Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28406 del 05/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 05/11/2019, (ud. 13/06/2019, dep. 05/11/2019), n.28406

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19757-2018 proposto da:

M.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI 110, presso lo studio dell’avvocato NICOLA D’IPPOLITO,

rappresentata e difesa dall’avvocato CARMELO CASAVOLA;

– ricorrente –

contro

ASL (OMISSIS), in persona del Commissario Straordinario pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L. ARBIB PASCUCCI 64, presso

lo studio dell’avvocato TIZIANA ULERI, rappresentata e difesa

dall’avvocato ARNALDO SALA;

– controricorrente –

contro

COMUNE DI MARTINA FRANCA, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ITALO CARLO FALBO 22, presso

lo studio dell’avvocato ANGELO COLUCCI, rappresentato e difeso

dall’avvocato OLIMPIA CIMAGLIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3330/2017 del TRIBUNALE di (OMISSIS),

depositata il 29/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 13/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

DELL’UTRI.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza resa in data 29/12/2017, il Tribunale di (OMISSIS), in accoglimento dell’appello proposto dall’Azienda Unità Sanitaria Locale di (OMISSIS).- e in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda proposta da M.S. per la condanna dell’azienda sanitaria appellante e del Comune di Martina Franca (in tal senso confermando, rispetto a quest’ultimo, il rigetto già pronunciato dal primo giudice) al risarcimento dei danni subiti a seguito.’ dell’aggressione subita dal gregge di proprietà dell’attrice da parte di taluni cani randagi;

che, a fondamento della decisione assunta, il tribunale ha sottolineato come, indipendentemente dalla prova dell’avvenuta aggressione di cani randagi, nessuna effettiva responsabilità era stata dimostrata in ordine all’inadempimento, da parte delle amministrazioni convenute, degli obblighi sulle stesse incombenti, con la conseguente impossibilità di predicare, in capo alle stesse, alcun comportamento colposo suscettibile di fondarne la responsabilità risarcitoria invocata dalla M.;

che, avverso la sentenza d’appello, M.S. propone ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo d’impugnazione;

che l’Azienda Unità Sanitaria Locale di (OMISSIS) e il Comune di Martina Franca resistono con separati controricorsi;

che, a seguito della fissazione della Camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380 – bis c.p.c., la ricorrente ha presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che, con l’unico motivo d’impugnazione proposto, la ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo controverso (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere il giudice d’appello trascurato i contenuti della deposizione resa dal testimone B., responsabile dei servizi veterinari dell’azienda unità sanitaria locale di (OMISSIS), dalla quale era emersa la prova dell’effettiva conoscenza, da parte delle amministrazioni avversarie, della circostanza della presenza di cani randagi nei dintorni del luogo ove era avvenuto il fatto dannoso dedotto in giudizio e in epoca di poco precedente al suo verificarsi, con la conseguente erroneità della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui aveva escluso l’avvenuta dimostrazione del comportamento colposo delle amministrazioni convenute;

che il motivo è inammissibile;

che, al riguardo, osserva il Collegio come – fermo l’assorbente rilievo del carente adempimento, da parte della ricorrente, degli oneri di completa e puntuale allegazione del ricorso, imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6 e dall’art. 369 c.p.c., n. 4 (con particolare riguardo all’allegazione dei contenuti integrali delle prove testimoniali acquisite nel corso del giudizio) al caso di specie (relativo all’impugnazione di una sentenza pubblicata dopo la data del 11/9/12) trovi applicazione il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (quale risultante dalla formulazione del D.I. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), conv., con modif., con la L. n. 134 del 2012), ai sensi del quale la sentenza è impugnabile con ricorso per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”;

che, secondo l’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità, tale norma, se da un lato ha definitivamente limitato il sindacato del giudice di legittimità ai soli casi d’inesistenza della motivazione in sè (ossia alla mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili o alla motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile), dall’altro chiama la Corte di cassazione a verificare l’eventuale omesso esame, da parte del giudice a quo, di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), rimanendo escluso che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez. Un., 22/9/2014, n. 19881; Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830);

che, dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, l’odierna doglianza della ricorrente deve ritenersi inammissibile, siccome diretta a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360 c.p.c., n. 5 cit., bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo sufficientemente completo ed esauriente, dovendo peraltro ritenersi non adeguatamente argomentata, dalla ricorrente, la pretesa decisività della deposizione resa dal teste B., vieppiù in considerazione della perduta possibilità, per la M., di invocare alcuna responsabilità del Comune di Martina Franca (a seguito della mancata impugnazione in appello della relativa assoluzione pronunciata in primo grado), e tenuto conto dell’inesistenza di alcuna effettiva ammissione (nè di altra prova) del fatto che l’azienda sanitaria fosse stata concretamente informata della presenza di quegli specifici cani randagi nell’immediatezza dei fatti;

che, conseguentemente, sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, cui segue la condanna della ricorrente al rimborso, in favore di ciascun controricorrente, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre l’attestazione della sussistenza dei presupposti per il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore di ciascun controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate, per ciascuna parte, in Euro 1.150,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 13 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2019

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