Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28384 del 05/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 05/11/2019, (ud. 04/06/2019, dep. 05/11/2019), n.28384

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Maria Margherita – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18867-2018 proposto da:

B.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SARDEGNA 50,

presso lo studio dell’avvocato FERRANTE MARIA, rappresentato e

difeso dall’avvocato ECCHER LORENZO;

– ricorrente –

contro

UNICREDIT SPA, in persona dei Procuratori pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DI RIPETTA 70, presso lo studio

dell’avvocato LOTTI MASSIMO, che la rappresenta e difende unitamente

agli avvocati DAVERIO FABRIZIO, FLORIO SALVATORE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 32/2018 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 20/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 04/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LEONE

MARGHERITA MARIA.

Fatto

RILEVATO

Che:

La corte di appello di Trento con la sentenza n. 32/2018 aveva rigettato il reclamo proposto, in sede di procedimento ex lege n. 92 del 2012, da B.R. avverso la decisione con la quale il tribunale locale aveva respinto la domanda dallo stesso proposta diretta alla declaratoria di illegittimità del licenziamento a lui intimato da Unicredit spa.

La corte territoriale, per quel che in questa sede rileva, aveva ritenuto fondati gli addebiti mossi al B. consistenti nell’aver promosso la concessione di un prestito di Euro 10.000,00 a P.I., nella sua qualità di direttore della filiale di (OMISSIS), presso la quale quest’ultima aveva un contocorrente, essendo egli contemporaneamente, oltre che amministratore e socio di maggioranza della BB srl, anche datore di lavoro della P. oltre che del fidanzato della stessa, M.A.. Deduceva la corte d’appello, in coerenza con l’addebito mosso, che il prestito in questione era finalizzato a finanziare (parzialmente) la cessione al M., da parte del B., del 30% delle quote della BB srl, mascherando l’operazione con la formale concessione del credito per l’acquisto di mobili di arredamento a seguito della locazione di un appartamento (come da causale apposta dallo stesso B.). La somma in questione era ricevuta dal B. con pagamento in contanti (a fronte della cessione delle quote) in violazione della normativa antiriciclaggio.

Il Giudice d’appello aveva ritenuto fondate le accuse, in quanto provate dalla coincidenza di date dei movimenti bancari intervenuti, attestativi dell’utilizzo del prestito per il pagamento delle suddette quote, della non provata causale indicata a fronte del prestito (acquisto mobili), anche smentita dall’aver, il M. e la P., sempre abitato in appartamenti già ammobiliati, e quindi della esistenza di un conflitto di interessi del B., quale direttore della filiale, con la erogazione del prestito con finalità di propria utilità. Da aggiungersi a ciò anche la violazione delle norme antiriciclaggio per il pagamento avvenuto in contanti. La gravità dei comportamenti era ritenuta dalla corte territoriale lesiva del rapporto fiduciario e dunque giusta causa di licenziamento.

Avverso tale decisione il B. proponeva ricorso affidato a due motivi anche coltivati con successiva memoria cui resisteva Unicredit spa.

Era depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1) Con il primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 5, in relazione all’art. 2729 c.c. per aver, la corte territoriale, accollato l’onere della prova in capo al lavoratore.

Il ricorrente lamenta che la valutazione svolta dalla corte territoriale sia stata fondata su elementi meramente indiziari, o semplici presunzioni, prive di valore probatorio, in violazione dei principi in materia di onere probatorio. In sostanza, dietro l’apparente violazione di legge, è censurata la valutazione svolta dalla corte territoriale circa la ricostruzione delle corcostanze di fatto attestative della condotta valutata. Si tratta all’evidenza di una doglianza che riveste il merito del giudizio, peraltro articolato su più ragioni fattuali, valutate con coerenza logica dalla corte territoriale e dunque non più ri-valutabili in questa sede di legittimità. Deve ulteriormente rimarcarsi che, comunque, la contestazione riguarda anche la violazione delle norme antiriciclaggio per aver, il ricorrente, ricevuto pagamenti in contanti per somme superiori ai limiti consentiti. Tale addebito non specificamente oggetto di censura, risulterebbe comunque ragione posta a sostegno della valutazione della corte d’appello, non toccata dai motivi del ricorso in sede di legittimità. Il motivo è inammissibile.

2) Con la seconda censura è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. in relazione all’art. 118 disp. attuaz. c.p.c., per non aver, la corte d’appello, motivato adeguatamente la sentenza relativamente alla gravità della condotta del signor B..

Deve premettersi che “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. SU Cass. n. 8053/2014

La censura in esame risulta inammissibile in quanto la corte territoriale ha addotto a sostegno della gravità le ragioni fondate dell’addebito così non potendo incorrere, la sentenza, nella ipotesi di assenza di motivazione, non risultando peraltro rilevante, secondo il principio esposto, la semplice insufficienza della motivazione.

Per tutto quanto sopra considerato il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in favore della controricorrente nella misura di cui al dispositivo.

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 4.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 4 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2019

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