Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28429 del 22/12/2011

Cassazione civile sez. I, 22/12/2011, (ud. 10/11/2011, dep. 22/12/2011), n.28429

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5701/2007 proposto da:

COMUNE DI LABICO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA BARNABA TORTOLINI 13, presso l’avvocato

VERINO Mario Ettore, che lo rappresenta e difende, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

CO.AN S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona del Liquidatore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ASOLONE 8, presso

l’avvocato VERTICCHIO Carmine, che la rappresenta e difende giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4547/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/10/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/11/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato VERINO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato VERTICCHIO che ha chiesto

il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Velletri, con sentenza del 22 febbraio 2002 dichiarava risolto il contratto di appalto concluso il 9 settembre 1995 per la costruzione della fognatura della locale (OMISSIS) tra il comune di Labico e la s.r.l. CO.AN, per grave inadempimento della stazione appaltante che aveva illegittimamente sospeso i lavori per 845 giorni ed era rimasta inadempiente al pagamento del 20% del prezzo concordato. Rigettava, per quanto qui ancora interessa,gli oneri aggiuntivi sopportati per mancanza di prova sull’effettivo nocumento sopportato dall’impresa.

In parziale accoglimento dell’appello della COAN, la Corte di appello di Roma, con sentenza del 23 ottobre 2006, ha condannato il comune al risarcimento del danno per le spese generali sopportate dalla COAN, oggetto della prima riserva, nella misura di Euro 54.202,94,in tale misura essendo state quantificate dal c.t.u. in applicazione della disposizione del D.M. 29 maggio 1895, art. 20, che ne stabiliva il pagamento in una percentuale oscillante tra il 13% ed il 15% dei lavori appaltati.

Per la cassazione della sentenza l’amministrazione comunale ha proposto ricorso per un motivo;cui resiste la soc. COAN con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il ricorso il comune, deducendo violazione degli artt. 2727 e 2729 cod.civ., nonchè D.M. 29 maggio 1985, art. 20, censura la sentenza impugnata per avere liquidato all’appaltatore le spese generali invocando quest’ultima norma, senza considerare: a) che l’impresa non aveva indicato neppure la tipologia di quelle sostenute, non aveva offerto alcuna prova di averle sopportate:

avendo anzi il Tribunale escluso perfino la sussistenza di una organizzazione aziendale che aveva ricevuto un nocumento; b) che detta disposizione si riferisce alla determinazione del prezzo da porre a base della compilazione dei progetti, e non certamente al risarcimento del danno; sicchè non poteva essere utilizzata per presumerne la sussistenza in mancanza di ulteriori elementi neppure prospettati dall’impresa.

La doglianza è fondata.

Le spese generali per l’esecuzione dell’appalto, comprendenti come è noto, le spese generali di cantiere e quelle generali di azienda,non sono disciplinate affatto dal D.M. 29 maggio 1895, art. 20, che regola invece la formazione dei prezzi unitari per ogni tipologia di lavoro e le relative componenti per la determinazione del costo dell’opera di cui tener conto nel progetto e nell’eventuale bando di gara; bensì dal D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 16 (ed ora dal D.M. n. 145 del 2000, art. 5), che contrariamente a quanto mostra di ritenere la Corte di appello, le pongono a carico dell’appaltatore: anche perchè già computate nel prezzo dell’opera.

Vero è invece che la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 5010/2009) ha affermato l’obbligo della stazione appaltante di rimborsare i maggiori oneri in favore dell’appaltatore, ove con il proprio comportamento abbia determinato un aggravio delle spese generali di cantiere: come avviene proprio in caso di illegittima sospensione di lavori in cui ne ha ammesso la liquidazione in misura percentuale sul prezzo dell’appalto salva la possibile riduzione in relazione al decorso del tempo, ritenendo illogico liquidarle in percentuale identica all’inizio della sospensione dei lavori e dopo lunghi periodi di mancata esecuzione delle opere (come invece ha fatto la sentenza impugnata), durante i quali l’organizzazione d’impresa può limitare o ridurre l’incidenza negativa di essa.

Sennonchè nel caso la decisione di primo grado, accertate le inadempienze del comune, ha dichiarato risoluto il contratto di appalto per fatto e colpa dell’amministrazione committente; e la statuizione non impugnata da alcuna delle parti è passata in giudicato: perciò verificandosi per ciascuno dei contraenti ed indipendentemente dall’imputabilità dell’inadempienza, rilevante ad altri fini, una totale “restitutio in integrum” e, pertanto, il venir meno di tutti gli effetti del contratto e con essi di tutti i diritti che ne sarebbero derivati e che si considerano come mai entrati nella sfera giuridica dei contraenti stessi (Cass. 8960/2010; 12468/2004;

7470/2001).

Consegue che, eliminato il rapporto negoziale e con esso il titolo giustificativo della loro attribuzione, non poteva più parlarsi delle riserve dell’impresa formulate nel corso della sua esecuzione,nè porsi alcuna questione della loro fondatezza con particolare riguardo a quella relativa alla sospensione dei lavori:posto che le stesse (così come la sospensione) presuppongono invece un contratto di appalto valido ed operante, data la funzione peculiare di far valere verso l’amministrazione committente diritti o pretese di maggiori compensi per la sua avvenuta esecuzione, rispetto al prezzo contrattuale originario (Cass. 2395/1989).

Nè può ritenersi che il ricorso al D.M. del 1895, art. 20, sia stato soltanto un parametro cui commisurare il danno emergente sofferto dall’impresa per la dichiarata risoluzione del contratto, perchè a tacere del fatto che le spese in questione sono state (chieste e) riconosciute esclusivamente per l’accoglimento della riserva relativa alla sospensione dei lavori, detto danno inerente “a spese di qualsiasi genere” doveva essere dimostrato; laddove la relativa presunzione è stata fondata esclusivamente sul menzionato art. 20 del 1895 e neppure la sentenza impugnata ha smentito l’accertamento del c.t.u. nonchè del primo giudice che la COAN non avesse dato alcuna prova sull’esistenza di una propria organizzazione aziendale; e tanto meno di aver dovuto mantenerla e custodirla durante il periodo di sospensione (pag. 5-6 ric.).

La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio alla Corte di appello di Roma, che in diversa composizione si atterrà ai principi esposti e provvederà alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso,cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2011

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