Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28380 del 05/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 05/11/2019, (ud. 18/09/2019, dep. 05/11/2019), n.28380

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 29386/2016 R.G. proposto da

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato.

– ricorrente –

contro

C.G., P.L., in qualità di eredi di

P.P.P., rappresentate e difese dall’avv. Pace Fabio, elettivamente

domiciliate presso il suo studio in Milano, Corso di Porta Romana,

n. 89/b;

– controricorrenti, ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Piemonte, sezione n. 38, n. 1228/38/15, pronunciata il 23/04/2015,

depositata il 17/11/2015.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 settembre

2019 dal Consigliere Guida Riccardo.

Fatto

RILEVATO

Che:

le sig.re C. e P. (in seguito: le “contribuenti”), quali eredi di C.P.P., dirigente ENEL in quiescenza dal 30/06/1997, presentarono istanza di rimborso delle ritenute sulle prestazioni erogate dall’ENEL al momento della cessazione del rapporto di lavoro, in aggiunta al TFR, assumendo che: in qualità di dirigente ENEL, il loro congiunto godeva di una polizza sulla vita e sull’invalidità permanente, ai sensi dell’art. 12 CCNL per i dirigenti aziendali industriali del 16/05/1985, successivamente convertita, con effetto dal 1/01/1986, in un trattamento di previdenza integrativa aziendale (c.d. PIA); dopo la cessazione del rapporto di lavoro egli aveva ricevuto la somma di Euro 589.989,82, al netto della ritenuta fiscale derivante dall’applicazione dell’aliquota prevista per l’indennità di fine rapporto; aveva quindi chiesto il rimborso di Euro 81.876,13, pari alla differenza tra l’IRPEF trattenuta e quella effettivamente dovuta, trattandosi di prestazione da assoggettare alla minore aliquota del 12,5%, prevista per i redditi di capitale dal t.u.i.r., art. 42, comma 4,;

con ricorso alla CTP di Torino le contribuenti impugnarono il silenzio-rifiuto formatosi su tale istanza di rimborso; il giudice di primo grado, con sentenza n. 80/8/2005, rigettò la domanda e tale pronuncia venne confermata dalla CTR del Piemonte, con sentenza n. 11/6/2007, che respinse l’appello della parte privata;

su gravame delle contribuenti, la decisione di secondo grado venne cassata con rinvio, giusta sentenza di questa Corte n. 29485/2011, che demandò al giudice d’appello di provvedere agli accertamenti di fatto necessari per la soluzione della controversia, nel rispetto del principio di diritto enunciato dalle sezioni unite (Cass. sez. un. 13642/2011);

la causa è stata riassunta dalle contribuenti e la CTR del Piemonte, con la sentenza in epigrafe, nel contraddittorio dell’Agenzia, in accoglimento dell’appello ha quantificato in Euro 42.380,00 il rimborso IRPEF dovuto;

in particolare, la Commissione, prendendo atto del contenuto della sentenza di rinvio, ai fini dell’individuazione le somme da sottoporre alla ritenuta del 12,50%, ha osservato che: a) il Fondo PIA, istituito nel 1986, non aveva un patrimonio autonomo; b) ENEL non ha mai evidenziato costi finanziari specifici per accantonamenti (riserva matematica) e nemmeno specifici impieghi; c) il Fondo PIA, privo di un patrimonio separato e autonomamente gestito, non risulta avere effettuato “investimenti specifici”; d) è però possibile stimare un “rendimento virtuale” considerando la redditività degli accantonamenti nel bilancio ENEL, per il finanziamento delle prestazioni PIA, “pari a quella ottenuta sul mercato dell’intero patrimonio ENEL.”;

sulla scorta di tali premesse, la CTR (come suaccennato), all’esito dell’espletamento di una CTU, disposta d’ufficio, ha quantificato in Euro 42.380,00 il rimborso dovuto alle appellanti;

l’Agenzia ricorre per la cassazione, sulla base di tre motivi, cui le contribuenti resistono con controricorso, nel quale articolano ricorso incidentale, affidato a due motivi, illustrato anche da una memoria ex art. 380-bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo, denunciando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, art. 115, c.p.c. e art. 2697, c.c., l’Agenzia censura la decisione impugnata perchè fondata su una CTU che era stata disposta ex officio non già come prescritto (art. 7, cit.,) per la necessità di acquisizione di “elementi conosciutivi di particolare complessità”, ma solo per non definire la controversia, in base gli atti e alle prove già acquisiti, in senso totalmente favorevole all’ufficio;

il motivo è infondato;

ed invero: “Il processo tributario, anche se si fonda sull’impugnazione di un atto, ha ad oggetto il rapporto sostanziale controverso, sicchè il giudice dispone D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 7, di ampi poteri istruttori, e può, in sede di decisione, sostituire la propria valutazione a quella dell’ufficio.(Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto legittima la nomina di un CTU per l’accertamento della superficie dell’immobile).” (Cass. 13/06/2018, n. 15472);

nel caso concreto, la CTR, conformandosi a questo principio giuridico, ha espletato una CTU al fine di compiere l’accertamento di merito richiesto dalla sentenza di rinvio, riguardante la determinazione del capitale del Fondo PIA, accantonato per il dipendente, investito sul mercato finanziario;

con il secondo motivo, denunciando violazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2, e, con il terzo motivo, denunciando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, art. 13, del D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, art. 1,t.u.i.r., artt. 16, 17 e 42 (ora 45), L. 20 settembre 1985, n. 482, art. 6, art. 2697, c.c., l’Agenzia censura la sentenza impugnata per non avere fatto applicazione del principio di diritto affermato dalla sentenza di rinvio – per il quale unicamente le somme rinvenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento netto, imputabile alla gestione sul mercato, da parte del Fondo, del capitale accantonato erano soggetto alla ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. n. 482 del 1985, art. 6 – e, quindi, addebita alla CTR di avere fondato il proprio convincimento sul risultato di una CTU, disposta d’ufficio, che aveva calcolato un “rendimento virtuale o implicito”, diverso dal risultato dell’effettivo investimento del capitale accantonato per il dipendente sul mercato finanziario o (più genericamente) economico;

il secondo e il terzo motivo, da esaminare congiuntamente perchè connessi, sono fondati;

al fine di delineare la materia del contendere vale la fondamentale pronuncia delle sezioni unite (Cass. sez. un. 22/06/2011, n. 13645, conforme a Cass. sez. un. 22/06/2011, n. 13642), secondo cui: “In tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a), e art. 17, solo per quanto riguarda la “sorte capitale”, corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6; b) per gli importi maturati a decorrere dal 1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui al cit. D.P.R. n. 917, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17.”;

con specifico riferimento ai fondi PIA-FONDENEL, questa Corte, nel ribadire tale indirizzo, anche di recente (ex multis: Cass. 6/03/2019, n. 6514), ha puntualizzato come la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. n. 482 del 1985, art. 6, alle somme provenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento, possa applicarsi solo agli importi derivanti dall’effettivo investimento del capitale accantonato sul mercato, dovendo invece escludersi tale più favorevole tassazione rispetto alle somme versate dal contribuente ad un Fondo PIA che non abbia mai investito sul mercato finanziario (Cass.15/06/2018, n. 15853; 19/06/2018, n. 16116;29/12/2011,n. 29583;12/01/2012,n. 280;04/04/2012, n. 5376;25/05/2012,n. 8320;27/03/2013, nn. 7724-7728; 22/05/2013, nn. 12491-12496;02/10/2013, n. 22492; 09/10/2013, n. 22950; 12/02/2014,n. 3132; 12/02/2014, n. 3136; 19/03/2014, n. 6380; 09/04/2014, n. 8310; 04/02/2015, n. 1977; 22/05/2015, n. 10604; 13/01/2017, n. 720);

costituiscono, quindi, il “rendimento netto”, come ha ulteriormente puntualizzato questa Corte: le “somme derivanti dall’effettivo investimento del capitale accantonato sul mercato, non anche quelle calcolate attraverso l’adozione di riserve matematiche e di sistemi tecnico-attuariali di capitalizzazione, al fine di garantire la copertura richiesta dalle prestazioni previdenziali concordate” (Cass. nn. 10285/2017 e 24525/2017).

è da escludere, pertanto, che, nella prospettiva che qui interessa, possa considerarsi quale “rendimento” ottenuto quello corrispondente alla redditività sul mercato dell’intero patrimonio ENEL, poichè tale coerenza costituisce il risultato di una mera operazione matematica e non effettivamente il frutto dell’investimento di quegli accantonamenti nel libero mercato (Cass. n. 5436/2018; cfr. Cass. n. 4941/18);

questa Corte di legittimità (come ampiamente argomentato in motivazione dalla citata Cass. 19/06/2018, n. 16116), inoltre, ha più volte precisato quale sia l’ambito della verifica fattuale che richiede l’applicazione del principio di diritto affermato dalle sezioni unite (n. 13642/11), che impone la necessità di una: “ricostruzione dell’impiego delle somme sul mercato finanziario”, con apposita verifica se vi sia stato: “l’impiego da parte del Fondo sul mercato del capitale accantonato” e quale sia stato: “il rendimento di gestione conseguito in relazione a tale impiego, giustificandosi solo rispetto a quest’ultimo rendimento l’affermata tassazione al 12,50%”;

a ciò si aggiunga che incombe sul contribuente, che impugna il rigetto di un’istanza di rimborso – quale attore in senso sostanziale -, l’onere di provare il fondamento della sua pretesa; questi, pertanto, è tenuto a dimostrare quale sia la parte dell’indennità ricevuta ascrivibile a rendimenti frutto d’investimento sui mercati di riferimento, senza che detto onere probatorio possa ritenersi sufficientemente assolto tramite il mero rinvio: “al conteggio proveniente dall’ENEL, prodotto dal contribuente, che non contiene alcuna specificazione sui criteri utilizzati per la quantificazione della voce rendimento, così da chiarire se si tratta effettivamente di incremento della quota individuale del Fondo attribuita al dipendente in forza di investimenti effettuati dal gestore sul mercato” (Cass. 21/12/2016, n. 720; 15/03/2017, n. 13278; 16/03/2017, n. 13281);

venendo adesso all’esame dei motivi del ricorso, la sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione degli enunciati principi di diritto e, quindi, non s’è neppure uniformata alle prescrizioni della sentenza di rinvio (n. 29485/2011), in quanto, pur avendo appurato che non v’è stato alcun investimento specifico, sul mercato finanziario, degli accantonamenti sul Fondo PIA, discostandosi dal dictum della sentenza di rinvio, all’esito della menzionata CTU, ha poi erroneamente quantificato la somma da rimborsare alla parte contribuente sulla base del “rendimento virtuale” del capitale accantonato;

con il primo motivo del ricorso incidentale, denunciando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, art. 384, c.p.c. e art. 2697 c.c., le contribuenti censurano la sentenza impugnata per non essersi attenuta alla statuizione della sentenza di rinvio, prendendo come rifermento il rendimento del capitale accantonato da parte del Fondo PREVINDAI, anzichè il tasso di rendimento derivante dalla gestione ENEL, indicato nella relazione attuariale versata in atti dalla difesa delle appellanti;

con il secondo motivo, in subordine, denunciando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame del fatto controverso e decisivo per il giudizio, consistente nella quantificazione del rendimento, si censura la sentenza impugnata che, sebbene (come suaccennato) le appellanti avessero prodotto la certificazione ENEL ed una perizia a dimostrazione dell’entità del rendimento, non si era minimamente soffermata su tali decisivi aspetti, sui quali le parti si erano confrontate in giudizio;

i due motivi, da esaminare congiuntamente per connessione, sono infondati;

come si stabilito in precedenza, è evidente che l’errore compiuto dalla CTR, diversamente da quanto prospettano le contribuenti, consiste nell’avere riconosciuto un rendimento del capitale accantonato nel Fondo PIA, non già sulla base del suo effettivo investimento sul mercato finanziario (o dei valori mobiliari), bensì sulla base di un criterio virtuale, ingiustificato e erroneo alla stessa stregua degli arbitrari criteri alternativi (legati al tasso di rendimento della gestione ENEL), proposti dalle interessate;

in definitiva, accolti il secondo e il terzo motivo del ricorso principale, rigettato il primo motivo del ricorso principale, e rigettato il ricorso incidentale, la sentenza impugnata è cassata, in relazione ai motivi accolti;

non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, dato che la CTR ha stabilito che: “Quanto agli investimenti specifici sul mercato finanziario degli accantonamenti del Fondo Pia non avendo patrimonio separato e autonomamente gestito non risultano investimenti specifici.” (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata), la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto del ricorso introduttivo;

ricorrono giusti motivi, evincibili dall’articolata dinamica processuale, per compensare, tra le parti, le spese dei gradi di merito, mentre quelle del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso principale, ai sensi di cui in motivazione, rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata, in relazione al ricorso principale accolto e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo;

compensa, tra le parti, le spese dei gradi di merito e condanna le contribuenti, in solido, a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle contribuenti e ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 18 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2019

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