Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28381 del 11/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 11/12/2020, (ud. 06/11/2020, dep. 11/12/2020), n.28381

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5601-2020 proposto da:

B.P., B.L., B.G.,

B.A., rappresentati e difesi dall’avvocato DONATO LAINO;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositato il

29/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/11/2020 dal Consigliere Dott. SCARPA ANTONIO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

B.L., B.G., B.P. e B.A. propongono ricorso articolato in quattro motivi avverso il decreto n. 380/2019 reso il 29 novembre 2019 dalla Corte d’appello di Firenze.

L’intimato Ministero della Giustizia si difende con controricorso. Il decreto impugnato ha in parte accolto l’opposizione L. n. 89 del 2001 ex art. art. 5 ter, proposta dal Ministero della Giustizia avverso il decreto del magistrato designato del 12 agosto 2019, dichiarando che nulla sia dovuto a titolo di danno patrimoniale a B.L., B.G., B.P. e B.A., in relazione alla domanda di equa riparazione formulata per la durata non ragionevole di una procedimento penale ancora pendente davanti al Tribunale di Arezzo. Il magistrato designato aveva invece riconosciuto sussistente il danno patrimoniale in misura pari all’interesse legale sulle somme sequestrate in eccesso per il periodo dall’8 novembre 2012 al 22 novembre 2016.

I ricorrenti avevano dedotto, in particolare, di aver subito una ingiusta diminuzione patrimoniale per la mancata restituzione di valori loro riconducibili oggetto di un sequestro disposto dall’autorità giudiziaria penale e poi revocato. La Corte d’appello di Firenze, in sede di opposizione, ha ritenuto inammissibili le doglianze inerenti l’assunta illegittimità del provvedimento del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Arezzo sulla restituzione dei beni sequestrati. Il decreto impugnato ha poi negato la riconducibilità dei dedotti pregiudizi patrimoniali alla durata del processo penale, processo il cui esito di condanna potrebbe, peraltro, portare alla confisca dei beni in sequestro. I giudici dell’opposizione hanno anche affermato la carenza di prova del danno patrimoniale correlato all’ingente valore dei beni sequestrati, a tal fine rivelandosi insufficiente l’allegata consulenza di parte.

Il primo motivo di ricorso di B.L., B.G., B.P. e B.A. denuncia la “violazione o falsa applicazione di norme di diritto”, nella parte in cui il decreto impugnato ha affermato che l’esito del processo penale non potesse ritenersi neutro, in previsione della eventuale confisca. Nell’esposizione del motivo, si deduce la violazione dell’art. 240 c.p. in tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca.

Il secondo motivo di ricorso denuncia l’omesso esame ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non essendosi ritenuta raggiunta la prova dimostrativa in ordine alla titolarità dei valori, erroneamente considerandosi unica fonte di prova al consulenza di parte.

Il terzo motivo di ricorso allega la “falsa applicazione di norme di diritto”, nonchè l’omesso esame di fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella parte in cui non si è ritenuto di riconoscere il danno patrimoniale per carenza di dimostrazione dell’an correlativo.

Il quarto motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 1 protocollo addizionale CEDU, quanto al diritto dei ricorrenti alla tutela dalla privazione dei propri beni,

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato inammissibile con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 1), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Osserva il Collegio che il ricorso è inammissibile in quanto la procura all’avvocato Laino è apposta su foglio separato, non materialmente congiunto al ricorso, ed è autenticata dal difensore, in violazione dell’art. 83 c.p.c., comma 3, norma che non prevede un conferimento autonomo rispetto agli atti processuali cui il mandato si riferisce (salvo che per la memoria di costituzione di nuovo difensore in sostituzione); nè è possibile una sanatoria ai sensi dell’art. 182 c.p.c., poichè l’art. 365 c.p.c. prescrive l’esistenza di una valida procura speciale come requisito di ammissibilità del ricorso.

Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile, regolandosi secondo soccombenza le spese del giudizio di cassazione nell’ammontare liquidato in dispositivo. Essendo stata accertata l’invalidità della procura, la quale è comunque idonea a determinare l’instaurazione del rapporto processuale con la parte rappresentata, restano a carico dei ricorrenti le spese processuali (Cass. Sez. Unite, 10 maggio 2006, n. 10706).

Essendo il procedimento in esame esente dal pagamento del contributo unificato, non sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 6 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2020

 

 

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