- quadro ha previsto o, viceversa, nell’assenza di previsioni specifiche al riguardo (nel quale ultimo caso la forma convenzionale risulterebbe però evidentemente non configurabile); sia perchè non è precisato se ed in quale atto del giudizio di merito una siffatta questione fosse stata già sollevata, e deve pertanto ritenersi che si tratti di una questione nuova, come tale non proponibile in cassazione perchè legata ad un presupposto di fatto non verificabile in questa sede; sia perchè nel ricorso non è neppure riportato il testo del menzionato contratto-quadro ed al giudice di legittimità non è consentito procedere all’esame diretto delle risultanze acquisite nei gradi di merito.

3.1.3. Che l’intermediario abbia eventualmente violato regole di condotta concernenti l’informazione attiva e passiva, prima e durante la prestazione del ;’ A servizio d’investimento, non determina la nullità dei singoli ordini (sia sufficiente rinviare, in proposito, ai principi enunciati dalle sezioni unite di questa corte nella sentenza n. 26725 del 2007), nè tanto meno si riflette sulla forma necessaria dei questi.

Lo stesso dicasi per la circostanza (del cui accertamento peraltro non v’è traccia nella sentenza impugnata) che gli acquisti, secondo la ricorrente, sarebbero stati eseguiti al di fuori del mercato regolamentato e per la lamentata situazione di conflitto d’interessi in cui l’intermediario avrebbe operato; situazione, quest’ultima, che la corte d’appello esclude comunque sia stata provata.

3.2. Sgombrato il terreno dal tema della nullità per difetto di forma, occorre brevemente soffermarsi sulle doglianze con le quali la ricorrente invoca l’annullabilità degli ordini d’acquisto da lei impartiti all’intermediario.

A tal riguardo va detto, anzitutto, che non è ravvisabile nell’impugnata sentenza alcun vizio di omessa pronuncia. Benchè alla domanda di annullamento la corte barese non si sia riferita in modo espresso, infatti, le argomentazioni con le quali essa ha escluso che fosse configurabile un conflitto d’interessi dell’intermediario per il solo fatto di essersi posto in contropartita diretta del cliente ed ha poi rilevato la mancanza di altre idonee prove di una qualche ulteriore situazione di conflitto d’interessi appaiono ampiamente sufficienti a far comprendere il perchè neppure la domanda di annullamento abbia trovato accoglimento.

Per il resto, alle argomentazioni della corte d’appello cui s’è fatto cenno la ricorrente muove censure in parte inammissibili, ed in parte prive di fondamento.

La negoziazione in contropartita diretta costituisce uno dei servizi d’investimento al cui esercizio l’intermediario è autorizzato, al pari della negoziazione per conto terzi, come agevolmente si evince già dalle definizioni contenute nell’art. 1 del tuf. Essa perciò naturalmente rientra tra le modalità con le quali l’intermediario può dar corso ad un ordine di acquisto o vendita di strumenti finanziari impartitogli dal cliente, e tanto basta ad escludere che l’esecuzione di un siffatto ordine in conto proprio da parte dell’intermediario configuri, di per sè sola, un’ipotesi di annullabilità dell’atto in forza degli artt. 1394 o 1395 c.c..

Dell’esistenza di ulteriori circostanze idonee ad evidenziare, o a determinare, una qualche situazione di conflitto d’interessi, tale da implicare non solo un’eventuale pretesa risarcitoria da parte del cliente (pretesa che non risulta essere stata formulata nella presente causa), bensì anche l’annullabilità degli atti di natura negoziale posti in essere dall’intermediario, la corte d’appello ha escluso sia stata data la prova. La ricorrente se ne duole, ma le censure che essa prospetta a tal riguardo sono tese ad ottenere un riesame del materiale istruttorio che la natura del giudizio di legittimità non consente.

4. Dalle considerazioni svolte discende che il ricorso dev’essere rigettato.

La particolarità della fattispecie e la considerazione che sullo specifico tema dei requisiti di forma prescritti per gli ordini di acquisto di strumenti finanziari non risultano precedenti in termini di questa corte, suggeriscono di compensare tra le parti le spese processuali.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 15 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2011

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA