Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28389 del 22/12/2011

Cassazione civile sez. II, 22/12/2011, (ud. 28/11/2011, dep. 22/12/2011), n.28389

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 21103/06) proposto da:

C.G. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e

difeso, in virtù di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv.

Del Basso Umberto De Caro ed elettivamente domiciliato presso lo

studio legale Girardi-Viscione, in Roma, alla via F.S. Nitti, n. 11;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, ed

UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO DI VERBANIA, in persona del Prefetto

pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello

Stato e domiciliati per legge in Roma presso i suoi Uffici, alla via

dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrenti –

Avverso la sentenza del Tribunale di Verbania – sez. dist. di

Domodossola n. 143/2005, depositata il 12 ottobre 2005;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 28

novembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

udito l’Avv. Mauro Vaglio (per delega) nell’interesse del ricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SGROI Carmelo che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso formulato ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 22 depositato il 2 aprile 2005, il sig. C.G. adiva il Tribunale di Verbania – sez. dist. di Domodossola per ottenere l’annullamento della cartella esattoriale n. (OMISSIS), notificatagli il 9 febbraio 2005, con la quale gli era stato ingiunto il pagamento della somma complessiva di Euro 96.169,84, imputata a due tributi, iscritti a ruolo al n. 2005/1914 e riferiti ai codici nn. 1823 e 1824 (entrambi dell’anno 2000). A fondamento dell’opposizione il ricorrente deduceva che la cartella esattoriale non era stata preceduta dalla notificazione dell’ordinanza- ingiunzione del 17 febbraio 2000 in essa richiamata, censurando, altresì, l’eccessività dell’importo computato a titolo di interessi. Nella costituzione dell’Amministrazione opposta (la quale prospettava che l’ordinanza-ingiunzione presupposta risultava notificata il 17 febbraio 2000 a mezzo della Guardia di Finanza e che la somma calcolata a titolo di interessi era stata basata sul criterio di calcolo determinato dalla L. n. 689 del 1981, art. 27), il Tribunale adito, con sentenza n. 143 del 12 ottobre 2005 (depositata il 12 ottobre 2005), dichiarava l’inammissibilità del motivo principale del ricorso, che respingeva nel merito per il resto, condannando il ricorrente al pagamento delle spese giudiziali.

A sostegno dell’adottata decisione il suddetto Tribunale rilevava, quanto al primo motivo, che, poichè l’ordinanza-ingiunzione posta a fondamento dell’impugnata cartella esattoriale era risultata ritualmente notificata e non opposta, la successiva opposizione alla cartella esattoriale si sarebbe dovuta ritenere inammissibile (evidenziandosi come lo sgravio eccepito dal C. si riferisse ad altro provvedimento sanzionatorio); con riferimento all’ulteriore doglianza, lo stesso Tribunale ne ravvisava l’infondatezza sulla scorta del principio che, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 27 le somme dovute a titolo di sanzione amministrativa vanno maggiorate di un decimo per ogni semestre fino alla trasmissione del ruolo all’esattore, il tutto con assorbimento di ogni altro interesse previsto eventualmente dalla legge.

Nei confronti della menzionata sentenza ha proposto ricorso per cassazione il C.G. basato su quattro motivi, al quale hanno resistito con controricorso entrambi gli intimati Ministero dell’Interno e Prefetto del Verbano Cusio Ossola.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 206 e dell’art. 390 del relativo regolamento di attuazione in combinato disposto con la L. n. 689 del 1981, art. 27 nonchè “error in judicando”, sul presupposto che, nella sentenza impugnata, non sarebbe stato preso in considerazione il “discarico amministrativo totale” adottato, con provvedimento del 28 febbraio 2003, a favore dello stesso ricorrente per l’importo di Euro 103.300,71 (comprensivo di Euro 3,10 per spese di notifica).

1.1. Il motivo è infondato e deve, pertanto, essere rigettato.

Oltre alla circostanza attestata dal giudice di merito in ordine alla tardività dell’eccezione riproposta con la doglianza in esame (perchè formulata solo con memoria difensiva e non con l’atto introduttivo, senza che tale affermazione sia stata idoneamente confutata), lo stesso Tribunale di Verbania – sez. dist. di Domodossola ha adeguatamente e logicamente motivato sul punto nel senso che, pur essendo sopravvenuto i provvedimento di sgravio indicato dal ricorrente, lo stesso era stato riferito ad una cartella diversa da quella oggetto di ricorso; in particolare, il suddetto giudice ha precisato che – sulla scorta di appositi accertamenti di fatto, sufficientemente motivati – lo sgravio al quale ha posto riferimento il C. era stato eseguito perchè il provvedimento sulla base del quale la cartella era stata emessa era stato sostituito da altra ordinanza-ingiunzione del 17 febbraio 2000 (non direttamente ed autonomamente impugnata), sulla scorta della quale era stata, perciò, emessa ulteriore cartella esattoriale (in sostituzione della precedente) che aveva, invece, costituito effettivamente oggetto dell’opposizione proposta dinanzi al suddetto Tribunale.

2. Con il secondo motivo il ricorrente ha prospettato la violazione e falsa applicazione della L. n. 87 del 1953, art. 23 e art. 24, comma 1, nonchè il vizio di omessa pronuncia, assumendo che il Tribunale di Verbania – sez. dist. Di Domodossola non aveva dato alcun seguito alla questione di legittimità costituzionale prospettata con riferimento al disposto della L. n. 689 del 1981, art. 27, comma 6, omettendo di adottare un’apposita statuizione al riguardo.

2.1. Il motivo è destituito di fondamento perchè, pur non avendo il menzionato Tribunale preso in considerazione la dedotta questione di costituzionalità, la giurisprudenza concorde (v., ad es., Cass. n. 16245 del 2003; Cass. n. 5135 del 2004 e Cass. n. 26319 del 2006) di questa Corte (a cui si aderisce) ha affermato che la questione di legittimità costituzionale di una norma, in quanto strumentale rispetto alla domanda che implichi l’applicazione della norma medesima, non può costituire oggetto di un’autonoma istanza rispetto alla quale, in difetto di esame, sia configurabile un vizio di omessa pronuncia, ovvero (nel caso di censure concernenti le argomentazioni svolte dal giudice di merito) un vizio di motivazione, denunciabile con il ricorso per cassazione, poichè la relativa questione è deducibile e rilevabile nei successivi stati e gradi del giudizio che sia validamente instaurato, ove rilevante ai fini della decisione, come, del resto, avvenuto anche con il proposto ricorso in questa sede, mediante la formulazione del successivo motivo.

3. Con il terzo motivo il ricorrente ha, per l’appunto, denunciato la violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 27, comma 6, in relazione all’art. 3 Cost., comma 1, sollevando questione di legittimità costituzionale di detta norma (da considerarsi rilevante e non manifestamente infondata) nella parte in cui, con la previsione di un interesse annuo di circa il 20% a favore della P.A., determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento rispetto al regime dei rapporti di credito tra i privati e tra questi ultimi e gli istituti di credito sottoposti alla vigilanza della Banca d’Italia, con conseguente violazione del citato art. 3 Cost., comma 1.

3.1. La questione di legittimità costituzionale dedotta, ancorchè rilevante (siccome concernente la diretta applicabilità della cit.

L. n. 689 del 1981, art. 27, comma 6), è, tuttavia, da ritenersi manifestamente infondata, avendola già ritenuta tale la Corte costituzionale, con ordinanza n. 308 del 1999, sulla scorta della quale la denuncia della questione muove dalla erronea premessa dell’identità di natura e funzione dell’istituto degli interessi moratori o di pieno diritto nelle obbligazioni tra privati e dell’istituto delle maggiorazioni delle sanzioni amministrative pecuniarie in caso di ritardo nel pagamento, mentre la maggiorazione per ritardo prevista dall’art. 27 citato a carico dell’autore dell’illecito amministrativo, cui sia stata inflitta una sanzione pecuniaria, ha funzione non già risarcitoria o corrispettiva, bensì di sanzione aggiuntiva nascente al momento in cui diviene esigibile la sanzione principale. Alla stregua di tale decisiva argomentazione, il giudice delle leggi ha, perciò, concluso per la mancanza di omogeneità dei termini di raffronto necessaria a fondare un eventuale giudizio di disparità di trattamento rilevante ai sensi dell’art. 3 Cost., comma 1.

4. Con il quarto motivo il ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 27, comma 6, in relazione all’art. 27 Cost., comma 3, e, quindi, ai principi di ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza delle sanzioni, in tal senso sollecitando, in via subordinata rispetto alla doglianza formulata con il terzo motivo, l’emergenza di una ulteriore questione di costituzionalità.

4.1. La sollevata questione è palesemente inammissibile per assoluta inconferenza della materia disciplinata dalla L. n. 689 del 1981, art. 27, comma 6, rispetto al parametro costituzionale ritenuto violato, che riguarda altro ambito normativo (in particolare, il settore penale) ed istituti fondati sull’applicazione di altri presupposti giustificativi.

5. In definitiva, il ricorso deve essere integralmente respinto.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e vanno poste a carico del ricorrente nella misura liquidata come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dei compensi del presente giudizio, liquidati in complessivi Euro 1.100,00, oltre eventuali spese prenotate e prenotande a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 28 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2011

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