Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28408 del 05/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 05/11/2019, (ud. 13/06/2019, dep. 05/11/2019), n.28408

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL�UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19876-2018 proposto da:

F.M.F., nella qualità di erede di P.M.A.,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ORNELLA D’AMATO;

– ricorrente –

contro

IFO ISTITUTI FISIOTERAPICI OSPITALIERI, GENERALI ITALIA SPA,

FO.MA.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3058/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 13/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

DELL’UTRI.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza resa in data 10/5/2018, la Corte d’appello di Roma, sull’appello proposto da P.M.A. nei confronti degli Istituti Fisioterapici Ospitalieri-IFO, di Fo.Ma. e della Generali Italia s.p.a., per quel che ancora rileva in questa sede, pur avendo accertato il diritto della P. a conseguire un’integrazione sulla somma liquidata dal primo giudice in suo favore a titolo di risarcimento dei danni (attesa la responsabilità contratta dagli Istituti Fisioterapici Ospitalieri-IFO e da Fo.Ma. per l’errata esecuzione di un intervento chirurgico praticato sull’attrice), ha dichiarato pienamente satisfattiva la somma già percepita dalla P. in via stragiudiziale, confermando, nel resto, la sentenza impugnata e provvedendo alla regolazione delle spese di lite;

che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale, dopo aver rilevato il carattere pienamente satisfattivo delle somme percepite in via stragiudiziale dalla P. (anche a seguito della ride-terminazione degli importi liquidati in suo favore a titolo di danno non patrimoniale), ha evidenziato la correttezza della decisione del primo giudice nella parte in cui aveva escluso il ricorso di un effettivo danno patrimoniale sofferto dall’originaria attrice, non avendo quest’ultima fornito alcuna concreta e adeguata prova sul punto;

che, avverso la sentenza d’appello, F.M.F., in qualità di erede di P.M.A., propone ricorso per cassazione sulla base di un unico articolato motivo d’impugnazione;

che gli Istituti Fisioterapici Ospitalieri-IFO, Fo.Ma. e la Generali s.p.a (quest’ultima coinvolta in giudizio a fini di manleva) non hanno svolto difese in questa sede;

che, a seguito della fissazione della Camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il ricorrente ha presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che, con l’unico motivo d’impugnazione proposto, il ricorrente censura la sentenza d’appello per violazione di norme di diritto ed omesso esame di un fatto decisivo controverso (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale dettato una motivazione totalmente incongrua e contraddittoria in relazione al punto concernente l’esclusione di un effettivo danno patrimoniale sofferto dall’attrice (eventualmente liquidabile anche in via equitativa), in conseguenza dell’accertata riduzione della propria invalidità lavorativa specifica (più volte riconosciuta in sede istituzionale), quale conseguenza dell’errato intervento chirurgico subito e pacificamente ascritto alla responsabilità delle controparti, non governando in modo corretto la valutazione degli elementi istruttori complessivamente disponibili, in tal modo ponendosi in contrasto con le norme di legge richiamate in ricorso in tema di liquidazione del danno;

che il motivo è inammissibile;

che, al riguardo, osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, in tema di danno patrimoniale da riduzione della capacità lavorativa specifica, il danno patrimoniale futuro, derivante da lesioni personali, va valutato su base prognostica e il danneggiato può avvalersi anche di presunzioni semplici, sicchè, provata la riduzione della capacità di lavoro specifica, se essa non rientra tra i postumi permanenti di piccola entità, è possibile presumere, salvo prova contraria, che anche la capacità di guadagno risulti ridotta nella sua proiezione futura – non necessariamente in modo proporzionale – qualora la vittima già svolga un’attività lavorativa;

che tale presunzione, tuttavia, vale a coprire il solo an dell’esistenza del danno, mentre, ai fini della sua quantificazione, è onere del danneggiato dimostrare la contrazione dei suoi redditi dopo il sinistro, non potendo il giudice, in mancanza, esercitare il potere di cui all’art. 1226 c.c., perchè esso riguarda la sola liquidazione del danno che non possa essere provato nel suo preciso ammontare, situazione che, di norma, non ricorre quando la vittima continui a lavorare e produrre reddito e, dunque, può dimostrare di quanto quest’ultimo sia diminuito (Sez. 3 -, Ordinanza n. 15737 del 15/06/2018, Rv. 649412 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 11361 del 22/05/2014, Rv. 630839 – 01; cfr. altresì Sez. 2 -, Sentenza n. 4310 del 22/02/2018, Rv. 647811 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 4534 del 22/02/2017, Rv. 643131 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 127 del 08/01/2016, Rv. 638248 – 01);

che, nel caso di specie, la corte territoriale, dopo aver accertato il carattere pienamente satisfattivo degli importi conseguiti in via stragiudiziale dalla P. (pur a seguito della rivisitata liquidazione del danno non patrimoniale), ha evidenziato come l’appellante non avesse fornito alcuna prova adeguata dell’effettiva sussistenza di conseguenze dannose effettive (di carattere patrimoniale) a seguito della lesione della propria integrità psicofisica riconducibile all’illecito dedotto in giudizio, avuto riguardo all’insufficienza delle relative allegazioni e produzioni probatorie, già negativamente valutate, in tal senso, dal primo giudice;

che, ciò posto, varrà quindi rilevare come, attraverso le censure indicate (sotto entrambi i profili di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), il ricorrente si sia sostanzialmente spinto a sollecitare la Corte di legittimità a procedere a una rilettura nei merito degli elementi di prova acquisiti nel corso del processo, in contrasto con i limiti del giudizio di cassazione e con gli stessi limiti previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (nuovo testo) sul piano dei vizi rilevanti della motivazione;

che, in particolare, sotto il profilo della violazione di legge, il ricorrente risulta aver prospettato le proprie doglianze attraverso la denuncia di un’errata ricognizione della fattispecie concreta, e non già della fattispecie astratta prevista dalle norme di legge richiamate (operazione come tale estranea al paradigma del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica del F., l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sè incontroverso, insistendo propriamente lo stesso nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo;

che, nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dall’odierno ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o delle circostanze di fatto ritenute rilevanti;

che si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata galla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;

che, ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato neppure essendone ammessa l’intestazione con la memoria deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi (Sez. 3, Sentenza n. 10385 del 18/05/2005, Rv. 581564; Sez. 5, Sentenza n. 9185 del 21/04/2011, Rv. 616892), non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;

che infatti, quanto al preteso vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, è appena il caso di sottolineare come lo stesso possa ritenersi denunciabile per cassazione, unicamente là dove attenga all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia);

che, sul punto, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. per tutte, Sez. U, Sentenza n. 8053 del 37/04/2014, Rv. 629831);

che, pertanto, dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, le odierne doglianza del ricorrente devono ritenersi inammissibili, siccome dirette a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360 c.p.c., n. 5 cit., bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede;

che, conseguentemente, sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso;

che non vi è luogo all’adozione di alcuna statuizione in ordine alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità, non avendo nessuno degli intimati svolto difese in questa sede;

che dev’essere infine attestata la sussistenza dei presupposti per il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1 – bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 13 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2019

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