Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28382 del 19/12/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 28382 Anno 2013
Presidente: DI IASI CAMILLA
Relatore: IOFRIDA GIULIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore
p.t., domiciliata in Roma Via dei Portoghesi 12,
presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la
rappresenta e difende ex lege
– ricorrente 2_CR
contro

Di Cesare Giuseppe, elettivamente domiciliato in
Roma Via Filippo Niccolai 16, presso lo studio
dell’avvocato Piero Conti, che lo rappresenta e
difende in forza di procura speciale in calce al
controricorso
– controricorrente avverso

la

Commissione

sentenza
Tributaria

n

219/01/2008

Regionale

del

della
Lazio,

depositata il 21/05/2008;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 1 ° /10/2013 dal Consigliere
Dott. Giulia Iofrida;
udito l’Avvocato dello Stato, Daniela Giacobbe, per
parte ricorrente;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
generale Dott. Immacolata Zeno, che ha concluso per

Data pubblicazione: 19/12/2013

l’accoglimento del ricorso, per quanto di ragione.
Svolgimento del processo
Con

sentenza

n.

219/01/2008

del

22/04/2008,

depositata in data 21/05/2008, la Commissione
Tributaria Regionale del Lazio, Sez. l, respingeva,
con compensazione delle spese di lite, l’appello
proposto, in data 10/01/2008, dall’Agenzia delle
Entrate Ufficio Roma 5, avverso la decisione n.

Provinciale di Roma, che aveva accolto il ricorso
proposto da Di Cesare Giuseppe, quale coerede di
Tozzi Valeria, contro un avviso di accertamento
notificato agli eredi della Tozzi, nell’ultimo
domicilio di questa, impersonalmente . e
collettivamente, con il quale era stato
rideterminato, ex art.5 T.U.I.R. DPR 917/1986, il
maggior reddito imponibile, ai fini IRPEF, per
l’anno d’imposta 2002, in conseguenza di una
rettifica eseguita nei confronti della Francesco Di
Cesare Riscaldamenti sas (a fronte della ritenuta
indeducibilità dei costi sostenuti dalla società
per la locazione di un immobile).
La C.T.P. di Roma aveva accolto il ricorso del Di
Cesare, nella qualità, fondato essenzialmente
sull’estensione anche nei riguardi dei soci

effetti

degli

preclusivi di qualsiasi ulteriore

accertamento fiscale, UivuH

dall det -Inizione

agevolata, ai sensi dell’art.9 comma 10 1.289/2002,
operata, per lo stesso

anno di imposta, dalla

società.
La Commissione Tributaria Regionale respingeva il
gravame dell’Agenzia delle Entrate, ritenendo che,
avendo la società Francesco Di Cesare Riscaldamenti
sas presentato nei termini, per l’annualità
d’imposta in esame, una domanda di sanatoria, senza

2

396/20/2006 della Commissione Tributaria

che, nel frattempo, come previsto dai commi 10 e 14
dell’art.9 1.289/2002, nei suoi confronti, fosse
stato notificato un processo verbale di
constatazione ovvero un avviso di accertamento essendo stato notificato alla stessa l’atto di
rettifica del reddito soltanto in data 21/09/2005,
illegittimo -, il socio, pur non potendo
effettivamente godere automaticamente della

sola società, non poteva essere destinatario di una
ripresa a tassazione legata ad un atto presupposto
nullo e correlata ad un inesistente maggior reddito
della società.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per
cassazione l’Agenzia delle Entrate, deducendo due
motivi, per violazione e/o falsa applicazione di
norme di diritto, ex art.360 n. 3 c.p.c. (Motivo l,
in relazione agli artt.9 commi 10 e 14 1.289/2002 e
5 DPR 917/1986, avendo ritenuto, peraltro in
maniera contraddittoria, comunque nulla ed
inesistente la rettifica del reddito nei confronti
della società, ‘n quanto adottata successivamente
alla proposizione de11’i3tanzù dì condono da parte
della stessa, così precludendo per sempre ogni
accertamento del maggior reddito da partecipazione
dei soci, laddove invece le evidenze derivanti
dall’attività di controllo effettuata nei confronti
di una società di persone, che aveva fruito della
definizione agevolata, pur non potendo essere
trasfuse in un avviso di accertamento a carico di
quest’ultima, potevano pur sempre essere utilizzate
come base di calcolo materiale nei confronti dei
soci, costituendo un semplice presupposto fattuale
dell’autonomo accertamento), e per contraddittoria
motivazione, ex art.360 n. 5 c.p.c. (Motivo 2, per

definizione agevolata, a cui aveva fatto ricorso la

avere i giudici tributari, da un lato, dato atto
della autonomia della posizione fiscale dei soci
rispetto a quella della società, con conseguente
piena legittimità dell’accertamento compiuto nei
riguardi dei primi, laddove gli stessi non si
fossero autonomamente avvalsi della facoltà di
definizione agevolata ex art.9 1.289/2002, e,
dall’altro lato, affermato l’illegittimità

quanto adottato sulla base di una verifica fiscale
dei redditi complessivi della società, successiva
all’intervenuto condono, e per l’effetto, secondo i
giudici tributari, nulla).
Ha resistito il contribuente con controricorso.
Motivi della decisione
Preliminarmente, in ordine alla questione del
litisconsorzio necessario tra soci e società di
persone, si deve dar seguito all’orientamento
giurisprudenziale secondo il quale,
imposte

sui

redditi,

una

“in tema di

volta

divenuto

incontestabile il reddito della società di persone
a seguito della definizione agevolata di cui al
D.L. 28 marzo 1997, n. 79, art. 9 bis, convertito,
con modificazioni, nella L. 28 maggio 1997, n. 140,
nel giudizio di impugnazione promosso dal socio
avverso l’avviso di rettifica del reddito da
partecipazione

non

configurabile

è

un

litisconsorzio necessario con la società e gli
altri soci” ( cfr. Cass. n. 2827/2010:
imposte

sul

una

redditi,

volta

“In tema di
divenuto

incontestabile il reddito della società di persone
a seguito della definizione agevolata di cui al
D.L. 28 marzo 1997, n. 79, art. 9 bis, convertito,
con modificazioni, nella L» 28 maggio 1997, n. 140,
nel giudizio di impugnazione promosso dal socio

4

dell’accertamento emesso nei confronti dei soci, in

avverso l’avviso di rettifica del reddito da
partecipazione non è configurabile un
litisconsorzio necessario con la società e gli
altri soci”).
Invero, l’esigenza di unitarietà dell’accertamento
che identifica la

ratio

del litisconsorzio

necessario anche nella peculiare ottica rilevante
in materia (Cass.S.U. 14815/2008), ove la

ricorso nello specifico nesso tra atto impositivo e
contestazione del contribuente (Cass.
S.U.1052/2007) – viene meno con l’intervenuta
definizione, da parte della società, costituente
titolo per l’accertamento nei confronti delle
persone fisiche, ai sensi del D.P.R. 29 settembre
1973, n. 600, art. 41 bis.
Sicché, non controvertendosi della qualità di
socio, ovvero della quota partecipativa a ciascuno
spettante, ma, unicamente, degli effetti della
definizione agevolata da parte della società su
ciascun dei soci, ognuno di questi può opporre, a
una definizione che costituisce titolo per
l’accertamento nei suoi confronti, soltanto ragioni
di impugnativa specifiche e quindi di carattere
personale (Cass. 2922 e 2923/2013; Cass.
14926/2011; Cass.16982/2011; 22778/2011), con
conseguente esclusione della ricorrenza di un
litisconsorzio necessario.
Nel merito, il primo motivo del ricorso è fondato.
E’ stato già affermato, da questa Corte, che i soci
delle società di persone, in quanto titolari di una
soggettività tributaria autonoma rispetto a quella
della società, oltre che quello di presentare
dichiarazioni integrative indipendentemente dalla
stessa, hanno il potere di contestare il reddito di

5

inscindibilità è determinata dall’oggetto del

partecipazione ad essi attribuito dal Fisco in
funzione di quello determinato, ai fini ILOR, nei
confronti della società, e, nei loro confronti,
quindi può configurarsi la nullità
dell’accertamento per carenza del potere impositivo
nei limiti in cui il socio si sia, a sua volta,
avvalso della facoltà di sanare la propria
posizione tributaria (Cass. 12886/2007; cfr. anche

Invero, in forza del principio di trasparenza
dettato dall’art.5 T.U.I.R.

(“i

redditi delle

società semplici, in nome collettivo e in
accomandita semplice residenti nel territorio dello
Stato sono imputati a ciascun socio
indipendentemente dalla percezione,
proporzionalmente alla sua quota di partecipazione
agli utili”),

il reddito della società di persone

(nonché delle associazioni professionali e delle
imprese familiari), enti che, pur dotati di
autonomia

patrimoniale

sotto

il

profilo

civilistico, non possiedono una autonoma
soggettività passiva tributaria ai fini dell’IRPEF,
è imputato automaticamente e direttamente, in
misura proporzionale alla rispettiva quota di
partecipazione agli utili, ai soci,
indipendentemente dalla effettiva percezione. Il
che equivale ad ammettere la sussistenza di una
presunzione legale di avvenuta percezione di tali
utili (Cass. nn. 2899/2002, 2699/2002), vincibile
soltanto mediante adeguata prova del contrario, il
cui onere grava sul contribuente socio.
La dichiarazione dei redditi presentata dalla
società di persone è dunque meramente strumentale
all’applicazione dell’imposta IRPEF a carico dei
soci. Va tuttavia rammentato che le società di

6

Cass. 3359/2012; Cass.15329/2013).

persone e le associazioni professionali hanno
un’autonoma soggettività tributaria ai fini IRAP
(e, prima dell’introduzione di detta imposta,
ILOR), cosicché la dichiarazione dei redditi
redatta e presentata dalla società ha la duplice
funzione di strumento per la determinazione del
reddito attribuibile a ciascun socio, ai fini
IRPEF, e di strumento per la determinazione

quale autonomo soggetto. Sia la società di persone
sia ciascun socio hanno infatti una propria
soggettività tributaria autonoma, cosicché

“è

legittima in astratto la possibilità che il socio
contesti il

reddito di partecipazione ricostruito

dal Fisco sulla base di quanto e di come ha deciso
di condonare la società

di persone al fini Ilor”

(Cass.8597/2006).
Neppure

potrebbe

essere

condivisa

la

tesi,

sostenuta nella sentenza della C.T.R.,

della

nullità per carenza di potere impositivo
dell’accertamento fatto nei confronti di un socio
di una società di persone, la quale abbia
presentato l’istanza di condono c.d. tombale,
poiché una tale carenza, se può essere affermata
nei confronti della società, non può esserlo anche
nei confronti del socio, se questi non si è avvalso
della facoltà di condonare la sua posizione
personale, posizione che, si ripete, è autonoma e
indipendente rispetto a quella della società . di
persone, anche se con essa collegata strettamente.
Ove il socio di società di persone non abbia
dichiarato, per la parte di sua spettanza, il
reddito societario nella misura risultante dalla
rettifica operata dall’Amministrazione finanziaria
a carico della società ai fini dell’ILOR o

dell’IRAP dovuta dalla società , in via esclusiva,

dell’IRAP, detto socio è tenuto al pagamento del
supplemento

di

IRPEF

dovuto

((Cass.

S.U.

125/1993;Cass. 2699/2002; Cass. 9461/2002).
Deve ritenersi dunque che, al socio, è attribuita
per

la medesima

annualità

la

quota parte

dell’imponibile risultante dall’imposta versata
dalla società per la definizione della lite
fiscale,

costituendo,

l’imputazione detta,

un

di trasparenza di cui all’art. 5 del T.U.I.R.
(nella sentenza n. 13186/2000, questa Corte ha
infatti già affermato che “in tema di imposte sui
redditi, al socio di una società di persone, che
abbia

contestato,

come

variabile

dipendente

dall’esito della lite tributaria promossa dalla
società, 11 reddito a lui imputato pro quota al
sensi dell’articolo 5 del D.P.R. n. 597/1973, deve
essere attribuita la quota parte dell’imponibile
risultante dall’imposta versata dalla società per
la definizione

de//e liti

fiscali ai sensi

dell’articolo 2-quinquies del D.L. 30 settembre
1994, n. 564, convertito, con modifiche, nella L.
30 novembre 1994, n. 656, senza che si verifichino
in capo al socio gli ulteriori effetti del condono
(estinzione del giudizio, esclusione di penalità),
costituendo l’imputazione al socio della quota
parte del reddito della società soltanto corretta
applicazione del disposto dell’articolo 5 sopra
menzionato”, cfr.Cass.2922 e 2923/2013).
Il secondo motivo è inammissibile, attenendo il
vizio di contraddittorietà della motivazione
esclusivamente all’accertamento ed alla valutazione
dei fatti rilevanti ai fini della decisione della
controversia, non anche all’interpretazione o
all’applicazione di norme giuridiche, ricadendo

riflesso della corretta applicazione del principio

invece queste ultime ipotesi nella previsione
dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in ordine alle quali il
sindacato di legittimità è limitato al controllo
della esattezza della risoluzione adottata dal
giudice del merito. In queste ultime ipotesi il
vizio di motivazione in diritto non può avere
rilievo di per sé, in quanto esso, se il giudice
del merito ha deciso correttamente le questioni di

decisione con argomentazioni inadeguate, illogiche
o contraddittorie, o senza dare alcuna motivazione,
può dar luogo alla correzione della motivazione da
parte della Corte di Cassazione (cfr. Cass.
16640/2005; Cass. 13435/2006; Cass. n. 11883/2003;
Cass. n. 5271/2002; Cass. n. 1430/1999).
Nella specie, attraverso il vizio motivazionale,
vengono in realtà censurate le argomentazioni in
diritto espresse in sentenza in ordine alla
relazione esistente (ed ai conseguenti effetti) tra
la verifica del reddito societario di una società
di persone, in presenza di un già perfezionato
condono c.d. tombale da parte della stessa, e
l’accertamento fiscale nei confronti dei singoli
soci.
Accolto pertanto il ricorso, quanto al primo
motivo, la sentenza impugnata va cassata e, non
essendovi necessità di ulteriori accertamenti in
fatto, va rigettato il ricorso introduttivo del
contribuente.
Le spese processuali del giudizio di merito vanno
integralmente compensate tra le parti, attese le
peculiarità della fattispecie processuale
(definizione automatica da parte della sola società
di persone delle proprie debenze fiscali ed
accertamento fiscale nei confronti dei soci).

diritto sottoposte al suo esame, supportando la sua

Le spese processuali del presente giudizio di
legittimità, liquidate come in dispositivo, in
conformità del D.M. 140/2012, attuativo della
prescrizione contenuta nell’art.9, comma 2 ° , d.l.
1/2012, convertito dalla 1. 271/2012 (Cass.S.U.
17405/2012), seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, quanto al primo

cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel
merito, rigetta il ricorso introduttivo del
contribuente; dichiara integralmente compensate tra
le parti le spese del giudizio di merito; condanna
la parte controricorrente al rimborso delle spese
del presente giudizio di legittimità, liquidate in
complessivi C 1.500,00, a titolo di compensi, oltre
eventuali spese prenotate a debito.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Quinta sezione civile, il 1 ° /10/2013.

motivo, dichiarato inammissibile il secondo motivo;

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