Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28380 del 22/12/2011

Cassazione civile sez. II, 22/12/2011, (ud. 28/11/2011, dep. 22/12/2011), n.28380

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.N.C. COLPO LUIGI & FIGLI, in persona del legale rappresentate

pro

tempore, rappresentato e difeso, in forza di procura speciale in

calce al ricorso, dall’Avv. FOLETTO Angelo, elettivamente domiciliato

nello studio dell’Avv. Paolo Fiorilli in Roma, via Cola di Rienzo, n.

180;

– ricorrente –

contro

AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI VICENZA, in persona del Presidente pro

tempore;

– intimata –

avverso la sentenza del Tribunale di Bassano del Grappa in data 7

giugno 2005.

Udita, la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 28

novembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che il Tribunale di Bassano del Grappa, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 7 giugno 2005, ha rigettato l’opposizione proposta dalla s.n.c. Colpo Lidio e C. s.n.c. avverso l’ordinanza-ingiunzione del dirigente dell’Amministrazione provinciale di Vicenza, dipartimento urbanistica, prot. n. 45629/URB in data 3 luglio 1998, con cui era stato ad essa intimato il pagamento della somma di L. 484.768.580, oltre spese, per avere scaricato materiali al di fuori del perimetro di cava regolarmente approvato, per avere utilizzato per l’attività di cava ulteriori aree esterne a quella autorizzata per una superficie complessiva di mq. 850, in difformità dell’autorizzazione regionale, e per avere effettuato scavi a profondità maggiori di quelle consentite;

che secondo il Tribunale: la sussistenza degli illeciti contestati è dimostrata anche alla stregua dei rilievi topografici e fotografici in atti e dell’esito della disposta c.t.u.; la notificazione dei verbali di contestazione è avvenuta nel rispetto dei termini di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 14; è inapplicabile la norma della L. n. 689 del 1981, art. 15, sull’obbligo di comunicazione dell’esito degli accertamenti tecnici, e ciò difettando il presupposto costituito da analisi di campioni condotte in laboratorio, posto che non sussisteva alcun dubbio circa la natura del materiale estratto, peraltro ben nota alle parti; corretta è la determinazione dell’ammontare della sanzione, ancorato al valore commerciale del materiale estratto in difformità (L.R. Veneto 7 settembre 1982, n. 44, art. 33), desunto (in difetto di una valutazione ufficiale nel listino) dai prezzi praticati dai vari operatori del settore;

l’approvazione da parte della Regione di un progetto di coltivazione in variante non ha efficacia sanante dell’illecito; la mancata estensione delle norme sul condono edilizio alle violazioni in materia di cava non determina alcun vulnus ai parametri costituzionali;

che per la cassazione della sentenza del Tribunale di Bassano del Grappa la s.n.c. Colpo Lidio ha proposto ricorso, con atto notificato il 4 luglio 2006, sulla base di un complesso motivo;

che l’intimata Amministrazione provinciale non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata;

che con l’unico mezzo la società ricorrente deduce nullità e annullamento della sentenza per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, ribadendo la validità e fondatezza dei motivi di ricorso di primo grado;

che il motivo di ricorso si conclude con la richiesta: in via pregiudiziale, di “accogliere le eccezioni di incostituzionalità della L.R. Veneto 27 giugno 1985, n. 61, artt. 81 e 93, e successive modificazioni ed integrazioni, e del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 32, comma 25, come applicabilità della L. 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni ed integrazioni, per non aver incluso nel condono anche le Regioni con riferimento alle cave, in quanto in contrasto con gli artt. 3, 5, 7, 9, 97, 128 e 129 Cost.”; in via principale, “riesaminati i fatti e le motivazioni”, di “accertare e dichiarare nulla e annullabile la sentenza di primo grado del Tribunale di Bassano del Grappa n. 359/04 del 29 luglio 2004 …, con dichiarazione di nullità e annullamento della sanzione amministrativa impugnata in primo grado”; in via subordinata, di accertare e riconoscere “la quantificazione della sanzione amministrativa diversa da quella irrogata e da quella sostenuta dalla sentenza stessa, per errati criteri di applicazione della sanzione”;

che la sollevata questione di legittimità costituzionalità è manifestamente infondata, perchè la disciplina sul condono dell’illecito edilizio, dettata dal D.L. n. 269 del 2003, art. 32, incidendo sulla sanzionabilità penale e sulla stessa certezza del diritto, nonchè sulla tutela di valori essenziali come il paesaggio e l’equilibrato sviluppo del territorio, ha carattere eccezionale, sicchè la mancata previsione, da parte del legislatore statale, di analoghe forme di definizione di illeciti amministrativi diversi, quali quelli derivanti dalla violazione della disciplina dell’attività di cava, non viola i parametri costituzionali evocati dalla società ricorrente;

che per il resto, il motivo di ricorso è inammissibile;

che infatti, il prospettato vizio di motivazione non coglie nel segno, perchè il Tribunale ha dato ampiamente conto del proprio convincimento, con motivazione congrua ed esente da vizi logici e giuridici, laddove le critiche della società ricorrente – oltre a risolversi nella prospettazione di una diversa valutazione del merito della causa e nella pretesa di contrastare apprezzamenti di fatti e di risultanze probatorie che sono inalienabile prerogativa del giudice del merito – non tengono conto del fatto che il sindacato di legittimità ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, è limitato al riscontro estrinseco della presenza di una congrua ed esaustiva motivazione che consenta di individuare le ragioni della decisione e l’iter argomentativo seguito nella sentenza impugnata;

che d’altra parte, là dove pone (al di là della astratta rubrica del motivo) doglianze relative alla interpretazione e alla applicazione di norme di legge – così con riferimento al termine della notifica delle infrazioni (pag. 10 e ss. del ricorso), all’inosservanza dell’obbligo di comunicazione dell’esito degli accertamenti tecnici (pag. 14 e ss.), alla attendibilità del computo del materiale estratto e alla determinazione del valore commerciale del marmo (pag. 17 e ss.), alla commisurazione della sanzione (pag.

20 e ss.), alla insussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito contestato (pag- 22 e ss.), alla efficacia sanante dell’illecito per effetto dell’approvazione della variante (pag. 25 e ss.) – il ricorso non muove censure specifiche alle soluzioni delle questioni di diritto contenute nella sentenza impugnata, ma si limita a ribadire la “fondatezza e validità dei motivi del ricorso di primo grado”;

che al riguardo, va ricordato che per costante giurisprudenza (Cass., Sez. 1^, 17 maggio 2006, n. 11501; Cass., Sez. 1^, 8 marzo 2007, n. 5353), il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 cod. proc. civ., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla Corte regolatrice di adempiere il suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione;

che risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di norme di legge, essendo nella specie l’errore di diritto individuato per mezzo della sola preliminare indicazione delle norme pretesamente violate, ma non dimostrato per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia;

che in ogni caso va rilevato: che la censurata “svista” del verbalizzante che avrebbe confuso una strada con una discarica, rappresenta in realtà una meramente assertiva indicazione di un fatto, privo di addentellati probatori rispettosi del canone dell’autosufficienza; che la dedotta violazione della L. n. 689 del 1981, art. 14, è infondata, perchè il dles a quo coincide con la data di completamento degli accertamenti (e la sentenza descrive ampiamente l’iter di acquisizione della notizia circostanziata da parte della competente autorità amministrativa); che versandosi al di fuori dell’analisi di campioni, è fuori luogo il richiamo alla L. n. 689 del 1981, art. 15; che la questione dell’attendibilità del calcolo dell’eccedenza è puro fatto ed è comunque resa inutile dal riferimento della sentenza alla espletata c.t.u.; che la censura sulla commisurazione della sanzione è generica e non tiene conto del rilievo che la legge regionale correla l’entità della sanzione al valore commerciale del materiale scavato, laddove la fonte di tale valore (il listino prezzi della camera di commercio) è soltanto una delle possibilità, sia pure quella elettiva, a tale scopo, sicchè dalla mancanza di tali listini non può derivare alcuna “sospensione” legislativa; che la censura sull’elemento soggettivo è superata dalla sufficienza della colpa e dalla inadeguatezza della tesi dell'”affidamento” suscitato dall’azione amministrativa, per avere sempre la ditta Colpo “pagato quanto richiesto dal Comune di Conco in rapporto alle misurazioni effettuate dal tecnico in rapporto al materiale scavato”; che non vale la sanatoria per autorizzazione postuma, occorrendo guardare alla situazione al tempo del fatto;

che pertanto, il ricorso deve essere rigettato;

che nessuna statuizione sulle spese deve essere adottata, non avendo l’intimata Amministrazione provinciale svolto attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2011

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