Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28426 del 19/12/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 28426 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: AMOROSO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 15008-2012 proposto da:
STANO

MARIANNA

STNMNN55V151330X,

eli~

omicilita In ROMA, VIA XX ZETTEMIARE n. 9U/G

regBg

lo studio dell’avvocato SCATAMACCHIA FABIO, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente 2013
2503.

contro

W.P.B. WATER PUMP BEARING GMBH & CO. KG 01586180034,
in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI RIPETTA 22,
presso lo studio dell’avvocato VESCI GERARDO, che la

Data pubblicazione: 19/12/2013

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ZANETTA
FRANCO, giusta delega in atti;

controricorrente

avverso la sentenza n. 40/2012 della CORTE D’APPELLO
di TORINO, depositata il 19/03/2012 R.G.N. 625/2011;

udienza del 17/07/2013 dal Consigliere Dott. GIOVANNI
AMOROSO;
udito l’Avvocato SCATAMACCHIA FABIO;
udito l’Avvocato ZANETTA FRANCO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso
per l’inammissibilità, in subordine rigetto.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO
1. Con ricorso al Tribunale di Novara STANO Marianna conveniva in
giudizio la società W.P.B. Water Pump Bearing GmbH & Co. KG, esponendo di
essere stata assunta alle dipendenze della convenuta il 7.7.1986 in quanto
appartenente a categoria protetta (equiparati agli orfani di guerra), con qualifica di
operaia e mansioni di guida macchine specializzata; di essere stata addetta, nel corso
del rapporto, a diverse mansioni e, a partire dal 9.6.2003. a mansioni incompatibili

emesso dallo Spresal (Servizio prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro) il
15.10.2003, era stata impiegata in un numero di mansioni sempre minore, fino a
rimanere di fatto inoperosa per metà della giornata lavorativa; che con lettera. del
26.5.2006 era stata licenziata per asserito giustificato motivo oggettivo consistente
nel fatto che, a seguito delle limitazioni all’idoneità stabilite dal medico competente
dello Spresal, la prestazione parziale e frammentata che lei era in grado di offrire non
poteva essere utilmente impiegata in azienda.
Ciò premesso, chiedeva dichiararsi l’inefficacia del licenziamento perché
intimato durante lo stato di malattia, e comunque la sua illegittimità per violazione
della quota di riserva ex L. 68/1999 e per insussistenza del dedotto giustificato
motivo, con le conseguenze di cui all’art. 18 St. lav.; chiedeva altresì la condanna
della convenuta al risarcimento dei danni per il demasionamento subito e per la
sindrome depressiva causata dall’illegittimo licenziamento.
Costituendosi in giudizio, la W.P.B. contestava il fondamento della domanda.
chiedendone il rigetto.
Istruita la causa, con sentenza del 15.12.2010 -7.4.2011 il Tribunale di
Novara adito dichiarava l’inefficacia del licenziamento fino al termine della malattia
e respingeva ogni altra domanda.
2. Avverso detta sentenza interponeva appello la sig.ra Stano, con ricorso
depositato il 17.5 .2011, chiedendone la riforma.
L’appellata, costituitasi, resisteva al gravame.
Con sentenza del 17.1.2012 . 19 marzo 2012 la Corte d’appello di Torino
rigettava l’appello compensando le spese del grado.
3. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione l’originaria ricorrente con
23 motivi.
Resiste con controricorso la parte intimata.
La ricorrente ha depositato memoria.
15008_12 r.g.n.

3

ud. 17 luglio 2013

con il suo stato di salute; che, a seguito di certificato di idoneità con limitazioni.

4. Il ricorso, articolato in 23 motivi, oggettivamente connessi e quindi
suscettibili di esame congiunto, è infondato.
5. Tale è il motivo con cui si deduce la violazione dell’art. 10, quarto comma,
legge n. 68 del 1999: la ragione dell’annullabilità del licenziamento si applica secondo la ricorrente – non solo ai disabili ex I. n. 68/1999 ma anche alle categorie
equiparate ex art. 18.
La questione è infondata.

lavoro dei disabili obbligatoriamente assunti, prevede al quarto comma che il recesso
di cui all’art. 4, comma 9, della legge 23 luglio 1991, n. 223 , ovvero il licenziamento
per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo, esercitato nei
confronti del lavoratore occupato obbligatoriamente, è annullabile qualora, nel
momento della cessazione del rapporto, il numero dei rimanenti lavoratori occupati
obbligatoriamente sia inferiore alla quota di riserva prevista all’art. 3 della legge
medesima.
Quindi il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, al quale si riferisce
tale disposizione, non può che essere quello per soppressione del posto (ossia il c.d.
licenziamento economico) in simmetria con il licenziamento collettivo per riduzione
di personale. Consegue che, ove anche ai lavoratori assimilati ex art. 18 1. n. 68 del
1999 cit. ai disabili (orfani e dei coniugi superstiti di coloro che siano deceduti per
causa di lavoro, di guerra o di servizio, ovvero in conseguenza dell’aggravarsi
dell’invalidità riportata per tali cause, nonché dei coniugi e dei figli di soggetti
riconosciuti grandi invalidi per causa di guerra, di servizio e di lavoro e dei profughi
italiani rimpatriati) fosse da riconoscere la stessa protezione, comunque nella specie
mancherebbe il presupposto di fatto della soppressione del posto atteso che quello
intimato alla ricorrente non può qualificarsi tale essendo sorretto invece dalla diversa
ragione connessa alla ridotta attitudine della stessa a svolgere le sue mansioni.
6. Infondato è poi il motivo con cui il ricorrente lamenta la genericità delle
ragioni addotte nella lettera di licenziamento, che avrebbe comportato la lesione del
suo diritto di difesa.
L’art. 2 della 1. 604/1966 non prevedeva, all’epoca, alcun obbligo di
motivazione della lettera di licenziamento, obbligo che sorge solo a seguito della
richiesta in tal senso da parte del lavoratore, da formularsi entro 15 giorni dal
licenziamento, a decorrere dalla quale l’azienda ha 7 giorni per comunicare i motivi
del recesso. Comunque nella specie la lettera di licenziamento – ha apprezzato la
15008_ 12 r.g.n.

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ud. 17 luglio 2013

L’art. 10 della legge n. 68 del 1999, che detta norme in ordine al rapporto di

Corte territoriale – è motivata più che chiaramente, con riferimento al fatto che. a
seguito delle limitazioni all’idoneità stabilite dal medico competente e dallo Spresal,
la prestazione parziale e frammentata che la sig.ra Stano era in grado di offrire non
poteva essere utilmente impiegata in azienda. La struttura dell’organizzazione
aziendale era tale da non consentire l’utilizzazione della sig.ra Stano in mansioni
diverse da quelle che svolgeva al momento del licenziamento e che, non potendo
essere da lei svolte per più di quattro ore complessive nell’arco della giornata

prestazione utile per l’azienda. Fermo restando – come pure correttamente deduce la
ricorrente – che il controllo del giudice sul corretto esercizio del potere disciplinare,
ai sensi degli art. 3 1. n. 604 del 1966 e 7 stat. lav. non può avere ad oggetto fatti
diversi da quelli contestati e recepiti nella motivazione del licenziamento che siano
emersi nell’istruzione della causa, anche se essi abbiano delle analogie con quelli
contestati (Cass., sez. lav., 12 gennaio 2005, n. 428).
Né c’è violazione del giudicato. La Corte d’Appello nella seni. n. 885/2007,
resa inter partes e richiamata dalla ricorrente, non ha affatto accertato che
esistessero mansioni alternative cui adibire la sig.ra Stano, avendo solo affermato come puntualmente rileva la pronuncia impugnata della Corte territoriale – che “il
conferimento dell’incarico esteso anche al quesito in oggetto (ricerca di altre
mansioni compatibili con lo stato di salute della lavoratrice) era determinato dalla
necessità di individuare mansioni alternative nel caso in cui il consulente avesse
ritenuto non compatibili le mansioni assegnate e svolte al momento della visita
peritale. Tale evenienza non si è verificata in quanto il C.T.U. ha ritenuto compatibili
le mansioni svolte dalla ricorrente e non vi era quindi necessità di estendere
l’accertamento”.

7. Inammissibili sono poi i plurimi profili di censura riferibili a vizi di
motivazione invocando la ricorrente un sindacato di merito che non compete a questa
Corte né è compatibile con il giudizio di legittimità.
In generale questa Corte, quale giudice di legittimità, non ha il potere di
riesaminare autonomamente il merito della intera vicenda processuale sottoposta al
suo vaglio, bensì soltanto quello di controllare. sotto il profilo della correttezza
giuridica e della coerenza logico – formale, le argomentazioni – svolte dal giudice del
merito, al quale spetta in via esclusiva l’accertamento dei fatti, all’esito della
insindacabile selezione e valutazione della fonti del proprio convincimento. Il vizio
di motivazione può emergere solo se, dall’esame del ragionamento svolto dal giudice
15008 12 r.g.n.

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ud. 17 luglio 2013

(interrotte, dopo due ore di lavoro, da due ore di pausa). non costituivano una

di merito, quale risultante dalla sentenza impugnata, sia rinvenibile traccia evidente
del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati
dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le
argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione
del procedimento logico- giuridico posto a base della decisione, mentre non rileva la
mera divergenza tra valore e significato, attribuiti dallo stesso giudice di merito agli
elementi da lui vagliati, ed il valore e significato diversi che, agli stessi elementi,

In altri termini, il controllo di logicità del giudizio di fatto – consentito al
giudice di legittimità – non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”,
ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione
della questione esaminata: invero una revisione siffatta si risolverebbe,
sostanzialmente, in una nuova formulazione del giudizio di fatto, riservato al giudice
del merito, e risulterebbe affatto estranea alla funzione assegnata dall’ordinamento al
giudice di legittimità.
Nella specie, non ravvisandosi nell’iter argomentativo della Corte d’appello
violazioni di legge ed incongruenze o deficienze motivazionali, gli ulteriori motivi
del ricorso devono essere disattesi.

8. Nel complesso il ricorso va rigettato.
Alla soccombenza consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle
spese processuali di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in
dispositivo.

PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di
questo giudizio di cassazione liquidate in curo 50,00 per esborsi oltre curo 3.000,00
(tremila) per compensi d’avvocato ed oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 17 luglio 2013
Il Consigliere

Il Presidente

siano attribuiti dal ricorrente ed, in genere, dalle parti.

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