Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28413 del 05/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 05/11/2019, (ud. 10/09/2019, dep. 05/11/2019), n.28413

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14104-2018 proposto da:

(OMISSIS) SRL, i persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati CARLO DE MAIO,

LUIGIA DIBISCEGLIA;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SRL, in persona del Curatore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA XX SETTEMBRE 3, presso lo

studio dell’avvocato GIUSEPPE MICCOLIS, rappresentato e difeso

dall’avvocato GIANPAOLO IMPAGNATIELLO;

– controricorrente –

BANCA DI CREDITO COOPERATIVO DI NAPOLI;

– intimata –

avverso la sentenza n. 598/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 30/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 10/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO

CAMPESE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La (OMISSIS) s.r.l. ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi, avverso la sentenza della Corte di appello di Bari n. 598 del 2018, reiettiva del reclamo da essa proposto contro la decisione del Tribunale di Foggia che, su istanza della Società Cooperativa P.A. Banca di Credito Cooperativo di Napoli (per il prosieguo, più semplicemente Banca), ne aveva dichiarato il fallimento in data (OMISSIS). Resiste, con controricorso, la curatela fallimentare, mentre non ha spiegato difese, in questa sede, la creditrice istante. Entrambe le parti costituite hanno depositato memoria ex art. 380 – bis c.p.c..

1.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte: i) disattese le doglianze riguardanti l’eccepita incompetenza territoriale dell’adito tribunale ed i dedotti vizi di notificazione del ricorso di fallimento; ii) ritenne che la lettera, datata 28 settembre 2017, ivi prodotta dalla Banca, in cui la stessa dichiarava che il credito posto a fondamento del suddetto ricorso sarebbe stato pagato prima della pronuncia di fallimento, fosse inidonea a giustificare la revoca della pronuncia impugnata; iii) ribadì la sussistenza dello stato di insolvenza della reclamante.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I formulati motivi di ricorso prospettano, rispettivamente:

I) “Nullità della sentenza per illogicità, contraddittorietà e contrasto irriducibile di affermazioni in relazione alla L. fall., artt. 9 e 15, all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nonchè violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla L. Fall., artt. 9 e 15”. Si insiste per la declaratoria di incompetenza territoriale del Tribunale di Foggia, in favore di quello di Napoli, a dichiarare il fallimento della odierna ricorrente, la cui sede effettiva, diversamente da quanto sancito dalla corte territoriale, doveva considerarsi ubicata in (OMISSIS). Da ciò si fa conseguentemente derivare la invalidità della notificazione dell’istanza di fallimento effettuata dalla Banca, con le modalità di cui alla L. Fall., art. 15, comma 3, (nel testo, applicabile ratione temporis, modificato dal D.L. n. 179 del 2012, art. 17, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 221 del 2012), sul presupposto della permanenza in Cerignola (FG) della sede legale della fallenda.

II) “Violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla L. Fall., artt. 5 e 6, all’art. 81 c.p.c., nonchè in relazione agli artt. 2697,2698 c.c. ed all’art. 115 c.p.c.”. Si ascrive alla corte barese di aver mantenuto ferma la dichiarazione di fallimento malgrado la creditrice istante avesse affermato di aver ricevuto, da parte di tal I.S., il pagamento di quanto dovutole dalla (OMISSIS) s.r.l. anteriormente a tale pronuncia e di aver tempestivamente rinunciato alla sua domanda di ammissione al passivo;

III) “Violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 5 L. Fall. ed anche in relazione agli artt. 2697,2698 c.c. ed all’art. 115 c.p.c.”, criticandosi la decisione impugnata nella parte in cui aveva ritenuto sussistente lo stato di insolvenza della menzionata società.

2. Il primo motivo, in cui la sollevata eccezione di incompetenza territoriale e quella di invalidità della notificazione del ricorso di fallimento appaiono innegabilmente tra loro collegate, così da renderne problematico l’esame della seconda scisso dalla prima, è complessivamente insuscettibile di accoglimento.

2.1. Va pregiudizialmente evidenziato che tale doglianza è caratterizzata dalla mescolanza e dalla sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, mentre, in tema di ricorso per cassazione, non è consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della nonna, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo ed il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (cfr. Cass. n. 26874 del 2018).

2.2. Giova, poi, premettere che la corte barese, muovendo dal principio giurisprudenziale, qui assolutamente condiviso, secondo cui la competenza territoriale per la dichiarazione di fallimento di una società spetta al tribunale del luogo in cui si trova la sede principale dell’impresa, ossia ove si svolge effettivamente la sua attività direttiva ed amministrativa, che, secondo una presunzione iuris tantum coincide con quella legale, salvo che non sia fornita la prova che la sede effettiva sia altrove e che quella legale sia, quindi, solo fittizia (fr. Cass. n. 23719 del 2014; Cass. n. 15872 del 2013; Cass. n. 8176 del 2005; Cass. n. 4206 del 2003), ha ritenuto che detta prova non fosse stata adeguatamente fornita.

2.2.1. Essa, in particolare, pur considerando “accertato che lo stabilimento di Cerignola (dove sarebbe formalmente ubicata la sede della (OMISSIS) s.r.l.. Ndr) sia inattivo dal 2013”, ha, invece, valutato come non assolto dalla reclamante, che ne era gravata, l’onere della prova della circostanza che a Napoli fosse ubicato il “centro propulsivo aziendale e degli affari”, ovvero quello “in cui si svolge l’attività direzionale”, ovvero ancora quello “in cui vengono individuate e decise le scelte strategiche cui dare seguito” o “in cui la società operi dal punto di vista decisionale”. Quella corte, infatti, ha esaustivamente esposto le ragioni che l’hanno indotta a considerare come inidonei i plurimi elementi a tal fine dedotti dalla predetta società (cfr., amplius, pag. 2-4 della sentenza impugnata), giungendo alla conclusione che “le prove messe a disposizione della corte dimostrano, da un lato, che lo stabilimento di Cerignola era inattivo dal 2013 e che l’azienda versava in una situazione di irreversibile decozione, dall’altro, che non solo a Napoli non c’era alcun centro strategico decisionale dell’impresa, ma che, addirittura, l’ultima attività negoziale fu compiuta dall'(OMISSIS) in Cerignola, quasi in prossimità della dichiaratone di fallimento” (cfr., amplius, pag. 5 della medesima sentenza).

2.3. Va poi ricordato che questa Corte ha, ancora recentemente (cfr. Cass. n. 27686 del 2018), chiarito che: a) il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, può rivestire la forma della violazione di legge (intesa come errata negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero attribuzione alla stessa di un significato inappropriato) e della falsa applicazione di norme di diritto (intesa come sussunzione della fattispecie concreta in una disposizione non pertinente perchè, ove propriamente individuata ed interpretata, riferita ad altro, ovvero deduzione da una norma di conseguenze giuridiche che, in relazione alla fattispecie concreta, contraddicono la sua pur corretta interpretazione. Cfr. Cass. n. 8782 del 2005); b) non integra, invece, violazione di legge, nè falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poichè essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretative ed applicativo della norma di legge; c) il discrimine tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. Cass., Sez. U., n. 10313 del 2006; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010); d) le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito (0-. Cass. n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015).

2.3.1. La censura in esame si risolve, invece, sostanzialmente, in parte qua, in una critica al complessivo accertamento fattuale operato dal giudice di merito, cui la ricorrente intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di nullità della sentenza, di violazione di legge o di vizio motivazionale, una propria diversa valutazione, totalmente obliterando, però, da un lato, che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – come si è appena detto – non può essere mediato dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie, ma deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione; dall’altro, che la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza pubblicata il 30 marzo 2018), ha avuto l’effetto di limitare la rilevanza del vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare, con riferimento a quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza (o di altro provvedimento decisorio) per “mancanza della motivajone”, ipotesi configurabile allorchè la motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (cfr. Cass. n. 22598 del 2018; Cass. n. 23940 del 2017).

2.3.2. Non solo, dunque, non è più denunciabile, in sede di legittimità, la motivazione insufficiente e/o illogica e/o contraddittoria, ma oggetto del vizio di cui alla norma da ultimo citata è, oggi, esclusivamente l’omesso esame circa un “fatto decisivo per il giudizio” che è stato oggetto di discussione tra le parti”, e cioè: i) un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c., cioè un “fatto” costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (cfr. Cass. n. 16655 del 2011; Cass. n. 7983 del 2014; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 29883 del 2017); ii) un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico (fr. Cass. n. 21152 del 2014; Cass., SU, n. 5745 del 2015); iii) un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, e le relative ricadute di esso in termini di diritto (Dott. Cass. n. 5133 del 2014); iv) una vicenda la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali (Dott. Cass., SU, n. 8053 del 2014). Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, tra gli altri: a) le argomentazioni o deduzioni difensive Cass., SU, n. 16303 del 2018, in motivazione; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015); b) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (Dott. Cass., SU, n. 8053 del 2014).

2.3.3. Inoltre, il “fatto” il cui esame sia stato omesso deve avere carattere “decisivo”, vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia.

2.4. In applicazione dei suesposti principi, allora, va rimarcato che la corte distrettuale – con una motivazione che non integra affatto violazione dei principi dettati in tema di onere della prova e di prova presuntiva, oltre che scevra da vizi logici, siccome basata sulla puntuale e dettagliata descrizione e ponderazione di indici concreti – è giunta alla conclusione che, nella specie, il quadro istruttorio desumibile dalla documentazione prodotta in atti, valutato in ciascun elemento e nel suo complesso, fosse inidoneo a far ritenere raggiunta la prova della ubicazione in Napoli dell’effettivo centro direzionale ed amministrativo della (OMISSIS) s.r.l.; nè potrebbe sostenersi, fondatamente, che l’argomentare del giudice del reclamo abbia trascurato alcuni dati dedotti dalla odierna ricorrente, per la semplice ragione di averli ritenuti, esplicitamente o implicitamente, irrilevanti.

2.4.1. La corte barese, invero, ha ampiamente descritto (cfr. amplius, pag. 2-4 dell’impugnata sentenza) gli elementi istruttori che l’hanno indotta a quella conclusione, ed il corrispondente accertamento, effettuato valorizzando indici probatori giudicati inidonei a vincere la presunzione iuris tantum di corrispondenza tra la sede legale e la sede effettiva della menzionata società, integra una valutazione fattuale, a fronte della quale quest’ultima, con il motivo in esame, tenta, sostanzialmente, di opporre alla ricostruzione dei fatti definitivamente sancita nella decisione impugnata una propria alternativa loro interpretazione, sebbene sotto la formale rubrica di vizio motivazionale e/o di violazione di legge, mirando ad ottenerne una rivisitazione (e differente ricostruzione), in contrasto con il granitico orientamento di questa Corte per cui il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (r., ex multis, Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U., n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).

2.5. Quanto fin qui esposto rende priva di fondamento anche la contestazione della ricorrente circa l’asserita invalidità della notificazione dell’istanza di fallimento effettuata dalla Banca, con le modalità di cui alla L. Fall., art. 15, comma 3, (nel testo, applicabile catione temporis, modificato dal D.L. n. 179 del 2012, art. 17, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 221 del 2012), sul presupposto – rivelatosi corretto, non essendo stata adeguatamente dimostrata l’ubicazione in Napoli della sede principale della (OMISSIS) s.r.l., ossia ove si svolgeva effettivamente la sua attività direttiva ed amministrativa, non essendo, dunque, stata superata la presunzione, iuris tantum, della sua coincidenza con quella legale – della permanenza in Cerignola (FG) della sede legale della fallenda.

2.5.1. Invero, è qui sufficiente ricordare che: i) ogni imprenditore, individuale o collettivo, iscritto al registro delle imprese è tenuto a dotarsi di indirizzo di posta elettronica certificata, ai sensi del D.L. n. 185 del 2008, ex art. 16, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 2 del 2009 (come novellata dalla L. n. 35 del 2012. Per gli imprenditori individuali analogo obbligo è stato introdotto dal D.L. n. 179 del 2012, art. 5, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 221 del 2012), e, come già chiarito da questa Corte, tale indirizzo costituisce l’indirizzo “pubblico informatico” che i predetti hanno l’onere di attivare, tenere operativo e rinnovare nel tempo fin dalla fase di iscrizione nel registro delle imprese (per il periodo successivo alla entrata in vigore delle disposizioni da ultimo citate), – e finanche per i dodici mesi successivi alla eventuale cancellazione da esso – la cui responsabilità, sia nella fase di iscrizione che successivamente, grava sul legale rappresentante della società, non avendo al riguardo alcun compito di verifica l’Ufficio camerale (cfr. Cass. n. 31 del 2017; Cass. n. 16864 del 2018); à) nell’ambito dei procedimenti per la dichiarazione di fallimento introdotti, come quello oggi in esame, dopo il 31 dicembre 2013, ai sensi della L. Fall., art. 15, comma 3, come sostituito dal D.L. n. 179 del 2012, art. 17, comma 1, lett. a), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 221 del 2012, la cancelleria procede direttamente alla notifica al debitore del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza, mediante trasmissione di tali atti in formato digitale all’indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) del destinatario risultante dal registro delle imprese, ovvero dall’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata. Solo nel caso in cui ciò risulti impossibile, o se la notifica abbia avuto esito negativo (come accaduto nella specie), della stessa viene onerato il creditore istante che dovrà procedervi a mezzo di ufficiale giudiziario, il quale, a tal fine, dovrà accedere di persona presso la sede legale del debitore con successivo deposito nella casa comunale, ove il destinatario non sia lì reperito Cass. n. 28803 del 2018).

3. Il secondo motivo è infondato.

3.1. Giova premettere che, secondo la giurisprudenza di questa Corte Cass. n. 6978 del 2018), l’istanza di fallimento non è una Ric. 2018 condizione dell’azione che deve persistere fino al passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa di fallimento, ma costituisce un’azione autonoma (introdotta dal creditore o dal P.M.) che, quale presupposto legittimante l’apertura della procedura, deve sussistere al momento della pronuncia della dichiarazione di fallimento e rispetto a quel frangente deve essere verificata anche nel successivo corso del procedimento di impugnazione.

3.1.1. Pertanto, la desistenza dell’unico creditore istante successiva alla dichiarazione del fallimento non comporta la revoca del fallimento stesso (Dott. Cass. n. 7817 del 2017; Cass. n. 8980 del 2016; Cass. n. 21478 del 2013): questa dichiarazione, infatti, una volta pronunciata, produce effetti erga omnes, la persistenza dei quali non può essere rimessa alla mera volontà del creditore istante (o comunque alle vicende del suo rapporto con il fallito), la cui necessaria funzione propulsiva della procedura fallimentare si esaurisce con la dichiarazione del fallimento.

3.2. Ciò posto, questo collegio ritiene opportuno (condividendo quanto affermato, su vicenda sostanzialmente analoga, dalle recenti Cass. n. 16122 del 2019 e Cass. n. 20663 del 2019) apportare alcune precisazioni ai principi già enunciati dall’orientamento di questa Corte Cass. n. 21478 del 2013) secondo cui, stante la necessità che l’istanza di fallimento sia mantenuta ferma per tutta la durata del processo, la desistenza dell’unico creditore istante intervenuta anteriormente – come si assume essere accaduto nella fattispecie de qua – alla pubblicazione della sentenza di fallimento, pur se depositata solo in sede di reclamo avverso quest’ultima, determina la carenza di legittimazione di quel creditore e la conseguente revoca della menzionata sentenza.

3.2.1. E’ necessario, invero, distinguere tra una desistenza dovuta al pagamento del creditore istante, idonea a comportare, sempre che sia avvenuta prima della sentenza di fallimento, la revoca della declaratoria di fallimento, ed una desistenza non accompagnata da alcuna estinzione del debito.

3.2.1.1. In questo secondo caso, non si può trascurare di considerare che la desistenza è un atto di rinuncia all’istanza di fallimento e ha natura meramente processuale. Un simile atto, in ragione della sua peculiare natura, deve intendersi rivolto al giudice e da estendere a quest’ultimo, al pari della domanda iniziale, perchè egli lo valorizzi nel contesto procedimentale in cui è formato. Ne consegue che la rinuncia non può produrre effetto ove non sia presentata al giudice che ne deve tenere conto ai fini della decisione e, per tale motivo, è inidonea a determinare la revoca della sentenza di fallimento se prodotta soltanto in sede di reclamo.

3.2.2. La desistenza conseguente all’estinzione dell’obbligazione influisce, invece, sulla legittimazione del creditore istante e, ove il pagamento risulti avvenuto – con i crismi della data certa, ai sensi dell’art. 2704 c.c. – in epoca antecedente alla dichiarazione di fallimento, ben può essere rappresentata anche al collegio del reclamo al fine di dimostrare il venir meno della legittimazione del creditore istante al momento della dichiarazione di fallimento.

3.3. Fermo quanto precede, la corte distrettuale, all’esito dell’esame della documentazione allegata (cfr. pag. 6-8), ha affermato “che non c’è mai stata desistenza della banca creditrice prima della pronuncia di fallimento, nè, tanto meno, è stata fornita la prova del presunto pagamento, anteriore al fallimento, del credito azionato con l’istanza di fallimento”.

3.3.1. Quella corte, dunque, non solo ha escluso l’esistenza della prova dell’avvenuta estinzione del debito della (OMISSIS) s.r.l. verso la Banca, ma ha anche, in ogni caso, specificato che detta prova avrebbe dovuto avere il carattere, invece carente, della certezza di data anteriore al fallimento: di essa, pertanto, la corte barese non avrebbe potuto comunque tenere conto al fine di ponderare il venir meno della legittimazione della creditrice istante al momento della dichiarazione di fallimento. Nè ad una siffatta carenza poteva ragionevolmente supplire la mera circostanza che la menzionata Banca creditrice, costituendosi in sede di reclamo, avesse dichiarato che il credito posto a fondamento del proprio ricorso sarebbe stato pagato prima della pronuncia di fallimento. Invero, l’art. 2704 c.c. fa discendere la certezza della data della scrittura privata non autenticata rispetto ai terzi, oltre che dalla registrazione ovvero dagli eventi specificamente considerati dalla norma, anche dal verificarsi di un altro fatto che stabilisca in modo egualmente certo l’anteriorità della formazione del documento. Esso, peraltro, benchè non contenga un’elencazione tassativa di fatti in base ai quali la data di una scrittura privata non autenticata debba ritenersi certa rispetto ai terzi e lasci al giudice di merito la valutazione, caso per caso, della sussistenza di un fatto, diverso dalla registrazione, idoneo, secondo l’allegazione della parte, a dimostrare la data certa, consente che tale fatto possa essere oggetto di prova per testi o per presunzioni sempre che non riguardi un atto proprio della stessa parte interessata alla prova (fr. Cass. n. 17926 del 2016).

3.3.2. Sotto questo profilo, quindi, la critica della ricorrente si rivela inammissibile, in quanto la stessa non poteva prescindere dagli accertamenti in fatto compiuti dalla corte territoriale o sollecitarne, implicitamente, la rinnovazione in questa sede, tenuto conto che il giudice di legittimità non ha il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà del controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito.

3.3.3. Da ultimo, va soltanto ricordato che l’avvenuta rinuncia della Banca suddetta alla propria istanza di ammissione al passivo, lungi dal potersi configurare come fattispecie idonea a comportare la improcedibilità del suo ricorso di fallimento (come ritenuto dalla ricorrente. Cfr. pag. 73 del ricorso), avrebbe soltanto prodotto, ove si fosse trattato di unica domanda, la chiusura del fallimento ai sensi della L. Fall., ex art. 118, comma 1, n. 2.

4. Il terzo motivo, infine, è inammissibile.

4.1. La legge fallimentare, invero, non prevede un requisito di manifestazione all’esterno dello stato di insolvenza, ma degli indizi che ne costituiscono gli elementi sintomatici e sono apprezzabili dal giudice al fine della dimostrazione della sua sussistenza.

4.1.1. Più precisamente l’insolvenza si identifica con uno stato di impotenza funzionale non transitoria a soddisfare le obbligazioni inerenti all’impresa e si esprime, secondo una tipicità desumibile dai dati dell’esperienza economica, nell’incapacità di produrre beni o servizi con margine di redditività da destinare alla copertura delle esigenze di impresa (prima fra tutte l’estinzione dei debiti), nonchè nell’impossibilità di ricorrere al credito a condizioni normali, senza rovinose decurtazioni del patrimonio (Dott., ex multis, Cass. n. 6978 del 2019; Cass. n. 7252 del 2014; Cass. n. 3371 del 1977).

4.1.2. L’accertamento di una simile condizione si avvale dell’esistenza di fatti esteriori – quali inadempimenti o altre circostanze, con valore meramente indiziario e da apprezzarsi caso per caso – idonei a manifestare quello stato Cass. n. 6978 del 2019; Cass. n. 19027 del 2013).

4.2. Di questi principi ha fatto corretta applicazione la corte territoriale laddove, premettendo che “la (OMISSIS) s.r.l. non è una società in liquidazione”, ha ritenuto, con un apprezzamento di merito non sindacabile in questa sede, che l’incapacità finanziaria, strutturale e irreversibile, della società di soddisfare le proprie obbligazioni si fosse manifestata esteriormente attraverso (d-r. pag. 8 della sentenza impugnata): i) il fatto che “l’unica unità produttiva dell’impresa (lo stabilimento di Cetignola) è inattiva da anni e giace in situazione di totale abbandono, nonchè il fatto che la fallita non risulti avere altre attività economiche in corso”; is) la circostanza che “come risulta dalla documentazione acquisita, l’ultimo bilancio di esercizio pubblicato è quello al 31.12.2011”; iii) il rilievo che “i cespiti aziendali presenti presso la sede legale o sono stati venduti, ovvero sono inutilivabili e oggetto, da tempo, di saccheggio ed atti vandalici, mentre gli arredi, già in stato di abbandono, sono stati completamente distrutti nell’incendio divampato nel maggio del 2017”. La medesima corte, inoltre ha sottolineato che “l’entità dei crediti ammessi nello stato passivo approvato è tale da non lasciare alcun dubbio sullo stato di insolvena della reclamante”.

4.2.1. La censura in esame risulta, dunque, inammissibile risolvendosi, sostanzialmente, in una critica al complessivo accertamento fattuale operato dal giudice a quo, cui la ricorrente intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di vizio di violazione di legge, una diversa valutazione: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (Dott. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017).

5. Il ricorso va, dunque, respinto, restando le spese di questo giudizio di legittimità regolate, tra le sole parti costituite, dal principio di soccombenza, e dandosi atto, altresì della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 – quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la (OMISSIS) s.r.l. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della medesima ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2019

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