Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28428 del 19/12/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 28428 Anno 2013
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: MAROTTA CATERINA

SENTENZA
sul ricorso 25806-2010 proposto da:
RCS QUOTIDIANI S.P.A. P.I. 12086540155, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, PIAZZA G. MAZZINI 27, presso lo

STUDIO TRIFIRO’ & PARTNERS, rappresentata e difesa
dagli avvocati SALVATORE TRIFIRO’, ZUCCHINALI PAOLO,

2013

FAVALLI GIACINTO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2796

contro

VACCARI

LANFRANCO

C.F.

VCCLFR51H22F205P,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 109,

Data pubblicazione: 19/12/2013

presso lo studio dell’avvocato GIACOMO SUMMA,
rappresentato e difeso dagli avvocati FEZZI MARIO,
BORALI MAURIZIO, giusta delega in atti;
– controrícorrente

avverso la sentenza n. 855/2009 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 03/10/2013 dal Consigliere Dott. CATERINA
MAROTTA;
udito l’Avvocato COLLELUORI RITA per delega TRIFIRO’
SALVATORE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. COSTANTINO FUCCI che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

di MILANO, depositata il 28/10/2009 R.G.N. 40/2008;

R. Gen. N. 25806/2010
Udienza 3/10/2013
RCS Quotidiani S.p.A. c/ Vaccari
Lanfranco

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 855/2009 del 28 ottobre 2009, la Corte di appello di Milano,
decidendo sull’impugnazione proposta dalla RCS Quotidiani S.p.A. nei confronti di
Lanfranco Vaccari, confermava la decisione del Tribunale di Milano che aveva

per conto della società appellante dapprima per il quotidiano La Gazzetta dello Sport
e poi, come inviato speciale, per il Corriere della Sera fino alla data di cessazione del
rapporto e cioè fino al 22/10/2004, al pagamento dell’indennità sostitutiva per i
giorni di ferie maturati e non goduti pari a 119 giorni ed aveva condannato la RCS
Quotidiani S.p.A. al pagamento in favore del giornalista della somma di euro 75.584
oltre accessori di legge. Riteneva la Corte territoriale che il Vaccari, rivestendo il
ruolo di inviato speciale ed essendo, come tale, subordinato alla direzione, non
avesse facoltà di autodeterminarsi decidendo in maniera autonoma se godere o meno
delle ferie. Riteneva, inoltre, che l’indennità per le ferie non godute fosse sempre
dovuta al momento della certezza del mancato godimento senza possibilità di una
rinuncia preventiva e di una forfetizzazione. Riteneva, in particolare, illegittima la
clausola prevista in sede di contratto di assunzione che aveva incluso tale indennità
nell’ambito del pattuito superminimo, destinato secondo la società a remunerare
anche giornate di ferie non godute.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la RCS Quotidiani S.p.A.
affidato ad otto motivi.
Resiste con controricorso Lanfranco Vaccari.
La RCS Media Group S.p.A. (già RCS Quotidiani S.p.A.) ha depositato memoria
ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..

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riconosciuto il diritto del Vaccari, giornalista professionista il quale aveva lavorato

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Udienza 3/10/2013
RCS Quotidiani S.p.A. c/ Vaccari
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MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la società ricorrente denuncia: “Violazione e falsa
applicazione degli artt. 36 e 2109 cod. civ.”. Si duole della decisione impugnata nella

avrebbe rinunciato preventivamente all’indennità per ferie non godute, essendo
quest’ultima forfetariamente ricompresa nel pattuito superminimo.
2. Con il secondo motivo la società ricorrente denuncia: “Omessa motivazione su
un punto decisivo della controversia”. Censura la sentenza impugnata per aver
ritenuto che il mancato godimento delle ferie sia imputabile solo al dirigente e per
aver negato che il Vaccari non abbia integralmente goduto delle ferie per sua libera
scelta solo perché non dirigente.
3. Con il terzo motivo la società ricorrente denuncia: “Violazione e falsa
applicazione dell’art. 23 del c.c.n.l. ove lo stesso venga interpretato come ostativo
alla definizione nel contratto individuale di condizioni di miglior favore”. Rileva che
la clausola di forfetizzazione nel superminimo mensile del compenso per eventuali
ferie non godute, lungi dal sostanziarsi in una preventiva rinuncia alle ferie dietro
compenso, era solo diretta a monetizzare il mancato godimento in maniera diversa e
di maggior favore rispetto alla clausola contrattuale.
4. Con il quarto motivo la società ricorrente denuncia: “Omessa o insufficiente
motivazione su un punto decisivo della controversia”. Lamenta che la Corte
territoriale abbia ritenuto che la clausola di forfetizzazione nel superminimo del
compenso per eventuali ferie non godute fosse venuta meno con la lettera del 9
dicembre 2003 laddove nel medesimo documento era indicato che “per quanto non

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parte in cui ha ritenuto nulla la clausola contrattuale con la quale il lavoratore

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espressamente previsto nella presente lettera, resta confermato quanto indicato nella
richiamata nostra del 1/1/1999”.
5. Con il quinto motivo la società ricorrente denuncia: “Violazione e falsa

valutazione, ai fini di una corretta interpretazione delle clausole contrattuali, del
comportamento del Vaccari il quale non aveva mai sostenuto che la clausola
contenuta nella lettera datata 1/1/1999 fosse stata superata dal successivo accordo del
9/12/2003 e comunque della non corretta applicazione delle regole di ermeneutica
contrattuale ed in particolare dei criteri della buona fede, della maggiore convenienza
rispetto alla natura ed all’oggetto del contratto, dell’equo contemperamento degli
interessi.
6. Con il sesto motivo la società ricorrente denuncia: “Violazione e falsa
applicazione dell’art. 10, comma 2, del d.lgs. n. 66/2003 in relazione all’art. 11 delle
disp. sulla legge in generale”. Censura la sentenza per aver ritenuto che la clausola
contrattuale fosse integralmente violativa anche della nuova disciplina di cui al d.lgs.
n. 66/2003 laddove quest’ultima fa riferimento solo al periodo di quattro settimane di
ferie annuali.
7. Con il settimo motivo la società ricorrente denuncia: “Omessa e/o insufficiente
motivazione su un punto decisivo della controversia”. Si duole del rigetto della
domanda riconvenzionale avanzata dalla società intesa ad ottenere la restituzione del
superminimo laddove si fosse considerato quest’ultimo non compensativo, tra l’altro,
dell’eventuale indennità dovuta a titolo di mancato godimento delle ferie maturate.
8. Con l’ottavo motivo la società ricorrente denuncia: “Violazione e falsa
applicazione degli artt. 1419 e 2033 cod. civ.”. Rileva che la declaratoria di nullità

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applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1371 cod. civ.”. Si duole della mancata

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della pattuizione in oggetto, in ragione della inscindibilità della clausola prevedente
il superminimo rispetto all’inclusione, in questo, anche dell’indennità sostitutiva
delle ferie, non poteva che avere quale conseguenza la fondatezza della richiesta di

pari all’importo dell’indennità sostitutiva stessa o comunque in misura da
determinarsi in via equitativa).
9. I motivi, da trattarsi congiuntamente in ragione della intrinseca connessione,
sono infondati.
Va, in primo luogo, chiarito che la presente vicenda si è svolta in parte in epoca
antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66 (di attuazione delle
direttive 93/104/CE e 2000/14/CE) – il cui art. 10, modificato dal d.lgs. 19 luglio
2004, n. 213 prevede una disciplina delle ferie annuali, complementare rispetto a
quella di cui all’art. 2109 cod. civ. – ed all’emanazione della direttiva 4 novembre
2003, n. 2003/88/CE – il cui art. 7, si occupa ugualmente del diritto del lavoratore
alle ferie annuali -, in parte in epoca successiva.
Fatta questa premessa, va precisato che, in base a consolidati e condivisi
orientamenti di questa Corte, il diritto alle ferie nel nostro ordinamento gode di una
tutela rigorosa, di rilievo costituzionale, visto che l’art. 36 Cost., comma 3, prevede
testualmente che “il lavoratore ha diritto al riposto settimanale e a ferie annuali
retribuite, e non può rinunziarvi”.
All’interno della più ampia categoria dei riposi lavorativi (pause intermedie,
riposo giornaliero, settimanale ed annuale) quello feriale riveste una più accentuata
dimensione personalistica ed esistenziale in quanto rivolto – più delle altre tipologie
di riposo – non solo al recupero delle energie psicofisiche spese dal lavoratore per

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restituzione di quanto corrisposto a seguito di detta dichiarazione di nullità (in misura

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l’esecuzione della prestazione, ma anche a consentire alla persona di poter coltivare
interessi morali e materiali, personali e sociali di natura extralavorativa, fruendo di
un periodo tempo libero retribuito.

lavoratore e vanno riguardate più in funzione della qualità della vita che del rispetto
di equilibri contrattuali.
La duplicità delle funzioni rivestite dal periodo feriale è stata riaffermata dalla
Corte costituzionale con la sentenza n. 543/1990 secondo la quale: “Non vi è dubbio
che la disposizione contenuta nel terzo comma dell’art. 36 Cost. garantisce la
soddisfazione di primarie esigenze del lavoratore, dalla reintegrazione delle sue
energie psico-fisiche allo svolgimento di attività ricreative e culturali, che una
società evoluta apprezza come meritevoli di considerazione”.
In base all’art. 2109, comma 2, cod. civ. l’esatta determinazione del periodo
feriale, presupponendo una valutazione comparativa di diverse esigenze, spetta
unicamente all’imprenditore quale estrinsecazione del generale potere organizzativo
e direttivo dell’impresa; al lavoratore compete soltanto la mera facoltà di indicare il
periodo entro il quale intende fruire del riposo annuale, anche nell’ipotesi in cui un
accordo sindacale o una prassi aziendale stabilisca – al solo fine di una corretta
distribuzione dei periodi feriali – i tempi e le modalità di godimento delle ferie tra il
personale di una determinata azienda. Peraltro, allorché il lavoratore non goda delle
ferie nel periodo stabilito dal turno aziendale e non chieda di goderne in altro
periodo dell’anno non può desumersi alcuna rinuncia – che, comunque, sarebbe nulla
per contrasto con norme imperative (art. 36 Cost. e art. 2109 cod. civ.) – e quindi il
datore di lavoro è tenuto a corrispondergli la relativa indennità sostitutiva delle ferie

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Le ferie rappresentano, perciò, un diritto che va correlato alla persona che al

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non godute (cfr. Cass. 12 giugno 2001, n. 7951; id. 18 giugno 1988, n. 4198; 2
ottobre 1998, n. 9797).
In merito alla natura di tale indennità, vi è stata qualche incertezza nella stessa

Così è stato ritenuto (si veda Cass. 11 maggio 2011, n. 10341; id. 27 agosto
2003, n. 12580) che l’indennità sostitutiva delle ferie e dei riposi settimanali non
goduti ha natura non retributiva ma risarcitoria ed è pertanto esclusa dall’obbligo
della contribuzione restando soggetta alla prescrizione ordinaria decennale,
decorrente anche in pendenza del rapporto di lavoro. Si è, in sostanza, considerato
che il relativo diritto derivi dall’inadempimento contrattuale del datore il quale ha
l’obbligo di far godere le ferie al lavoratore, ponendosi in rilievo il fatto che
l’indennità sia rivolta a riparare la lesione di un diritto, il danno costituito dalla
perdita del riposo; e che non abbia un diretto legame con la prestazione resa dal
lavoratore (oltretutto legittima nella sua genesi).
Di contro è stato affermato (Cass. 10 maggio 2010, n. 11262; id. 3 aprile 2004,
n. 6607) che l’indennità sostitutiva di ferie non godute è assoggettabile a
contribuzione previdenziale a norma dell’art. 12 della legge n. 153 del 1969, sia
perché, essendo in rapporto di corrispettività con le prestazioni lavorative effettuate
nel periodo di tempo che avrebbe dovuto essere dedicato al riposo, ha carattere
retributivo e gode della garanzia prestata dall’art. 2126 cod. civ. a favore delle
prestazioni effettuate con violazione di norme poste a tutela del lavoratore sia perché
un eventuale suo concorrente profilo risarcitorio – oggi pur escluso dal sopravvenuto
art. 10 del d.lgs. n. 66 del 2003, come modificato dal d.lgs. n. 213, del 2004, in
attuazione della direttiva n. 93/104/CE – non impedirebbe la riconducibilità

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giurisprudenza di questa Corte.

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all’ampia nozione di retribuzione imponibile delineata dal citato art. 12, costituendo
essa comunque un’attribuzione patrimoniale riconosciuta a favore del lavoratore in
dipendenza del rapporto di lavoro e non essendo ricompresa nella elencazione

dunque, alla prestazione contrattualmente non dovuta, perché illecitamente prestata
contra legem ai sensi dell’art. 2126 cod. civ. che, al secondo comma, riconosce il
diritto, appunto, alla retribuzione.
E’ stato anche ritenuto (così Cass. 9 luglio 2012, n. 11462), propendendosi per la
natura mista dell’indennità in questione, che, in relazione al carattere irrinunciabile
del diritto alle ferie, garantito dall’art. 36 Cost. – ed ulteriormente sancito dall’art. 7
della direttiva 2003/88/CE (v. la sentenza 20 gennaio 2009 nei procedimenti riuniti
c-350/06 e c-520/06 della Corte di giustizia dell’Unione europea) -, ove in concreto
le ferie non siano effettivamente fruite, anche senza responsabilità del datore di
lavoro, spetta al lavoratore l’indennità sostitutiva che ha, per un verso, carattere
risarcitorio, in quanto idonea a compensare il danno costituito dalla perdita di un
bene (il riposo con recupero delle energie psicofisiche, la possibilità di meglio
dedicarsi a relazioni familiari e sociali, l’opportunità di svolgere attività ricreative e
simili) al cui soddisfacimento l’istituto delle ferie è destinato e, per altro verso,
costituisce erogazione di indubbia natura retributiva, perché non solo è connessa al
sinallagma caratterizzante il rapporto di lavoro, quale rapporto a prestazioni
corrispettive, ma più specificamente rappresenta il corrispettivo dell’attività
lavorativa resa in periodo che, pur essendo di per sé retribuito, avrebbe invece
dovuto essere non lavorato perché destinato al godimento delle ferie annuali,

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tassativa delle erogazioni escluse dalla contribuzione. La natura retributiva guarda,

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restando indifferente l’eventuale responsabilità del datore di lavoro per il mancato
godimento delle stesse.
A tal più recente indirizzo (che conferma altro precedente espresso da Cass. 25

maggio 2000, n. 5624; 13 marzo 1997, n. 2231) si intende dare continuità
considerando che l’indennità in questione, oltre a poter avere carattere risarcitorio,
non è che il corrispettivo dell’attività resa in un periodo che avrebbe dovuto essere
destinato al riposo (cioè il corrispettivo dell’attività lavorativa resa in periodo che,
pur essendo retribuito di per sé, avrebbe dovuto essere non lavorato).
Si aggiunga che, in più occasioni, clausole di contratti collettivi che prevedevano
esclusivamente il godimento delle ferie e non anche l’indennità sostitutiva sono state
interpretate – in applicazione del principio di conservazione del contratto – nel senso
che la mancata fruizione delle ferie per causa non imputabile al lavoratore, non può
escludere il diritto di quest’ultimo all’indennità sostitutiva delle stesse, in
considerazione della irrinunciabilità del relativo diritto stesso (così Cass. 9
novembre 2002, n. 15776; id. 17 febbraio 2003, n. 2360; 9 aprile 2003, n. 5515; 16
maggio 2003, n. 7714; 7 maggio 2004, n. 8741; 10 gennaio 2007, n. 237 e la più
recente Cass. 9 luglio 2012, n. 11462 già sopra citata secondo la quale va ritenuta
l’illegittimità, per contrasto con norme imperative, delle disposizioni dei contratti
collettivi che escludano il diritto del lavoratore all’equivalente economico di periodi
di ferie non goduti al momento della risoluzione del rapporto, salva l’ipotesi del
lavoratore che abbia disattesa la specifica offerta della fruizione del periodo di ferie
da parte del datore di lavoro).
Orbene, l’impugnata sentenza non si è discostata da tali princìpi.

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settembre 2004, n. 19303; id. 19 maggio 2003, n. 7836; 2 agosto 2000, n. 10173; 5

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Si osserva innanzitutto che l’impianto argomentativo della Corte territoriale
muove dalla premessa che la pattuizione contenuta nella lettera di passaggio del
Vaccari dalla Gazzetta dello Sport al Corriere della Sera (1/1/1999) si fosse

godute, per essere quest’ultima forfetariamente ricompresa nel concordato
superminimo.
Al riguardo la ricorrente richiama le regole poste dagli artt. 1362, 1363, 1366 e
1371 cod. civ. solo per prospettare una diversa (e più favorevole) interpretazione del
contenuto della pattuizione suddetta rispetto a quella adottata dal giudicante, il che
non è ammissibile (cfr. anche Cass. 25 febbraio 2004, n. 3772). Come è noto, infatti,
per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice
sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di una
clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che
aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità
del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (si veda, tra le altre, Cass. 22 febbraio
2007, n. 4178).
Non è, dunque, idonea ad integrare una violazione delle regole di interpretazione
del contratto una critica del risultato raggiunto dallo stesso giudice mediante la
contrapposizione di una diversa interpretazione: (Cass. 22 novembre 2010, n. 23635;

id. 31 maggio 2010, n. 13242; 1 luglio 2004, n. 12104; 20 agosto 1997, n. 7738; 30
gennaio 1995, n. 1092; 23 gennaio 1990, n. 381), essendo necessaria la specifica
dimostrazione del modo in cui il ragionamento seguito dal giudice di merito abbia
deviato dalle regole nei detti articoli stabilite (così Cass. 4 giugno 2007, n. 12946 e n.
12936).

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sostanziata in una preventiva rinuncia all’indennità per le ferie eventualmente non

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Orbene, nella fattispecie in esame non si ravvisa nel ragionamento della Corte
territoriale né violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale né un vizio di
motivazione.

lettera dell’1/1/1999 interpretando, come detto, la stessa come una preventiva
rinuncia del Vaccari all’indennità per ferie non godute, per essere quest’ultima
forfetariamente ricompresa nel pattuito superminimo, e tale opzione ermeneutica,
basata sul dato testuale e sul confronto tra il contenuto di detta lettera e quello della
successiva del 9 dicembre 2003, regge alle censure della ricorrente che si limita a
contrapporre alla interpretazione data in conformità al senso letterale delle parole
usate nelle precisate clausole, e dunque basata su un criterio esegetico
necessariamente preferenziale, una propria lettura basata sul ricorso a canoni
interpretativi (sussidiari) nella specie correttamente e coerentemente ritenuti
superflui.
Tanto chiarito, va evidenziato che la mancata fruizione delle ferie per causa non
imputabile al lavoratore, non può escludere il diritto di quest’ultimo all’indennità
sostitutiva delle ferie, in considerazione della irrinunciabilità del diritto stesso,
costituzionalmente garantito e della sussistenza, in capo al datore di lavoro, di un
vero e proprio obbligo di far effettuare ai propri dipendenti il periodo di ferie, anche
al fine di tutelarne l’integrità psico-fisica. Del resto, la necessaria ricollegabilità
dell’indennità in questione al mancato godimento delle ferie (come, nella specie
sussistente in ragione della chiara previsione di cui all’art. 23 del c.c.n.l. giornalisti)
non può che condurre ad escludere la legittimità di una rinuncia preventiva
all’indennità in questione (si ricorda che, come da questa Corte già più volte

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La Corte milanese ha, infatti, ritenuto nulla la clausola contrattuale di cui alla

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affermato, nei confronti di diritti ancora non sorti o maturati
la preventiva disposizione può comportare la nullità dell’atto (id est della clausola),
poiché esso è diretto a regolamentare gli effetti del rapporto di lavoro in maniera

Cass. 26 maggio 2006, n. 12561; id. 8 novembre 2001, n. 13834 -).
Deve, allora, essere affermato che una rinuncia contrattuale preventiva al diritto
alle ferie, anche ove formulata tacitamente attraverso una maggiore precostituita
retribuzione che oltre all’ordinario lavoro compensi anche il danno determinato dal
mancato godimento delle ferie è nulla (cfr. in termini analoghi Cass. 25 luglio 2000,
n. 9760). Va, infatti, garantito il rispetto del principio di effettività delle ferie e,
rispetto a questo, la possibilità di sostituire a priori, in via risarcitoria ovvero
diversamente compensativa, le ferie con l’indennità potrebbe costituire un incentivo
a rinunciare alle ferie come periodo di riposo, soluzione, questa, incompatibile con il
sopra ricordato carattere del relativo diritto, garantito anche dall’art. 36 Cost., con la
ratio della previsione di cui all’art. 2109 cod. civ. e con quanto affermato dalla
Corte costituzionale nella citata sentenza n. 543/1990 in termini di effettivo
godimento ai fini della soddisfazione di primarie esigenze del lavoratore e della
reintegrazione delle sue energie psico-fisiche.
Pur dunque in presenza di una pattuizione di tale genere, non poteva essere
negato al Vaccari il diritto alla monetizzazione delle ferie non godute (non essendo
mai stato in discussione tra le parti che per la società fosse stato, in concreto,
impossibile far fruire al predetto tali ferie ovvero che avesse assegnato le ferie nel
periodo previsto dalla legge ed invitato il lavoratore a goderne, così determinando

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diversa da quella fissata dalle norme di legge o di contratto collettivo – così ex multis

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una situazione di mora credendi che solo avrebbe escluso qualunque responsabilità
del debitore).
Evidentemente del tutto diversa è la situazione di chi, rivestendo una funzione di
vertice nell’organizzazione dell’impresa, non eserciti l’autonomo potere di

collocarsi in ferie disponendo del tempo di godimento del riposo annuale in modo
indipendente, ovvero senza possibilità d’interferenza datoriale, fatta salva la prova,
da parte sua, di particolari e straordinarie esigenze aziendali, che ne abbiano
obiettivamente impedito il godimento (v. Cass. 18 ottobre 1975, n. 3390; id. 6
novembre 1982, n. 5825; 9 novembre 1981, n. 5936; 7 marzo 1996, n. 1793; 27
agosto 1996, n. 7883; 11 giugno 1998, n. 5851; 24 dicembre 1999, n. 14554; 7
giugno 2005, n. 11786; 13 giugno 2009, n. 13953).
Così, dunque, diversa era la posizione del Vaccari oggetto di esame nella
decisione di questa Corte n. 7883 del 27 agosto 1996 atteso che in quel caso (melius
a quell’epoca) il Vaccari era direttore responsabile del settimanale “Europeo” alle
dipendenze della R.C.S. Periodici e non, come nella specie insindacabilmente
accertato dai giudici di merito, inviato speciale non collocato in funzione apicale e,
dunque, privo della facoltà di autodeterminarsi, decidendo in maniera autonoma se
fare o meno le ferie, essendo invece vincolato alle richieste ed ai tempi impostigli
dalla Direzione del giornale.
Né fondatamente la ricorrente si duole della ritenuta conferma del carattere
irrinunciabile delle ferie ad opera del d.lgs. n. 66/2003.
L’art. 10 del d.lgs. 66/2003 (come modificato dal d.lgs. n. 213/2004) contempla
il diritto del lavoratore ad un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a
quattro settimane; il diritto alla fruizione (che deve essere continuativa a richiesta

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R. Gen. N. 25806/2010
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del lavoratore) di almeno due settimane di ferie nell’anno di maturazione; la
possibilità di fruire del restante periodo di due settimane di ferie nei diciotto mesi
successivi al termine dell’anno di maturazione.

dall’art. 2109 del codice civile e dalla contrattazione collettiva. Stabilisce, inoltre, il
divieto di monetizzazione delle quattro settimane di ferie garantite dalla legge, salvo
il caso di risoluzione del rapporto.
La nuova normativa rappresenta, come è noto, l’attuazione alle direttive
93/104/CE e 2000/34/CE, i cui concetti fondamentali sono stati poi trasposti nella
direttiva n. 2003/88/CE, e costituisce pertanto l’immediata e diretta derivazione dei
principi nazionali in materia rispetto a quelli comunitari. Giova sottolineare che, in
ambito comunitario, il diritto alle ferie annuali retribuite costituisce “principio
particolarmente importante del diritto sociale comunitario, al quale non si può
derogare e la cui attuazione da parte delle autorità nazionali competenti può essere
effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati dalla direttiva stessa” (punto 43
della sentenza Bectu del 26 giugno 2001, C-173/99; punto 28 della sentenza
Federatie Nederlandse Vakbeweging del 6 aprile 2006, C- 124/05; punto 29 della
sentenza Merino Gomez del 18 marzo 2004, C – 342/01) e che il riposo annuale
costituisce diritto sociale fondamentale del lavoratore, sancito nella Carta dei diritti
fondamentali della Unione Europea, proclamata a Nizza nel dicembre 2000, che,
all’articolo 31.2, nell’ambito del diritto a condizioni di lavoro giuste ed eque, ha
affermato il diritto di “ogni lavoratore” a ferie annuali retribuite.
In tale contesto, dunque, il d.lgs. n. 66/2003, lungi dall’introdurre modifiche o
correttivi al carattere irrinunciabile delle ferie, si limita solo ad escludere la

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La disposizione prevede, poi, la salvaguardia di quanto previsto in materia

R. Gen. N. 25806/2010
Udienza 3/10/2013
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Lanfranco

possibilità di monetizzazione alla scadenza del periodo entro il quale le ferie
possono essere fruite.
Non vi è, dunque, alcun dubbio sulla permanente operatività del principio

(pari a quattro settimane) ovvero in quello eventualmente maggiore contrattualmente
previsto, vada sostituita dalla relativa indennità al momento della cessazione del
rapporto.
Anche, dunque, per la parte delle pretese riferita ad epoca successiva al d.lgs. n.
66/2003, l’intervenuta cessazione del rapporto del Vaccari in data 22/10/2004 rende
del tutto legittima la rivendicazione dell’indennità per le ferie non godute (indicate a
termini del c.c.n.l. in ventisei giorni lavorativi, trenta per coloro che abbiano
un’anzianità aziendale di oltre cinque anni e sino a quindici).
Va, infine, ritenuto che correttamente e con motivazione congrua e logica la
Corte territoriale abbia valutato che la nullità della pattuizione sopra considerata non
intaccasse il residuo contenuto dell’accordo il quale, pertanto, una volta sostituita la
clausola in questione con il riconoscimento del diritto del lavoratore alla fruizione
delle ferie o, in mancanza, all’indennità sostitutiva delle stesse, restava valido ed
efficace con riguardo alla previsione di un superminimo (che è “inscindibile,
essendo sostanzialmente diretto a remunerare, in generale, l’elevata professionalità
del lavoratore”). I giudici di appello hanno così fatto applicazione della disposizione
di cui al secondo comma dell’art. 1419 cod. civ. ai fini della cui operatività non si
richiede che le disposizioni inderogabili, oltre a prevedere la nullità delle clausole
difformi, ne impongano e dispongano, altresì, espressamente la sostituzione. Infatti,
la locuzione codicistica (“sono sostituite di diritto”) va interpretata non nel senso

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secondo cui la mancata fruizione delle ferie annuali, nel periodo del minimo legale

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dell’esigenza di una previsione espressa della sostituzione, ma in quello
dell’automaticità della stessa, trattandosi di elementi necessari del contratto o di
aspetti tipici del rapporto, cui la legge ha apprestato una propria inderogabile

riguardo va sottolineato che qualora, a termini della disposizione citata, le clausole
nulle siano sostituite di diritto da norme imperative, non è comunque possibile
pervenire al risultato dell’invalidità dell’intero contratto neppure in considerazione
della sussistenza di un eventuale vizio del consenso (primo comma della medesima
disposizione) cagionato da errore di diritto essenziale, avente ad oggetto la clausola
nulla in rapporto alla norma imperativa destinata a sostituirla, poiché l’essenzialità
di tale clausola rimane esclusa proprio dalla sostituzione legale con l’inderogabile
regola generale posta a tutela di interessi collettivi di preminente interesse pubblico
(in tal senso fra le altre, Cass. 23 gennaio 1999, n. 645; id. 29 settembre 2005, n.
19156; 2 aprile 2012, n. 5241).
Se, dunque, non era identificabile alcun importo specificamente percepito dal
Vaccari a fronte della clausola ritenuta nulla, neppure poteva ritenersi che vi fosse
un indebito soggetto a restituzione ai sensi dell’art. 2033 cod. civ..
10. Sulla base delle esposte considerazioni, nelle quali tutte le altre eccezioni o
obiezioni devono considerarsi assorbite, in conclusione, il ricorso va rigettato.
11. In applicazione del principio della soccombenza, la società ricorrente va
condannata al pagamento, in favore di Lanfranco Vaccari, delle spese processuali del
presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

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disciplina (così Cass. 21 marzo 2011, n. 6363; id. 22 maggio 2001, n. 6956) ed al

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La Corte rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente al pagamento, in favore
di Lanfranco Vaccari, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in
euro 100,00 per esborsi ed euro.3.000,00 per compensi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2013.

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