Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28382 del 14/12/2020

Cassazione civile sez. un., 14/12/2020, (ud. 22/09/2020, dep. 14/12/2020), n.28382

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Primo Presidente f.f. –

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di Sez. –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9332/2020 proposto da:

P.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV FONTANE

20, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO LIROSI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI PASSALACQUA;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, MINISTERO DELLA

GIUSTIZIA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 5/2020 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA

MAGISTRATURA, depositata il 15/01/2020.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/09/2020 dal Consigliere Dott. MARIA ACIERNO;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l’accoglimento del primo

motivo del ricorso ed assorbiti gli altri;

uditi gli avvocati Antonio Lirosi e Giovanni Passalacqua.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La sezione disciplinare del CSM ha inflitto la sanzione della censura all’incolpato perchè ha ritenuto integrato l’illecito di cui all’art. 3, comma 1, lett. a), per avere, al di fuori dell’esercizio delle funzioni, fatto uso della qualità di magistrato nota ai responsabili del Consorzio Polieco ( B.E. e S.C.) con i quali intratteneva rapporti in ragione della sua attività giurisdizionale, al fine di indurli a assumere la figlia con un rapporto di collaborazione retribuita, consistente dapprima nell’attività di traduzione di testi scritti e successivamente nello stabile inserimento nelle attività svolte dal Consorzio, con retribuzione non erogata dal Consorzio ma da altro soggetto al fine di non mettere in difficoltà l’incolpato. Nel capo d’incolpazione è stato precisato che di tutte le iniziative connesse al rapporto di lavoro veniva tenuto al corrente l’incolpato, compresa la forma giuridica dell’assunzione, e lo stesso manifestava al proposito riconoscenza come da intercettazioni agli atti. Inoltre, da parte dei responsabili del Consorzio era stata adottata una ulteriore cautela in relazione ad un convegno in Sardegna, ove per non far emergere il nome dell’incolpato, la figlia era stata ospitata da uno dei responsabili del Consorzio. I vertici del Consorzio, come da intercettazione ambientale, ritenevano importante questa assunzione e si attendevano riconoscenza da parte dell’incolpato. Ciò emergeva da un’altra intercettazione ambientale nella quale, nel corso di un’attività istruttoria svolta dall’incolpato negli uffici del Consorzio, un imprenditore attivo nel campo dei rifiuti e delle bonifiche ambientali manifestava preoccupazioni ed uno dei responsabili del Consorzio lo rassicurava precisando di aver assunto la figlia del magistrato.

2. La Procura generale aveva richiesto alla sezione disciplinare del CSM di non farsi luogo a dibattimento perchè i fatti erano ritenuti di scarsa rilevanza ma il Ministero della Giustizia al contrario aveva richiesto la fissazione di udienza di discussione orale nei confronti del Magistrato.

3. La sezione disciplinare ha ritenuto la sussistenza dell’illecito contestato consistente nell’abuso della qualità di magistrato per conseguire vantaggi non dovuti in favore della figlia. Ha precisato che non vi è prova che l’incolpato abbia svolto un ruolo attivo e propositivo nell’assunzione della figlia, ma non è necessaria per integrare l’illecito disciplinare l’esplicita richiesta del vantaggio ingiusto almeno ogni volta che lo stesso risulti manifestamente attribuito al magistrato od a terzi proprio in considerazione della qualità professionale del soggetto al quale il “riguardo” è rivolto e ove il beneficiario ne sia consapevole e dimostri di voler accettare e mantenere le utilità offerte. Nella specie l’incolpato non si è limitato a prendere atto di tali utilità, ma pur consapevole delle non commendevoli finalità dei suoi interlocutori; ha ripetutamente posto in essere condotte di manifesto apprezzamento ed approvazione di quanto compiuto in suo beneficio, attraverso i trattamenti privilegiati riservati a sua figlia. L’incolpato era ben consapevole che la figlia avesse una collaborazione professionale con il Consorzio tanto da esserne informato ancora prima dell’interessata. Egli poi si informava dell’attività svolta dalla figlia come traduttrice e in relazione agli impegni lavorativi svolti all’interno del consorzio. Si reputava soddisfatto degli enormi progressi e affermava di “sapere in cuor suo chi doveva ringraziare”. Veniva anche notiziato della formula giuridica di assunzione.

3.1. Pertanto, tenuto conto che i vantaggi attribuiti alla figlia dell’incolpato si sono concretizzati nell’attribuzione ripetuta e crescente di incarichi, non può non rilevarsi che, presa cognizione di tali vantaggi offerti da chi ben conosceva la sua qualità di magistrato egli non abbia mai manifestato condotte di disapprovazione ma si sia compiaciuto ripetutamente ponendo in essere una condotta commissiva avente come risultato il raggiungimento degli obiettivi in ragione dei quali i propri interlocutori avevano avviato, mantenuto ed intensificato rapporti di collaborazione contrattuale con la figlia.

4. L’illecito in conclusione deve ritenersi integrato sia per conseguire un vantaggio ingiusto sia per conservarlo, non mutando anche in tale seconda ipotesi la natura ingiusta di esso. La condotta tenuta dall’incolpato ha ingenerato quell’affidamento sulla permeabilità del magistrato (ad eventuali richieste relative allo svolgimento delle funzioni giurisdizionali) che costituisce la ragione fondativa dell’illecito disciplinare.

5. Al magistrato è stata inflitta la sanzione della censura.

6. Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso per cassazione l’incolpato affidato a due motivi.

7. Nel primo motivo è stata censurata la violazione del principio cardine della legge penale “nullum crimen sine legge” il quale impone che il fatto contestato sia riconducibile ad un illecito tipizzato anche in ordine agli illeciti disciplinari. Nella specie, la sentenza di condanna ha avuto ad oggetto un fatto diverso da quello contestato, e più esattamente un fatto non previsto nè tipizzato dall’ordinamento disciplinare. La fattispecie di illecito contestata deve ritenersi integrata solo se si sia in presenza di un vero e proprio uso o spendita della qualità al fine del raggiungimento di vantaggi ingiusti per sè o per altri. Ad avviso del ricorrente tale fatto non sussiste ed anzi è mancata incontestatamente la prova, che mediante l’abuso della qualità di magistrato l’incolpato abbia “procurato” o fatto conseguire alla figlia il vantaggio del rapporto di collaborazione continuativa. E’ invece stato dimostrato che i vertici del Consorzio si siano spesi a tale scopo, nonostante la persona da assumere fosse priva di competenze specifiche, al fine di ottenere il “futuro compiacimento del magistrato”.

7.1 Il Procuratore Generale, facendo proprie le conclusioni del PM e del GIP di Perugia che avevano trattato il procedimento penale a carico del magistrato, aveva evidenziato che i rapporti tra i vertici Polieco e la figlia del magistrato erano diretti e non mediati dal padre ed aveva ritenuto che le richieste informazioni sull’andamento del rapporto non configuravano una commistione tra l’attività del pubblico ufficiale e gli interessi privatistici. Peraltro, il rapporto era a termine ed alla sua scadenza non era stato rinnovato. Risulta, pertanto, escluso anche in fatto che l’incolpato abbia usato la propria qualità per indurre i vertici del Consorzio a far conseguire vantaggi indebiti alla figlia. La sezione disciplinare ha ritenuto che l’insussistenza di una condotta propositiva non esaurisca ogni rilievo disciplinare perchè la disposizione secondo le S.U. 30424 del 2018 avrebbe il duplice fine di preservare la fiducia nell’imparzialità del magistrato che, abusando della sua qualità per un fine ingiusto crei il dubbio sulla sua permeabilità a richieste che possono essere a lui indirizzate ed influenzarlo nell’esercizio delle sue funzioni. Ha ritenuto, di conseguenza, che non sia necessaria una esplicita richiesta di vantaggio ingiusto essendo sufficiente una condotta intesa ad incentivare, trattenere o mantenere le utilità offerte. Tuttavia, così ampliato il contenuto del lemma “conseguire” si viola, secondo il ricorrente, il principio della tassatività e tipizzazione dell’illecito disciplinare, non potendo la mancanza di un fatto costitutivo essere sostituito con condotte diverse, estranee all’induzione verso il raggiungimento di un vantaggio ingiusto. Il percorso argomentativo della sezione disciplinare parte da un antefatto insussistente per aggiungervi un post fatto cui assegna rilevanza disciplinare praeter e quindi contra legem. In tal modo però viene violata la funzione descrittiva delle diverse locuzioni impiegate dal legislatore e si crea una nuova fattispecie. Nella sentenza impugnata, al contrario, vengono ritenute sovrapponibili la condotta tipizzata di conseguimento del vantaggio ingiusto mediante l’abuso di qualità con la volontà di mantenimento del vantaggio, che, però è priva del connotato originario dello specifico dolo di abuso ed illiceità dell’agente come richiesto dalla fattispecie astratta. La sentenza dà rilievo al dolo specifico del terzo sul quale dovrebbe innestarsi quello dell’incolpato che, tuttavia, non avrebbe potuto interrompere il rapporto originato da volontà a lui non riconducibili. Il “mantenere” diventa in sè un vantaggio da conseguire, come condotta finalizzata a trattenere le utilità offerte.

7.2 In conclusione, ciò che viene punito è il compiacimento, l’apprezzamento successivo finalizzato al mantenimento del vantaggio, in tal modo alterando illegittimamente la tipicità dell’illecito descritta dalla norma.

8. Nel secondo motivo viene denunciata la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione in relazione ai requisiti dell’uso della qualità di magistrato, nei fatti accertati, essendo state individuate condotte ininfluenti in relazione alla sussistenza dell’elemento materiale dell’illecito, quali l’apprezzamento successivo e la spendita che dell’assunzione poteva fare il Consorzio stesso con terzi. Il rapporto di collaborazione risulta essere stato avviato autonomamente dalla figlia dell’incolpato e non risulta che il padre ne avesse richiesto l’allungamento o condizioni migliorative. Dunque c’è un travisamento delle prove laddove si assume per un verso l’indebito ed ingiustificato vantaggio nell’assunzione e dall’altro l’illiceità del rapporto instauratosi. Nel caso di specie, tuttavia, non risulta dimostrato che il Consorzio volesse avvantaggiarsi in modo obliquo dell’assunzione ed in particolare non è provato che il magistrato avesse la percezione che l’assunzione fosse dettata ad alterare i rapporti istituzionali con il Consorzio. Ove questa circostanza fosse stata provata, peraltro, la condotta corretta sarebbe stata l’interruzione definitiva dei contatti con il Consorzio e non l’ingerenza sul rapporto di lavoro. La mancanza di approvazione è, in conclusione, del tutto irrilevante in relazione ai fatti costitutivi dell’illecito.

9. Nel terzo motivo si censura l’omesso esame dell’esimente della scarsa rilevanza del fatto. Sia la Procura generale che la parte avevano sollecitato in subordine la valutazione della scarsa rilevanza del fatto che invece è stata del tutto omessa, sia sotto il profilo dell’apprezzabilità e gravità del fatto che della lesione dell’immagine del magistrato.

10. I primi due motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto logicamente connessi ed essere accolti per quanto di ragione. L’illecito disciplinare contestato, descritto nel D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3, lett. a), richiede una condotta caratterizzata dall’uso della qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi ingiusti per sè o per altri. Nel capo d’incolpazione, come sottolineato nella discussione orale dal Procuratore Generale, è espressamente indicato che l’incolpato “procurava alla figlia un rapporto di collaborazione retribuita (…) precisando nella prosecuzione dell’esposizione che l’opportunità di lavoro veniva offerta alla figlia dell’incolpato “esclusivamente per effetto del rapporto esistente, nell’ambito dell’attività giurisdizionale intercorsa tra l’incolpato e l’ente datore di lavoro”. Nell’ulteriore esposizione del capo d’incolpazione viene precisato che l’incolpato era al corrente della nuova attività lavorativa, ne conosceva le modalità, la seguiva e se ne compiaceva anche in conversazioni telefoniche con i responsabili dell’ente.

Non risultale ne dà atto la sentenza impugnata, una richiesta esplicita da parte dell’incolpato nè una implicita, da estrarsi per fatti concludenti, diretta a far ottenere alla propria figlia il lavoro come descritto nella contestazione. Per superare la carenza di questo elemento costitutivo dell’illecito viene ritenuta equiparabile alla condotta di chi si adoperi per far conseguire un vantaggio ingiusto ad un terzo quella che risulti diretta ad “incentivare, trattenere e mantenere le utilità offerte” ogni qual volta risulti che il vantaggio sia stato attribuito dal terzo in considerazione della qualità professionale del magistrato e con l’obiettivo d’influenzarlo nell’esercizio delle sue funzioni, tenuto conto che la finalità della fattispecie disciplinare è quella di preservare la fiducia nell’imparzialità del magistrato in relazione alla possibilità che l’abuso della qualità per un fine ingiusto determini negli interlocutori il dubbio sulla sua permeabilità (così S.U. 30424 del 2018).

10.1 Ritiene il Collegio che l’obiettivo perseguito dal terzo con l’assunzione della figlia dell’incolpato ove non determinato dalla condotta attiva del magistrato finalizzata al perseguimento dell’ingiusto vantaggio contestato non può sostituire la carenza dell’elemento costitutivo indicato. Una volta instaurato in via autonoma e senza la partecipazione dell’incolpato il rapporto di lavoro, la condotta successiva di non riprovazione e di “compiacimento” dell’obiettivo raggiunto dalla propria figlia, pur potendosi ritenere una condotta non apprezzabile, non può sopperire alla mancanza dell’elemento costitutivo dell’illecito consistente nell’essersi adoperato, esplicitamente od implicitamente nel raggiungimento dell’obiettivo coincidente con il “vantaggio ingiusto”. Al riguardo, non risulta accertata alcuna condotta attiva neanche volta a mantenere o far migliorare il rapporto di collaborazione, essendo necessarie a tale fine evidenze probatorie specificamente dirette a porre in luce un intervento finalizzato a scongiurare l’interruzione del rapporto o a richiedere un novum. In mancanza di qualsiasi riscontro al riguardo, la carenza di uno degli elementi costitutivi dell’illecito permane. Il vulnus alla fiducia sull’imparzialità e non influenzabilità del magistrato, che, come già osservato, costituisce la ratio della previsione dell’illecito deve essere sostenuta dalla condotta attiva, del tutto carente nella fattispecie, anche sotto il profilo dell’intervento successivo alla costituzione del rapporto di lavoro. Una condotta esigibile avrebbe potuto essere quella dell’astensione dalla trattazione di procedimenti nei quali potesse essere coinvolto l’ente terzo con il quale la figlia dell’incolpato ha instaurato il rapporto di lavoro oggetto della contestazione, ma si tratta di una condotta omissiva che non può integrare quella diretta a procurare un vantaggio ingiusto o a non perderlo, rilevando a fini diversi, non essendo peraltro ben definite le modalità di coinvolgimento dell’incolpato in procedimenti penali avviati a carico dei soggetti responsabili del Consorzio, o ad imprenditori ad esso legati.

10.2 Deve, pertanto, ritenersi che non può essere tratta dalla pronuncia delle S.U. n. 30424 del 2020 che riconosce la ratio dell’illecito nell’interesse pubblico a “preservare la fiducia nell’imparzialità del magistrato, in relazione alla possibilità che l’abuso della qualità per un fine ingiusto determini negli interlocutori il dubbio circa la permeabilità a richieste di soggetti interessati a influenzarlo nell’esercizio delle funzioni, e di garantire una linearità di comportamento, riconducibile al dovere generico di correttezza nella vita privata”; la conclusione dell’irrilevanza della condotta rivolta in forma esplicita od implicita all’ottenimento di un vantaggio ingiusto. La realizzazione da parte di terzi senza la sollecitazione dell’autore dell’illecito anche se sorretta dal fine d’influenzarne l’imparzialità o renderlo permeabile, non è idonea a sorreggere l’intera composizione di fatti costitutivi dell’illecito. Nella fattispecie posta a base della pronuncia delle S.U. n. 30424 del 2018 vi era stata un’esplicita condotta attiva volta alla segnalazione da parte del magistrato incolpato di due conoscenti all’amministratore giudiziario in una procedura di prevenzione. Anche nella successiva pronuncia n. 33089 del 2019 le S.U. hanno ribadito i medesimi principi, sottolineando che l’abuso della qualità di magistrato può anche essere effettuato implicitamente quando la conoscenza di tale qualità si inserisca in un contesto che concorra ad evidenziare una pressione psicologica sul soggetto che deve adoperarsi per l’ottenimento del vantaggio ingiusto idoneo ad indurlo a determinarsi in tale senso. Ma, alla luce della sequenza dei fatti evidenziati nella pronuncia impugnata, non risulta un comportamento conducente verso l’abuso della qualità di magistrato al fine di ottenere il vantaggio ingiusto o di non perderlo, od anche di propiziare un trattamento migliore, ma solo un comportamento successivo adesivo e compiaciuto dell’operazione realizzata. La finalità perseguita dall’ente terzo di influenzare e rendere permeabile il magistrato mediante il contratto di lavoro con la figlia risulta, alla luce dei fatti indicati in sentenza, essere frutto di una valutazione autonoma del terzo stesso e non di una provata pressione o intervento del magistrato, esercitata abusando di tale qualità.

Ne consegue l’accoglimento dei primi due motivi con assorbimento dei rimanenti. La pronuncia impugnata deve essere cassata con rinvio alla sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura perchè alla luce dei principi sopra indicati si proceda a verificare se alla luce dei fatti complessivamente acquisiti possa ritenersi realizzata la condotta, esplicita od implicita, di abuso della qualità di magistrato, rivolta alla realizzazione di un vantaggio per sè od altri, eziologicamente dipendente dal comportamento abusivo, ove accertato.

Si ritiene di compensare, per la natura della controversia? le spese processuali di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie i primi due motivi nei limiti di cui in motivazione, assorbiti gli altri. Cassa il provvedimento impugnato e rinvia alla sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura in diversa composizione.

Compensa le spese processuali del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2020

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