Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28390 del 14/12/2020

Cassazione civile sez. II, 14/12/2020, (ud. 16/09/2020, dep. 14/12/2020), n.28390

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 13522/2016 R.G. proposto da:

P.M., c.f. (OMISSIS), rappresentata e difesa in virtù di

procura speciale in calce al ricorso dall’avvocato Roberto Zibetti,

ed elettivamente domiciliata in Roma, alla piazza di Pietra, n. 26,

presso lo studio dell’avvocato Daniela Jouvenal Long.

– ricorrente –

contro

G.E. IMPRESA EDILE s.n.c. di G.S. ed

E.C., c.f. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa in virtù di procura speciale in

calce al controricorso dall’avvocato Santino Giorgio Slongo, ed

elettivamente domiciliata in Roma, alla via Germanico, n. 109,

presso lo studio dell’avvocato Giovanni D’Amico.

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4542/2015 della Corte d’Appello di Milano;

udita la relazione nella Camera di consiglio del 16 settembre 2020

del consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con atto notificato il 7.4.2011 P.M. citava a comparire dinanzi al Tribunale di Busto Arsizio la “G.E. Impresa Edile s.n.c. di G.S. ed E.C.”.

Premetteva che con scrittura in data 7.11.2008 la società convenuta aveva promesso di venderle ed ella attrice aveva promesso di acquistare porzione dell’immobile in C(OMISSIS); che l’immobile era stato oggetto di nuova edificazione a seguito della pratica edilizia n. (OMISSIS).

Premetteva che alla sottoscrizione del preliminare aveva corrisposto alla promittente venditrice la somma di Euro 40.000,00 a titolo di caparra confirmatoria; che il 31.12.2008 aveva corrisposto alla promittente l’ulteriore importo di Euro 30.000,00.

Premetteva che la convenuta con raccomandata a.r. del 14.4.2009 le aveva comunicato il suo proposito di risolvere il preliminare e di trattenere la caparra confirmatoria di Euro 40.000,00 nonchè l’ulteriore acconto di Euro 30.000,00.

Indi esponeva che erano state completamente omesse le garanzie contemplate del D.Lgs. n. 122 del 2005, artt. 2 e 6, applicabile al caso di specie, con susseguente nullità del preliminare e con susseguente obbligo della convenuta di restituzione dell’importo di Euro 70.000,00.

Esponeva altresì, qualora si fosse opinato per la validità del preliminare, che la ritenzione della caparra non poteva reputarsi legittima, siccome la “G.E. Impresa Edile” non aveva inteso esercitare il diritto di recesso ex art. 1385 c.c., ma aveva domandato la risoluzione del contratto, sicchè soggiaceva alle regole generali in tema di prova e del danno eventualmente subito e del nesso causale tra l’eventuale pregiudizio e la condotta asseritamente inadempiente.

Chiedeva condannarsi la società convenuta a restituirle l’importo di Euro 70.000,00.

2. Si costituiva la “G.E. Impresa Edile” s.n.c..

Instava perchè l’avversa domanda fosse rigettata; in subordine, perchè fosse dichiarato il suo diritto di trattenere la somma di Euro 70.000,00 a titolo di risarcimento del danno.

3. Con sentenza n. 229/2014 l’adito tribunale accoglieva in parte la domanda attorea e condannava la convenuta s.n.c. a restituire all’attrice la minor somma di Euro 30.000,00.

4. Proponeva appello P.M..

Resisteva la “G.E. Impresa Edile” s.n.c..

5. Con sentenza n. 4542/2015 la Corte d’Appello di Milano rigettava il gravame e condannava l’appellante alle spese del grado.

Dava atto la corte – in ordine al secondo motivo, con cui l’appellante aveva censurato il primo dictum nella parte in cui era stata reputata legittima la ritenzione della somma di Euro 40.000,00 a titolo di caparra confirmatoria – che con raccomandata del 14.4.2009 la collettiva appellata aveva comunicato a controparte il proposito di considerare risolto il preliminare per inosservanza del termine finale fissato con scrittura del 17.3.2009, siglata ad integrazione dell’antecedente impegno, nonchè il proposito di trattenere la somma di Euro 40.000,00 versata a titolo di caparra confirmatoria.

6. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso P.M.; ne ha chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni ulteriore statuizione.

La “G.E. Impresa Edile s.n.c. di G.S. ed E.C.” ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese del giudizio di legittimità.

7. La ricorrente ha depositato memoria.

8. Con il primo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 122 del 2005, artt. 1,2,5 e 6, recante “disposizioni per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire”.

Deduce che l’interpretazione letterale e sistematica del D.Lgs. n. 122 del 2005, artt. 1 e 5, induce a reputare “immobili da costruire” quelli per i quali il provvedimento autorizzativo – permesso di costruire o altra denuncia o provvedimento abilitativo – sia stato richiesto successivamente al mese di luglio 2005, epoca di entrata in vigore del suddetto D.Lgs., quelli che siano ancora da edificare o la cui costruzione non sia stata ultimata, quelli che versano in uno stadio tale per cui non è stato ancora rilasciato il certificato di agibilità.

Deduce dunque che, nell’ambito di applicazione dell’art. 1 del D.Lgs. cit., ricadono anche gli immobili soggetti a mera denuncia di inizio attività.

Deduce che nulla osta a che la disciplina di cui al D.Lgs. n. 122 del 2005, prefigurata per gli acquirenti di immobili da costruire ex novo, operi per gli immobili da ristrutturare ex novo pur nell’evenienza in cui il venditore non sia stato dichiarato fallito.

9. Il primo motivo è destituito di fondamento.

10. La corte di merito ha qualificato generico il primo motivo di appello, con cui P.M. aveva censurato il primo dictum nella parte in cui era stata esclusa applicabilità del D.Lgs. n. 122 del 2005.

Più esattamente la corte distrettuale ha soggiunto che l’appellante non aveva offerto elementi di fatto idonei a contrastare l’allegazione di controparte, la quale, a sua volta, aveva addotto che il caso di specie concerneva “opere di ristrutturazione edilizia consistenti in cambio di destinazione d’uso dei locali”, subordinate alla mera denuncia di inizio attività di cui del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 1, sicchè non vi era margine per applicare il D.Lgs. n. 122 del 2005, che si riferisce ad immobili “che si trovano in uno stadio di costruzione che si colloca tra l’avvenuta richiesta del permesso di costruire (o della denuncia di inizio attività per gli interventi di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 3, in relazione (all’art. 10 del medesimo D.P.R.) e la richiesta del certificato di agibilità” (così sentenza d’appello, pag. 2).

11. Su tale scorta si rappresenta quanto segue.

12. Innanzitutto l’articolato rilievo difensivo dell’appellato, quale riprodotto nella statuizione di appello ed ora riflesso negli analoghi rilievi di cui alle pagine 3 – 7 del controricorso, appieno si conforma all’insegnamento di questa Corte.

Ossia all’insegnamento secondo cui il D.Lgs. 20 giugno 2005, n. 122 – che detta una disciplina di tutela dell’acquirente o del promissario acquirente di immobili da costruire in ragione dell’elevato rischio di inadempienze della parte alienante ovvero del pericolo di sottoposizione del costruttore ad esecuzione immobiliare o a procedura concorsuale – trova applicazione, in forza del contenuto definitorio di cui all’art. 1, comma 1, lett. d), soltanto riguardo agli immobili per i quali, da un lato, sia stato già richiesto il permesso di costruire o, se del caso, sia già stata presentata la denuncia di inizio attività di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 22, comma 3, ed i quali, dall’altro, non siano stati oggetto di completamento e dunque per i quali non sia stato ancora richiesto il relativo certificato di agibilità; cosicchè – prosegue questa Corte – i contratti preliminari di compravendita di immobili esistenti soltanto “sulla carta”, ossia per i quali sussista un progetto, ma non sia stato ancora richiesto il permesso di costruire o un titolo equipollente, si collocano fuori dell’ambito applicativo della speciale disciplina recata dal citato D.Lgs. n. 122 del 2005 (cfr. Cass. 10.3.2011, n. 5749).

Ben vero l’articolato rilievo dell’appellato appieno si conforma al testè enunciato insegnamento, quantunque nella fattispecie l’immobile compromesso in vendita non fosse esistente “sulla carta”, bensì fosse già esistente nella sua originaria conformazione di locale ricompreso nello stabile di (OMISSIS), nondimeno, ai fini della promessa vendita, da avviare a ristrutturazione a norma del comma 1 (ha dedotto l’appellato – controricorrente) e non già del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 3 (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 3, è stato ora abrogato dal D.Lgs. 25 novembre 2016, n. 222, art. 3, comma 1, lett. f), n. 4).

13. Altresì il primo motivo di ricorso non si correla puntualmente alla ratio in parte qua decidendi dell’impugnato dictum della corte territoriale (cfr. Cass. (ord.) 10.8.2017, n. 19989, secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, è necessario che venga contestata specificamente la “ratio decidendi” posta a fondamento della pronuncia impugnata; Cass. 17.7.2007, n. 15952).

Più esattamente il primo motivo di ricorso non reca puntuale censura dell’affermata genericità del motivo d’appello, affermata genericità che evidentemente – al cospetto delle allegazioni dell’appellato, in linea con le indicazioni di cui alla menzionata pronuncia n. 5749 del 10.3.2011 di questo Giudice – in toto si giustificava e si giustifica.

14. Ebbene, negli esposti termini, a nulla vale che in questa sede la ricorrente adduca che la Corte di Milano ha recepito una definizione assolutamente riduttiva della nozione di “immobile da costruire”, che la “G.E. Impresa Edile” ha comunque richiesto un provvedimento in ambito amministrativo, sicchè la corte milanese ha erroneamente escluso dall’alveo di operatività del D.Lgs. n. 122 del 2005, art. 1, l’immobile oggetto del preliminare per cui è controversia (cfr. ricorso, pag. 8).

E parimenti, a fronte del puntuale rilievo della controricorrente, secondo cui l’immobile compromesso in vendita era già costruito ed è stato oggetto di lavori di ristrutturazione “interna” ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 1, con cambio di destinazione da laboratorio a residenza (cfr. controricorso, pagg. 5 – 6), a nulla vale che la ricorrente adduca che la d.i.a., che la società promittente venditrice ebbe a presentare, ha consentito la creazione di sei nuove unità immobiliari, che le sei nuove unità immobiliari realizzate dalla “G.E. Impresa Edile” non erano ancora esistenti al momento della stipula del preliminare di vendita nè possedevano una autonoma agibilità.

Si tratta evidentemente di prospettazioni che non solo sollecitano questa Corte al riscontro di circostanze “di fatto”, ma che, ancor prima, sono del tutto inidonee a scalfire il riscontro di genericità del motivo d’appello operato dalla corte lombarda ed ancorato alla differenziazione (avallata da Cass. 10.3.2011, n. 5749) tra interventi di ristrutturazione edilizia ex comma 1 – esulanti dal D.Lgs. n. 122 del 2005 – ed del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, ex comma 3.

15. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1385,1453 e 1457 c.c..

Premette che l’azione di recesso e di ritenzione della caparra e l’azione di risoluzione per inadempimento e di risarcimento del danno costituiscono rimedi strutturalmente e funzionalmente diversi, incompatibili tra loro, esperibili dal contraente non inadempiente in via alternativa.

Indi deduce che nella fattispecie il preliminare si era già risolto di diritto, ancor prima dell’introduzione del giudizio di merito, siccome era invano decorso il termine per l’adempimento concesso con la diffida ex art. 1454 c.c..

Deduce altresì che la “G.E. Impresa Edile”, costituitasi in giudizio in prime cure, aveva eccepito nel merito l’avvenuta risoluzione di diritto del preliminare sottoscritto in data 7.11.2008, tant’è che aveva addotto che con la missiva del 14.4.2009 aveva comunicato a controparte la risoluzione di diritto del preliminare per fatto e colpa della medesima promissaria acquirente.

Deduce dunque che la “G.E. Impresa Edile” giammai ha inteso esercitare il diritto di recedere dal contratto ai sensi dell’art. 1385 c.c. e che giammai il contraente non inadempiente può rinunciare all’effetto risolutorio.

16. Il secondo motivo del pari è destituito di fondamento.

17. In ordine al secondo motivo la corte di merito ha ulteriormente esplicitato che dalla missiva del 14.4.2009, dagli atti processuali di primo grado e dalla comparsa d’appello emergeva la volontà della “G.E. Impresa Edile” di domandare l’accertamento del proprio buon diritto di trattenere la caparra, “pur fondando il diritto di ritenzione della (…) caparra sulla risoluzione negoziale, intimata ex art. 1457 c.c.” (così sentenza d’appello, pag. 2).

Su tale scorta la corte distrettuale ha opinato per la piena legittimità dell’operata ritenzione della caparra da parte della promittente venditrice.

18. Ebbene il dictum della corte milanese è pur in parte qua ineccepibile.

E’ sufficiente, ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., il riferimento all’elaborazione giurisprudenziale di questa Corte.

In particolare all’insegnamento a tenor del quale, in tema di contratto preliminare cui acceda il versamento di una caparra confirmatoria, la parte adempiente che si sia avvalsa della facoltà di provocarne la risoluzione mediante diffida ad adempiere, ai sensi dell’art. 1454 c.c., può agire in giudizio esercitando il diritto di recesso ex art. 1385 c.c., comma 2 e in tal caso, ove abbia ricevuto la caparra, ha diritto di ritenerla definitivamente mentre, ove l’abbia versata, ha diritto di ricevere la restituzione del doppio di essa, con esclusione del diritto al risarcimento del danno cagionato dall’inadempimento che ha giustificato il recesso (cfr. Cass. 3.11.2007, n. 26206; Cass. 13.3.2015, n. 5095; Cass. 28.2.2012, n. 2999).

19. La corte distrettuale ha correttamente affermato il buon diritto – all’uopo invocato – della “G.E. Impresa Edile” di ritenere la caparra ricevuta, buon diritto che importa ex se esclusione del diritto della medesima contraente al risarcimento del danno.

In tal guisa la ricorrente non ha alcun interesse a dedurre, nei passaggi finali del secondo motivo di ricorso, che la promittente venditrice aveva domandato il risarcimento dei danni tardivamente, unicamente all’udienza di prima comparizione, e che al riguardo ha rifiutato il contraddittorio.

20. In dipendenza del rigetto del ricorso la ricorrente va condannata a rimborsare alla s.n.c. controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.

21. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente, P.M., a rimborsare alla controricorrente, “G.E. Impresa Edile s.n.c. di G.S. ed E.C.”, le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dellà ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2020

 

 

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