Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28386 del 22/12/2011

Cassazione civile sez. II, 22/12/2011, (ud. 28/11/2011, dep. 22/12/2011), n.28386

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

CARNAZZOLA GEOM. CAMILLO s.p.a., in persona del legale rappresentante

pro tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale,

dagli Avv. Mazza Michele e Dino Valenza, elettivamente domiciliata

nello studio di quest’ultimo in Roma, via G. Ferrari, n. 11;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI BERBENNO DI VALTELLINA, in persona del Sindaco pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza del Tribunale di Sondrio n. 41 del 4 febbraio

2005.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 28

novembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

udito l’Avv. Dino Valenza;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SGROI Carmelo che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso per quanto di ragione (quarto motivo).

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Il Tribunale di Sondrio, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 4 febbraio 2005, ha respinto il ricorso proposto dalla s.p.a. Carnazzola geom. Camillo avverso l’ordinanza- ingiunzione emessa dal Comune di Berbenno di Valtellina in data 14 ottobre 2003, con cui era stata irrogata alla predetta società la sanzione amministrativa di Euro 1.032,91 per superamento, nello svolgimento del lavoro dell’impianto di frantumazione inerti in località (OMISSIS), del valore limite differenziale di immissioni sonore per il periodo diurno, in violazione della L. 26 ottobre 1995, n. 447, art. 10 (Legge quadro sull’inquinamento acustico).

A tal fine il Tribunale ha tenuto conto dei risultati degli accertamenti svolti dall’ARPA (Agenzia regionale di protezione ambientale) ed ha rilevato che le misurazioni erano state correttamente eseguite: avendo il titolare della società ricorrente rifiutato di ottemperare alla richiesta di disattivazione dell’impianto formulata dal personale dell’ARPA alle ore 11,30, per tale motivo la misurazione del rumore residuo era stata effettuata in concomitanza con l’interruzione dell’attività per la pausa pranzo.

Il primo giudice ha altresì escluso che l’assenza del piano di zonizzazione acustica nel territorio comunale rendesse inapplicabile il valore limite differenziale di immissioni sonore.

2. – Per la cassazione della sentenza del Tribunale la società Carnazzola geom. Camillo ha proposto ricorso, con atto notificato il 6 marzo 2006, sulla base di cinque motivi.

L’intimato Comune non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – In ordine logico, è preliminare l’esame del quarto motivo, con il quale, deducendosi violazione e falsa applicazione della L. 26 ottobre 1995, n. 447, art. 2, comma 3, lettera b), e del D.P.C.M. 14 novembre 1997, art. 4 (Determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore), si rileva che la mancata adozione, nel Comune di Berbenno di Valtellina, del piano di zonizzazione acustica determinerebbe l’impossibilità di applicare i valori limite differenziali di emissione.

1.1. – Il motivo è privo di fondamento.

E’ bensi vero che la giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, Sez. 4, 18 febbraio 2003, n. 880) ha statuito che non è applicabile il valore limite differenziale qualora il Comune non abbia proceduto alla zonizzazione acustica, vale a dire alla divisione del territorio comunale nelle sei classi previste dal D.P.C.M. 14 novembre 1997, e che tale orientamento – ribadito nelle pronunce di alcuni tribunali amministrativi regionali – rinviene un aggancio formale nella lettera dell’art. 8 del citato D.P.C.M., il quale, sotto la rubrica “Norme transitorie”, prevede che, in attesa che i Comuni provvedano agli adempimenti stabiliti dalla L. n. 447 del 1995, art. 6, comma 1, lett. a), (ossia, appunto, alla zonizzazione acustica), “si applicano i limiti di cui al D.P.C.M. 1 marzo 1991, art. 6, comma 1”, cioè i limiti assoluti di zona, senza menzionare il comma 2 dello stesso art. 6, che disciplina il rispetto del limite differenziale.

Il Collegio, però, non condivide tale orientamento.

Occorre al riguardo premettere che l’art. 2, comma 3, della Legge quadro distingue i valori limite di immissione in (a) valori limite assoluti, determinati con riferimento al livello equivalente di rumore ambientale, e (b) in valori limite differenziali, determinati con riferimento alla differenza tra il livello equivalente di rumore ambientale ed il rumore residuo.

Il criterio differenziale si presenta come secondo criterio di valutazione per la determinazione del disturbo da rumore, applicabile in aggiunta ai valori di immissione assoluti nelle zone non esclusivamente industriali, e pone differenze da non superare tra il livello equivalente del rumore ambientale e quello del rumore residuo.

Il valore limite differenziale costituisce il parametro privilegiato della normativa antinquinamento per la valutazione del disturbo acustico negli edifici abitativi. Infatti, mentre i limiti assoluti di immissione hanno la finalità primaria di tutelare dall’inquinamento acustico l’ambiente inteso in senso ampio, i valori limite differenziali, facendo specifico riferimento al rumore percepito dall’essere umano, mirano precipuamente alla salvaguardia della salute pubblica.

Già prima dell’entrata in vigore della L. n. 447 del 1995, il D.P.C.M. 1 marzo 1991, art. 2 (Limiti massimi di esposizione al rumore negli ambienti abitativi e nell’ambiente esterno) prevedeva che “Per le zone e non esclusivamente industriali …, oltre ai limiti massimi in assoluto per il rumore, sono stabilite anche le seguenti differenze da non superare tra il livello equivalente del rumore ambientale e quello del rumore residuo (criterio differenziale): 5 dB (A) durante il periodo diurno; 3 dB (A) durante il periodo notturno”.

A sua volta, la L. n. 447 del 1995 – dopo avere provveduto, all’art. 2, a fornire la definizione di valori limite di immissione e dopo avere attribuito allo Stato, con l’art. 3, il compito di determinare i valori di cui al precedente art. 2 – con l’art. 10, comma 2, sanziona come illecito amministrativo il superamento, da parte di chiunque, dei valori limite di emissione o di immissione di cui all’art. 2, comma 1, lett. e) ed f), nell’esercizio o nell’impiego di una sorgente fissa o mobile di emissioni sonore.

Infine, il D.P.C.M. 14 novembre 1997, art. 4 in attuazione della legge quadro, determina i valori limite differenziali di immissione (5 dB per il periodo diurno e 3 dB per il periodo notturno) : valori che – per espressa previsione – “non si applicano nelle aree classificate nella classe 6^ della tabella A allegata al presente decreto”, ossia nella aree esclusivamente industriali (tali essendo le aree soltanto interessate da attività industriali e prive di insediamenti abitativi).

In questo contesto, il Collegio ritiene di dovere escludere che fino all’adozione della classificazione acustica, l’applicabilità dei valori limite differenziali sia transitoriamente sospesa e che le verifiche di rumorosità vengano effettuare esclusivamente alla stregua dei parametri di cui al D.P.C.M. 1 marzo 1991, art. 6, comma 1, (limiti assoluti di zona).

Invero, l’applicazione dei valori limite differenziali è espressamente prevista dalla L. n. 447 del 1995, che all’art. 10, comma 2, sanziona, tra l’altro, il loro superamento. Inoltre, la norma di rango legislativo, che pure attribuisce ai Comuni il compito di procedere alla zonizzazione acustica del territorio (art. 6, comma 1, lett. a, in rapporto all’art. 4, comma 1, lett. a), quando passa a disciplinare, all’art. 15, il regime transitorio, non prefigura alcun differimento, in attesa del piano di zonizzazione, nell’utilizzo del criterio differenziale, già previsto dal D.P.C.M. 1 marzo 1991, art. 2, comma 2.

In questa prospettiva, si deve ritenere che il D.P.C.M. 14 novembre 1997, art. 8 operi un richiamo (soltanto) al D.P.C.M. 1 marzo 1991, art. 6, comma 1, in funzione della determinazione di quali limiti assoluti siano da considerare in relazione alla protezione del territorio, ma non escluda, in attesa della zonizzazione acustica, l’operatività dei limiti differenziali di cui al medesimo art. 6, comma 2 i quali rispondono ad una ratto normativa specifica cautelativa, di protezione della salute pubblica, e che sono applicabili in tutte le zone, tranne in quelle esclusivamente industriali. In altri termini, il significato della norma transitoria del D.P.C.M. del 1997, art. 8 tutto interno ai valori limite assoluti, consiste nel rendere ancora operanti, in attesa della suddivisione del territorio comunali, i precedenti limiti di accettabilità dettati dal D.P.C.M. del 1991, art. 6, comma 1, anzichè i nuovi e diversi valori compresi nella tabella C dell’allegato 3 al più recente D.P.C.M..

Diversamente opinando, si attribuirebbe al D.P.C.M. del 1997, che ha natura regolamentare, una portata derogatoria delle previsioni contenute nella Legge Quadro del 1995, e ciò non solo in difetto di una base legale, ma anche in contrasto con la tutela costituzionale del diritto alla salute (art. 32 Cost.).

2. – Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 447 del 1995, art. 2, comma 4, e del richiamato allegato A del D.P.C.M. 1 marzo 1991, dell’allegato A del D.M. ambiente 16 marzo 1998, emanato in base alla L. n. 447 del 1995, art. 3, comma 1, lett. c), della L. n. 447 del 1995, art. 14, comma 3, dell’allegato B del citato D.M. e della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 23, comma 12, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Ad avviso della società ricorrente, il Tribunale avrebbe errato nell’applicazione delle disposizioni che definiscono la nozione di rumore residuo, ossia del rumore che si rileva quando si escludono le specifiche sorgenti disturbanti, perchè mentre il livello equivalente di rumore ambientale è stato misurato nella fascia oraria compresa tra le 10 e le 11.30, la rilevazione del rumore residuo è stata effettuata in concomitanza con l’interruzione dell’attività per la pausa pranzo, dalle ore 11.57 alle ore 12.07 e dalle ore 12.24 alle ore 12.34.

Inoltre la misurazione del rumore residuo sarebbe avvenuta non solo escludendo la specifica sorgente disturbante, ossia l’impianto di frantumazione inerti della società ricorrente che era inattivo per la pausa pranzo, ma anche le ulteriori sorgenti di rumore (le altre attività industriali ed artigianali presenti nella zona), pure esse interrotte per la pausa del mezzogiorno.

La ricorrente sostiene che gli eventuali ostacoli al corretto rilievo debbono essere individuati e valutati e debbono adottarsi gli accorgimenti atti a superarli, mentre non è conforme a legge eseguire malamente il rilievo e addossare le conseguenze al titolare della specifica sorgente disturbante.

Con il secondo motivo (violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 1931, art. 23, comma 12) si deduce che anche a ritenere che le conseguenze di un ingiustificato rifiuto di collaborare con il personale incaricato dei controlli debbano ricadere sul titolare della specifica sorgente disturbante, nel caso concreto la società ricorrente avrebbe fornito la prova di non avere potuto interrompere l’attività nel momento in cui l’ARPA formulò la relativa richiesta, pena il danneggiamento dell’impianto di frantumazione inerti.

Per la ricorrente il mero dubbio circa la ricorrenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito avrebbero dovuto portare all’accoglimento dell’opposizione.

2.1. – Entrambi i motivi – i quali possono essere esaminati congiuntamente, data la stretta connessione – sono infondati.

Ai sensi del D.M. 16 marzo 1998 (Tecniche di rilevamento e di misurazione dell’inquinamento acustico), prima dell’inizio delle misurazioni è indispensabile acquisire tutte le informazioni che possono condizionare la scelta del metodo, dei tempi e delle posizioni di misura.

Il giudice del merito – con motivato apprezzamento delle risultanze di causa – ha ritenuto che la misurazione dei livelli di rumorosità sia stata effettuata correttamente, nel rispetto delle prescrizioni regolamentari. In particolare il Tribunale ha dato atto che i tecnici dell’ARPA hanno eseguito la misurazione del livello equivalente di rumore ambientale in vari orari, dalle ore 10.09 alle ore 11.57, mentre la rilevazione del rumore residuo è stata effettuata in concomitanza con l’interruzione dell’attività della società Carnazzola nella pausa pranzo, senza che ciò abbia inciso sull’attendibilità delle misurazioni compiute.

Tra l’altro, il giudice a quo ha dato esattamente rilievo alla mancata collaborazione del soggetto sottoposto a controllo, il quale, rifiutandosi di ottemperare alla richiesta di disattivazione dell’impianto formulata dal personale dell’ARPA, ha reso impossibile la misurazione del rumore residuo in altro momento.

La ricorrente sostiene che tale modo di procedere avrebbe condotto ad un risultato distorto, giacchè durante il periodo di misurazione del rumore residuo erano interrotte, per la pausa di mezzogiorno, anche le altre attività artigianali e industriali presenti nella zona, con la conseguenza che sarebbe stato addossato alla società ingiunta il livello limite differenziale, e quindi il rumore prodotto da altri impianti, diversi da quello, da essa gestito, di frantumazione inerti.

Tuttavia la deduzione, oltre ad essere generica, non è svolta nel rispetto del principio di autosufficienza: la ricorrente richiama, si, la deposizione del teste V.F., che avrebbe riferito che dopo le ore 12 dei giorni feriali le altre attività della zona si interrompono per la pausa di mezzogiorno con cessazione delle emissioni sonore: ma tale deposizione, stando alla sintesi contenuta nel motivo, per un verso nulla dice in ordine alla interruzione delle altre attività artigianali ed industriali proprio ed anche nel giorno in cui si verificò l’accertamento del rumore residuo da parte dei tecnici dell’ARPA; per l’altro, è riportata per riassunto, senza la trascrizione, come era invece necessario, del contenuto preciso di detta risultanza istruttoria, e quindi non consente a questa Corte di valutare, in base allo stesso testo del ricorso, se essa concerna un profilo decisivo male o insufficientemente valutato dal giudice del merito.

Neppure coglie nel segno il rilievo secondo cui nella specie ci si troverebbe di fronte ad una prova non compiuta, e quindi non piena, della responsabilità dell’opponente (ciò che avrebbe dovuto portare ad applicare la disposizione che impone al giudice di accogliere l’opposizione quando non vi sono prove sufficienti della responsabilità dell’opponente). Il Tribunale esclude infatti di essersi trovato nella situazione di incertezza probatoria, affermando, da un lato, di avere appurato che il frantoio venne usato in modo da superare il limite di immissione differenziale di cui al D.P.C.M. 14 novembre 1997, e, dall’altro, che era onere dell’opponente dimostrare compiutamente di non avere potuto interrompere l’attività o di avere chiesto ai tecnici dell’ARPA di effettuare le misurazioni del rumore residuo durante una delle giornate di interruzione dell’attività per manutenzione dell’impianto.

3. – Con il terzo motivo (contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione alla L. n. 689 del 1981, art. 23, comma 6) ci si duole che il Tribunale, avendo ritenuto non dimostrato compiutamente il carattere giustificato del rifiuto opposto dalla società alle richieste dell’ARPA, non abbia disposto l’ammissione dei mezzi di prova ritenuti necessari.

3.1. – Anche questa censura è priva di fondamento, perchè nel giudizio di opposizione a ordinanza-ingiunzione, il potere del giudice di disporre d’ufficio i mezzi di prova ritenuti necessari e di disporre la citazione di testimoni anche senza la formulazione di capitoli, ha carattere meramente discrezionale e non è soggetto a sindacato in sede di legittimità anche quando manchi un’espressa motivazione sul punto, dovendosi ritenere che il giudice stesso abbia reputato, in maniera implicita, la sufficienza degli elementi già acquisiti.

Del resto, la doglianza non attinge il livello di necessaria concretezza, ove si consideri che nella specie la ricorrente neppure deduce di avere sollecitato il giudice del merito a disporre d’ufficio mezzi di prova.

4. – Con il quinto motivo (difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia) si sottolinea che il mancato rilievo di rumore ambientale e rumore residuo a finestre chiuse determinerebbe la lacunosità degli elementi istruttori che il Comune doveva necessariamente acquisire per potere accertare la sussistenza di tutti gli elementi costituitivi dell’illecito contestato.

4.1. Il motivo è infondato.

Sotto la rubrica “Valori limiti differenziali di immissione”, il D.P.C.M. 14 novembre 1997, al comma 2, art. 4 prevede che le disposizioni di cui al comma precedente non si applicano, in quanto ogni effetto del rumore è da ritenere trascurabile, nei seguenti casi: a) se il rumore misurato a finestre aperte sia inferiore a 50 dB (A) durante il periodo diurno e 40 dB (A) durante il periodo notturno; b) se il livello del rumore ambientale misurato a finestre chiuse sia inferiore a 35 dB (A) durante il periodo diurno e 25 dB (A) durante il periodo notturno.

Ora, poichè l’Allegato B al D.M. 16 marzo 1998 precisa che il rilevamento in ambiente abitativo deve essere eseguito sia a finestre aperte che chiuse al fine di individuare la situazione più gravosa, è da ritenere che il criterio differenziale debba essere applicato se non è verificata anche una sola delle condizioni di cui al D.P.C.M. del 1997, art. 4, comma 2, lett. a) e b) sicchè una volta effettuata la misurazione a finestre aperte e accertato che il rumore ambientale non rientra nella soglia di tolleranza, non occorre ripetere la misurazione a finestre chiuse.

5. – Il ricorso è rigettato.

Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, in mancanza di attività difensiva in questa sede da parte dell’Amministrazione intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta, il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 28 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2011

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