Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28411 del 14/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 14/12/2020, (ud. 30/09/2020, dep. 14/12/2020), n.28411

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 432/2020 proposto da:

G.L.T., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati MARCO RAVAZZOLO, EVA VIGATO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI VERONA – SEZIONE

DI PADOVA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e

difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici

domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositata il 19/09/2019

R.G.N. 3059/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/09/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. con Decreto n. 10032/2019 il Tribunale di Venezia ha respinto l’impugnazione proposta da G.L.T., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la CT aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato o di forme complementari di protezione o, in subordine, di concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari; secondo il racconto del G. la necessità di allontanamento dal paese di origine era scaturita dall’accusa a suo carico di omicidio in conseguenza dell’investimento di due ragazzi avvenuto mentre si trovava alla guida dell’autovettura di proprietà del datore di lavoro che gliela aveva affidata;

2. il Tribunale ha ritenuto che le dichiarazioni del ricorrente non consentivano di ritenere integrati i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato in quanto generiche, inverosimili e non supportate da documentazione o riscontro; in merito alla protezione sussidiaria ha osservato che il ricorrente non aveva dedotto in modo coerente di essere esposto ai rischi previsti dalle ipotesi di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b); neppure ricorreva l’ipotesi di cui dell’art. 14 cit., lett. c, posto che dalla fonti internazionali consultate emergeva che il Senegal godeva di una situazione di relativa stabilità; non sussistevano in ogni modo conflitti che potevano mettere in pericolo fasce indiscriminate di popolazione; il ricorrente non aveva allegato o dimostrato circostanze di particolare vulnerabilità rilevanti ai fini della concessione della protezione umanitaria; la documentazione in atti relativa alla situazione lavorativa non era idonea a dimostrare la effettiva integrazione in Italia del G., integrazione peraltro che anche ove sussistente non avrebbe potuto comunque giustificare di per sè sola ed difetto di rischio specifico connesso al rimpatrio, la concessione della protezione umanitaria;

3. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso G.L.T. sulla base di tre motivi;

4. il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, censurando il decreto impugnato per errata applicazione dei criteri di valutazione della credibilità o affidabilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente; nel caso di specie il giudice aveva motivato la complessiva valutazione di non plausibilità del racconto del ricorrente sulla base di argomentazioni apodittiche e non su e non su riscontri qualificati acquisiti D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 8, come prescritto;

2. con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g), art. 3, comma 3, lett. a), art. 5, lett. b) e art. 14, nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Censura la decisione per avere escluso i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi dell’art. 14, lett. c) D.Lgs. cit. essendosi il giudice del merito limitato ad un generico riferimento ai rapporti UNHCR secondo i quali il Senegal ha un sistema democratico abbastanza efficiente e collabora in ogni settore con le organizzazioni internazionali; in tal modo era stato omesso di considerare, sulla base di fonti aggiornate la gravissima situazione dell’area della Casamance dalla quale proviene il ricorrente; inoltre le fonti consultate risultavano deficitarie in punto di verifica della capacità degli apparati di polizia e giudiziari di assicurare al richiedente la protezione internazionale; era stato, infine, del tutto omesso l’accertamento della situazione in Libia, paese di elezione del ricorrente nel quale esso G. era vissuto ed aveva lavorato;

3. con il terzo motivo di ricorso deduce violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (anche in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. h- bis), (ovvero alla protezione speciale o in casi speciali ex lege n. 142 del 2008) per mancata valutazione della situazione personale del richiedente ai fini della sussistenza dei presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6; censura la decisione per avere la Corte omesso di prendere in considerazione la situazione lavorativa e di integrazione sociale del ricorrente comparandola con quella del paese di origine;

4. il primo motivo di ricorso è inammissibile per la inidoneità delle doglianze articolate alla valida censura della decisione; esse si sostanziano in critiche del tutto generiche alla ritenuta inattendibilità del racconto del ricorrente da parte del giudice di merito, inattendibilità che è stata fondata sia su una complessiva valutazione di non credibilità dei fatti narrati con riferimento alla esistenza di un procedimento per omicidio a carico del ricorrente sia sulla totale carenza di elementi di riscontro; la critica a tali argomentazioni, che non consentono di configurare, come pure prospettato dal ricorrente, un’apparenza di motivazione, risulta affidata ad affermazioni di stile che nulla dicono in relazione alla specifica vicenda e tantomeno contrastano con specifici argomenti la valenza attribuita alla mancanza di riscontri documentali al racconto del ricorrente;

5. il secondo motivo di ricorso è inammissibile;

5.1. il Tribunale ha escluso la esistenza nel paese di provenienza dell’aspirante alla protezione di una situazione di violenza indiscriminata da conflitto armato, citando specificamente i rapporti UNHCR che attestavano una situazione in Senegal di relativa stabilità e l’esistenza di un sistema democratico (v. decreto, pag. 6); tale accertamento non è validamente contrastato dall’odierno ricorrente il quale non dà contezza dell’errore in tesi attribuito al giudice di merito nella ricostruzione della situazione del paese di origine dell’aspirante alla protezione, in termini tali da escludere i presupposti della protezione sussidiaria;

5.2. come chiarito da questa Corte (Cass. n. 13449/2019 ed inoltre Cass. n. 13450/2019, Cass. n. 13451/2019 e Cass. n. 13452/2019, in motivazione), il giudice di merito, nel fare riferimento alle c.d. fonti privilegiate di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve indicare la fonte in concreto utilizzata, nonchè il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione (sul punto, cfr. anche Cass. n. 11312/2019). Nel caso di specie, la decisione impugnata soddisfa i suindicati requisiti, posto che essa indica le fonti in concreto utilizzare dal giudice di merito e consente in tal modo alla parte la duplice verifica della provenienza e della pertinenza dell’informazione. L’assunto che le informazioni sulla base delle quali il giudice di merito ha escluso i presupposti della protezione sussidiaria non troverebbero risconto in altre autorevoli fonti internazionali non è adeguatamente contrastato posto che parte ricorrente omette ogni riferimento idoneo alla compiuta identificazione di tali pretese fonti che attesterebbero la “gravissima situazione” dell’area della Casamance dalla quale proviene il ricorrente; questa Corte non può, infatti, spingersi sino alla valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice del merito, laddove nel motivo di censura non vengano evidenziati precisi riscontri idonei ad evidenziare che le informazioni sulla cui base il giudice territoriale ha deciso siano state superate da altre e più aggiornate fonti qualificate (Cass. n. 26728/2019); infine, la denunzia di mancato accertamento della situazione in Libia dove il ricorrente sarebbe vissuto ed avrebbe lavorato prima di venire in Italia, è inammissibile per violazione del divieto di novum non avendo parte ricorrente chiarito, come suo onere, se ed in che termini la questione della permanenza nello stato libico, era stata allegata nella fase di merito;

6. il terzo motivo di ricorso è inammissibile; il giudice di merito, con accertamento di fatto, non sindacabile in sede di legittimità, se, come nel caso di specie, congruamente e logicamente motivato, ha ritenuto la documentazione prodotta inidonea a dimostrare la avvenuta integrazione in Italia del ricorrente soggiungendo che neppure la compiuta integrazione potrebbe valere ad accogliere in mancanza di un rischio specifico per l’ipotesi di rimpatrio; le censure del ricorrente non si confrontano con le ragioni della esclusione della protezione umanitaria ed in particolare con la ritenuta inconfigurabilità in radice, nel Paese di origine, di una situazione tale da determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. n. 17130/2020, n. 94455/2018);

3. non si fa luogo al regolamento delle spese di lite non avendo la parte intimata svolto attività difensiva;

4. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535/2019).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2020

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