Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28410 del 07/11/2018

Cassazione civile sez. II, 07/11/2018, (ud. 12/06/2018, dep. 07/11/2018), n.28410

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26037/2016 proposto da:

B.A., N.A., C.M., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DELLE CARROZZE 3, presso lo studio

dell’avvocato GIUSEPPE COMUNALE, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GUGLIELMO CANTILLO;

– ricorrenti –

contro

BANCA D’ITALIA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NAZIONALE 91,

presso lo studio dell’avvocato ADRIANA FRISULLO, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE GIOVANNI NAPOLETANO;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositato il

06/09/2016; (rg. 388/14);

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/06/2018 dal Consigliere SERGIO GORJAN;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, che ha concluso per inammissibilità dei motivi da 6

a 8; rigetto del ricorso nel resto, previa correzione della

motivazione ai sensi art. 384 c.p.c., u.c., in relazione al 5

motivo; in subordine rigetto del ricorso;

uditi gli Avvocati COMUNALE Giuseppe, N.A. con delega

orale dell’Avvocato CANTILLO Guglielmo, difensori dei ricorrenti che

si riportano agli atti depositati;

udito l’Avvocato NAPOLETANO Giuseppe Giovanni, difensore del

resistente che si riporta agli atti depositati.

Fatto

FATTI DI CAUSA

B.A., C.M. ed N.A.,attinti da provvedimento sanzionatorio emesso nei loro riguardi dalla Banca d’Italia in relazione alla loro attività, quali componenti il Consiglio di Amministrazione della Askar Investitors SGR, ebbero a proporre opposizione avanti la Corte d’Appello di Brescia.

La Corte territoriale adita rigettò l’opposizione con il decreto impugnato osservando:

come l’eccezione afferente il mancato rispetto del termine di conclusione del procedimento, L. n. 689 del 1981, ex art. 14, era stata sollevata tardivamente e non nel ricorso, sicchè era inammissibile stante la natura impugnatoria del presente procedimento, ex Cass. SU n 20934/09;

come non concorreva violazione dei principi del giusto processo, siccome insegnava con costante giurisprudenza questa Suprema Corte, poichè comunque è consentito alla parte sanzionata il ricorso al Giudice con cognizione piena circa la sussistenza o non dell’illecito e la quantificazione della sanzione; come l’eventuale mancato rispetto delle disposizioni previste dal Regolamento interno – in effetti situazione non sussistente – comunque non assumeva rilevanza poichè il procedimento è regolato esclusivamente dalla L. n. 689 del 1981, e non anche da altre norme;

come concorreva la condotta illecita contestata agli opponenti per non esser stati attivati i necessari sistemi di controllo circa l’attività di gestione del risparmio il che competeva proprio ai componenti del Consiglio d’Amministrazione, rimasti inerti a riguardo;

come risultavano provate le singole contestazioni mosse ai ricorrenti e la sanzione inflitta irrogata appariva conforme ai criteri dettati dalla legge al riguardo.

Avverso il decreto del Corte d’Appello bresciana i consorti B., C. e N. hanno proposto unico ricorso per cassazione affidato a nove motivi ed anche hanno depositata nota difensiva.

Resisteva con controricorso la Banca d’Italia,che ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

All’odierna udienza pubblica,sentito P.G. – rigetto del ricorso – ed i difensori delle parti, la Corte assumeva decisione come illustrato nella presente sentenza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso proposto da C.M., N.A. ed B.A. s’appalesa privo di fondamento giuridico e va rigettato.

Con il primo articolato mezzo d’impugnazione proposto i ricorrenti denunziano la violazione del disposto L. n. 689 del 1981, ex art. 14, – art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 -, posto che la Corte lombarda ha ritenuto tardiva la proposta eccezione di mancato rispetto del termine perentorio di contestazione dell’illecito.

Osservano i ricorrenti come la questione, effettivamente da loro sollevata solo in sede di udienza di discussione, non potesse ritenersi nuova stante l’identità del petitutm e della causa petendi; come la questione di specie risultava dibattuta tra le parti con assegnazione di apposito termine per controdeduzioni; come la questione,configurandosi siccome condizione della sanzione, era rilevabile ex officio, sicchè comunque l’istanza di parte andava qualificata quale mera sollecitazione all’esercizio del potere officioso da parte del Giudice.

La Corte d’Appello lombarda ha risolto la questione sulla scorta dell’insegnamento consolidato di questa Corte Suprema – Cass. su n 3271/90, Cass. sez. 1 n 9178/10, Cass. sez. 2 n 13751/06, Cass. sez. 2 n 232/16 – in forza del quale non è consentito al Giudice rilevare nullità del provvedimento impugnato diversa rispetto a quella proposta dalla parte nel libello introduttivo e che le ragioni dell’opposizione, che configurano la causa petendi, risultano individuate nell’atto d’opposizione sicchè nemmeno la parte può mutarle.

Erra parte impugnate a ritenere che la causa petendi, ossia la ragione giuridico fattuale posta alla base della domanda giudiziale, non muti con il mutare delle ragioni d’impugnazione addotte contro il provvedimento, poichè proprio dette ragioni configurano la causa petendi,siccome insegnato dagli arresti di legittimità dianzi indicati.

Quanto poi alla circostanza fattuale che il Collegio bresciano, a fronte della novità introdotta dagli opponenti in sede di discussione, ebbe ad assegnare termine alla contro parte per dedurre, non anche implica che la Banca d’Italia abbia accettato il contraddittorio, come parrebbe lumeggiare – in assonanza con l’arresto delle Sezioni Unite del 1990 – parte ricorrente,posto che il termine era solamente al fine di contro dedurre ovviamente anche rilevando la novità della questione. Quanto poi alla possibilità d’intervento officioso del Giudice in materia – sempre ricordato dall’arresto di legittimità del 1990 – lo stesso risulta espressamente limitato al”inesistenza del provvedimento sanzionatorio,ipotesi fattuale – Cass. sez. 2 n. 22637/13 – che si configura solamente in situazioni di assoluta carenza di potere ad emettere il provvedimento.

Ipotesi nella specie non configurabile posto che il potere sanzionatorio pertiene alla Banca d’Italia e l’inosservanza – eventuale – del termine, L. n. 689 del 1981, ex art. 14, di certo non comporta l’inesistenza del provvedimento sanzionatorio, bensì esclusivamente un suo vizio.

Dunque rettamente i Giudici bresciani hanno rilevato siccome tardiva la questione di nullità, proposta dai ricorrenti sulla scorta della mancata osservanza della norma di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 14, sicchè la censura risulta infondata. Con la seconda doglianza i ricorrenti lamentano violazione degli artt. 6 e 13 CEDU, art. 47 della Carta dei Diritti U.E., artt. 24 e 111 Cost., in relazione alla statuizione del Collegio bresciano che ha rigettato la loro doglianza circa l’intervenuta violazione dei diritti della difesa, siccome sanciti dalle norme violate anche alla luce della giurisprudenza della Corte Edu, nell’ambito del procedimento amministrativo interno, che ebbe a concludersi con l’emissione del provvedimento sanzionatorio.

In effetti il richiamo al puntuale arresto di questo stessa sezione della Corte di Cassazione,che si intende qui ribadire,operato dalla Corte lombarda risolve, in senso contrario a quello prospettato dai ricorrenti, la questione proposta.

L’arresto di legittimità richiamato ha escluso ogni violazione dei principi del giusto processo in dipendenza della irrogazione della sanzione da parte di un Organo interno all’Istituto di Vigilanza bancaria, proprio richiamando l’insegnamento della CEDU e mettendo in evidenza come la garanzia, prescritta dalla Convenzione internazionale e dalle norme costituzionali richiamate, sia assicurata al soggetto sanzionato proprio dalla possibilità del ricorso al Giudice, che opera con pienezza di cognizione e sull’esistenza della condotta – in tesi – illecita e sulla congruità della sanzione – Cass. sez. 2 n 25141/15 -.

Inoltre è costante insegnamento di questa Supremo Collegio – Cass. sez. 2 n. 3656/16 – che le sanzioni irrogate dalla Banca d’Italia non abbiano natura penale, bensì squisitamente amministrativa.

Quanto alla prospettata questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 195, comma 7, la stessa risulta già sollevata nel 2014 e 2015, ma anche definita dalla Corte costituzionale con ordinanza n. 158/17 in dipendenza di disposizione normativa sopravvenuta.

Inoltre nella specie i ricorrenti non hanno puntualmente provato d’aver richiesto alla Corte territoriale la trattazione in pubblica udienza e nemmeno hanno dedotto il concreto pregiudizio subito dall’aver trattato la lite con il rito camerale invece che in udienza pubblica.

Quindi la ventilata violazione di norme di diritto ovvero assenza di motivazione non sussiste, compendiandosi il ragionamento critico svolto dagli impugnanti in mera contrapposizione della propria tesi difensiva rispetto alle statuizioni del Collegio bresciano senza,in effetti, cogliere la ratio effettiva della decisione.

Con la terza ragione d’impugnazione articolata i ricorrenti lamentano violazione delle regole iuris portate negli artt. 3 e 13 CEDU ed D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 195, e principi predisposti dalla stessa Banca d’Italia a disciplina del suo procedimento amministrativo per irrogare la sanzione, poichè i Giudici lombardi non hanno tenuto conto della più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato circa la tassatività del termine, previsto dal regolamento interno predisposto dalla Banca d’Italia e hanno malamente ancorato il rispetto del termine alla scadenza del termine per il soggetto sanzionato che ricevette l’ultima notifica.

L’argomento critico svolto non tiene conto del costante insegnamento di questo Supremo Collegio che al riguardo ha evidenziato come gli unici termini rilevanti di decadenza e prescrizione, operanti nella materia delle sanzioni amministrative irrogate anche dalla Banca d’Italia, sono esclusivamente quelli previsti dalla L. n. 689 del 1981, e non anche dalla L. n. 241 del 1990, ovvero Regolamento interno dell’Ente sanzionatore,siccome insegna specifico arresto delle Sezioni Unite di questa Corte – da ultimo Cass. sez. 2 n. 4363/2015 -.

Dunque alcun rilievo assume la modifica della giurisprudenza del Consiglio di Stato circa la perentorietà del termine fissato dal Regolamento interno della Banca d’Italia a sensi della L. n. 241 del 1990, come visto non rilevante nella specie,siccome il datato arresto di questa Supremo Collegio indicato in ricorso a sostegno della tesi propugnata dalla difesa.

Inoltre la Corte lombarda ha messo in risalto anche che il termine regolamentare di 240 giorni risultava rispettato, poichè l’Istituto sanzionatore emise il provvedimento nel termine stabilito rispetto alla data dell’ultima delle notifiche effettuate agli interessati dell’atto d’incolpazione.

Detta ultima statuizione risulta contestata meramente sulla scorta di propria ricostruzione giuridico-fattuale degli elementi acquisiti in causa, che ex se non supera la condivisibile ricostruzione dei Giudici d’appello,la quale per altro non incide negativamente sulla posizione soggettiva di alcuna delle parti.

Con il quarto mezzo d’impugnazione i soli consorti N.- C. denunziano violazione del disposto L. n. 241 del 1990, ex art. 22, in quanto la Corte di merito ha ritenuto di superare il loro mezzo di gravame, mosso avverso la mancata messa a disposizione, nonostante apposita istanza, della documentazione allegata al verbale d’accertamento.

In effetti i Giudici lombardi ebbero a puntualmente esaminare la questione e ritenerla infondata in dipendenza di due ragioni:

la mancata impugnazione avanti la Giustizia amministrativa del diniego – se effettivo e rilevante – e la circostanza che l’Organo ispettivo ebbe a visionare la documentazione presso al società, già amministrata dai sanzionati, e non già acquisirla.

La critica svolta si limita ad apodittica contestazione di dette due ragioni senza un effettivo confronto con le surricordate motivazioni illustrate dalla Corte territoriale.

Con il quinto mezzo d’impugnazione i ricorrenti denunziano violazione della L. n. 689 del 1981, art. 3, poichè era stata loro,quali amministratori privi di deleghe ovvero titolari di deleghe per brevissimo periodo, irrogata medesima sanzione rispetto a colleghi amministratori invece portatori di specifiche deleghe ed in carica per maggior periodo di tempo, senza tenere conto che comunque la situazione di dissesto finanziario della società amministrata,nel loro periodo di gestione, risultava migliorata rispetto al periodo precedente.

La doglianza s’appalesa siccome generica poichè evoca, a sua sostegno, arresto di questa Suprema Corte che sottolinea come la responsabilità in capo all’amministratore senza deleghe possa esser individuata solamente sotto il profilo dell’agire informati.

Ma proprio in tale prospettiva la Corte lombarda ha analizzato la posizione di ogni singolo ricorrente in relazione alla singola contestazione, non obliando che sia il B. che il C., anche se per brevi periodi,comunque furono titolari di deleghe e posizioni particolari all’interno del Consiglio d’Amministrazione.

Quindi la ragione di doglianza svolta si limita a contrapporre propria valutazione a quella elaborata dalla Corte di prossimità proprio sulla scorta del principio dell’agire informati,cui ogni amministratore deve uniformare la sua azione quale componente del Consiglio.

Con la sesta doglianza avanzata i ricorrenti deducono vizio di nullità della decisione impugnata per assenza radicale di procedimento logico in ordine agli atti compiuti dal Consiglio d’Amministrazione ed omessa pronunzia in relazione alle loro eccezioni sollevate nel corso del procedimento.

In effetti il vizio di nullità, ex art. 360 c.p.c., n. 4, consegue al mancato rispetto del disposto in art. 132 c.p.c., n. 4, non già, alla generica mancanza del procedimento logico sotteso alla motivazione.

Nella specie, proprio in ordine ai fatti addebitati agli impugnanti e citati nell’epigrafe del motivo di ricorso, la Corte lombarda ha svolto puntuale analisi dei fatti ed illustrato specifica argomentazione a supporto della sua statuizione sul punto.

A fronte di detta puntuale motivazione le critiche portate si fondano o sulla mancata risposta ad argomentazione difensive, nonostante le stesse fossero incompatibili con l’iter logico-giuridico utilizzato dalla Corte per la sua decisione – Cass. Sez. L. n. 16788 del 2006, Cass. sez. 1 n 10696/07, Cass. sez. 2 n 20311/11 – o puntualizzano esistenza di errori in effetti non sussistenti – la Corte afferma che il N. era Presidente del Consiglio d’Amministrazione dal settembre 2010 al luglio 2012 e quindi rivestì l’incarico di Vice presidente, non altro -, ovvero sull’elaborazione di un apprezzamento circa lo svolgimento diverso, rispetto a quello dei primi Giudici, delle condotte tenute dai soggetti sanzionati.

Pertanto risulta inesistente il vizio di nullità denunziato poichè il ragionamento critico svolto si compendia nell’offerta di ricostruzione giuridico-fattuale alternativa a quella elaborata e motivata dalla Corte di prossimità.

Con il settimo mezzo di doglianza i ricorrenti lamentano nuovamente vizio di nullità,ancorato alle medesime ragioni logico-giuridiche dianzi richiamate, sempre in ordine alle condotte oggetto di sanzione a loro carico.

Anche in ordine a detto motivo valgono le considerazioni dianzi svolte in tema di denunzia di vizio di nullità ex art. 360 c.p.c., n. 4, poichè detto vizio si configura in assenza di motivazione, non già, quando questa sia esistente ma sgradita.

Inoltre con riguardo alla confutazione delle argomentazioni difensive non configura il vizio denunziato la mera asserzione di scarsa comprensibilità soggettiva del percorso logico-giuridico illustrato dai Giudici, nella specie invece perspicuo e puntuale,sicchè la doglianza si rivela siccome contestazione afferente la valutazione del merito della controversia.

Anche con rottavo mezzo d’impugnazione i ricorrenti deducono vizio di nullità poichè omessa la motivazione in relazione alla documentazione dimessa e conseguenti argomentazioni difensive.

Sotto un primo profilo gli impugnanti attingono la statuizione di irrilevanza circa il ripiano delle perdite adottata dal Collegio bresciano – come detta condotta degli azionisti fu posta in essere ad ispezione conclusa – obliando che i primi Giudici hanno puntualmente osservato come i rilievi ed inviti precedenti della Banca d’Italia al riguardo erano rimasti privi d’effetto.

Dunque la Corte ha puntualmente esposto motivazione e la stessa tiene adeguatamente conto delle argomentazioni difensive, appositamente superandole con specifica motivazione,che non risulta assente solo perchè sgradita alla parte. Sotto altro profilo viene rilevata l’assenza di motivazione in relazione ai rilievi da 11 a 16 contestati e ritenuti sussistenti dalla Corte bresciana.

Anche al riguardo la dedotta nullità non concorre posto che le questioni fattuali, evocate nella doglianza,risultano appositamente e singolarmente apprezzate dai Giudici lombardi, sicchè la motivazione sussiste e l’argomentazione critica svolta si compendia in una diversa valutazione nel merito delle singole condotte e relativi elementi fattuali acquisiti in causa.

Dunque anche l’ottavo mezzo d’impugnazione risulta privo di fondamento poichè rivolto ad ottenere da questa Corte di legittimità una inammissibile apprezzamento circa il merito della lite.

L’ultimo motivo sviluppato in ricorso risulta veicolato siccome omessa pronunzia circa la sollecitazione al Giudice d’esercitare la facoltà ex art. 89 c.p.c., in presenza di espressioni sconvenienti ovvero offensive nella proposta di sanzione formulata dall’Organo di Vigilanza.

Detto motivo s’appalesa siccome generico posto che viene dedotto omesso esame ma non anche indicato in quale sede la questione fu ritualmente sottoposta al Giudice unico, poichè nel decreto impugnato non v’è cenno al riguardo.

Al rigetto dell’impugnazione segue, ex art. 385 c.p.c., la condanna solidale del B., del C. e del N. al ristoro delle spese di questo giudizio di legittimità in favore della Banca d’Italia, tassate in globali Euro 7.000,00,di cui Euro 200,00 per esborsi,oltre accessori di legge e rimborso forfetario nella misura del 15%. Concorrono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti,in solido fra loro, alla rifusione verso la Banca d’Italia resistente delle spese di questo giudizio di legittimità,che liquida in Euro 7.000,00 oltre accessori di legge e rimborso forfetario ex tariffa forense nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma delD.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018

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