Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2838 del 09/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 09/02/2010, (ud. 22/12/2009, dep. 09/02/2010), n.2838

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. DI DOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro in

carica, ed Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato

presso i cui uffici sono domiciliati ope legis in Roma, Via dei

Portoghesi 12;

– ricorrenti –

contro

Fondazione Cassa di Risparmi di Livorno, in persona del legale

rapp.te pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma Via Bruno

Buozzi 102 presso lo studio dell’avv. Guglielmo Fransoni, e

rappresentata e difesa giusta procura speciale a margine del

controricorso dall’avv. RUSSO Pasquale;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4/14/05, depositata in data 3.3.05, della

Commissione tributaria regionale della Toscana;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22.12.09 da Consigliere Dott. Giovanni Carleo;

Lette le conclusioni scritte dell’Avvocatura Generale dello Stato per

conto del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’Agenzia

delle Entrate, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, la

cassazione della sentenza impugnata con ogni consequenziale

statuizione anche in ordine alle spese processuali.

Lette le conclusioni scritte del difensore per conto della

controricorrente che ha concluso per il rigetto del ricorso con

vittoria di spese.

Lette le conclusioni scritte del P.G., che ha concluso per

l’accoglimento del ricorso perchè manifestamente fondato con le

pronunce consequenziali.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Fondazione Cassa di Risparmi di Livorno aveva presentato una dichiarazione dei redditi, relativa al periodo d’imposta 1994/1995, nella quale aveva assoggettato l’imponibile Irpeg utilizzando l’aliquota ridotta del 18,5%. L’Ufficio notificava avviso di accertamento con recupero a tassazione di una maggiore imposta. Con successivo ricorso la Fondazione impugnava l’avviso di accertamento sostenendo di aver diritto alle agevolazioni previste dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6. La Commissione tributaria provinciale di Livorno accoglieva il ricorso. Proponeva appello l’Agenzia. La Commissione tributaria regionale della Toscana rigettava l’impugnazione. Avverso la detta sentenza hanno quindi proposto ricorso per cassazione articolato in un unico motivo il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate. La Fondazione resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

In via preliminare, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, posto che lo stesso deve essere ritenuto privo della necessaria legittimazione ad impugnare la sentenza di secondo grado in quanto il giudizio di appello, al quale non aveva partecipato, è stato introdotto dopo il primo gennaio del 2001 nei confronti della sola Agenzia delle Entrate. A riguardo, è appena il caso di osservare che la data indicata coincide con quella in cui è divenuta operativa l’istituzione dell’Agenzia delle Entrate, con conseguente successione a titolo particolare della stessa nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazione tributaria, per effetto della quale deve ritenersi che la legittimazione “ad causam” e “ad processum” nei procedimenti introdotti successivamente alla predetta data spetti esclusivamente all’Agenzia (Sez. Un. n. 3118/06).

Giova aggiungere, con riferimento ai procedimenti introdotti precedentemente alla detta data come nel caso di specie, che questa Corte ha avuto modo di affermare il principio secondo cui, pronunciata la sentenza di primo grado nei confronti del dante causa, il giudizio di appello da quest’ultimo consapevolmente disertato e celebrato senza che alcuna delle parti reclamasse l’integrazione del contraddittorio, con successiva sentenza nei confronti del solo successore – così come è avvenuto nella vicenda processuale in esame – consente di ritenere integrati i presupposti per l’estromissione dell’alienante pur in assenza di un provvedimento formale (cfr. Cass. 10955/07).

Alla luce di tali considerazioni, risulta pertanto evidente come nella vicenda processuale in esame il Ministero, il quale non aveva partecipato al procedimento di appello, introdotto con atto depositato in data 21.5.02, non era legittimato a ricorrere in cassazione avverso la sentenza impugnata, onde la declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto.

Passando all’esame della doglianza, articolata dalla Agenzia sotto il profilo della violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, dell’art. 12 disp. gen., del D.Lgs n. 153 del 1999, art. 12, nonchè sotto il profilo della motivazione omessa su un punto decisivo, va rilevato che la stessa si fonda sulla considerazione che la C.T.R. avrebbe trascurato che gli enti conferenti derivati dallo scorporo delle aziende bancarie, preposti dalla legge a possedere obbligatoriamente e amministrare la partecipazione di controllo nella società bancaria in cui hanno conferito l’azienda, non perseguendo in via esclusiva scopi culturali, in quanto tali, non possono essere annoverati tra gli enti ammessi all’agevolazione del beneficio fiscale. Ed invero, la Commissione di appello avrebbe dovuto aver riguardo alla natura dell’attività concretamente svolta e la Fondazione avrebbe dovuto dimostrare di aver effettivamente svolto in via esclusiva le attività che davano luogo alle agevolazioni, onere ad essa spettante contendendosi sull’applicazione di un beneficio fiscale ed invece non assolto. Inoltre la CTR avrebbe trascurato che l’art. 6 citato ha carattere eccezionale e non è suscettibile di interpretazione estensiva e quindi non si applica ad un soggetto che non rientra nelle categorie richiamate dalla predetta norma.

La doglianza è manifestamente fondata. A riguardo, giova sottolineare che le Sezioni Unite di questa Corte, assai recentemente, hanno avuto modo di risolvere un precedente contrasto giurisprudenziale affermando il principio secondo cui “gli enti di gestione delle partecipazioni bancarie, quali risultanti dal conferimento delle aziende di credito in apposite società per azioni e gravati dall’obbligo di detenzione e conservazione della maggioranza del relativo capitale ai sensi della L. n. 218 del 1990, ed in base al D.Lgs. n. 356 del 1990, art. 12, a causa del particolare vincolo genetico che le univa alle aziende scorporate, non possono essere assimilati nè alle persone giuridiche di cui alla L. n. 1745 del 1962, art. 10 bis (che perseguono esclusivamente scopi di beneficenza, educazione, istruzione, studio e ricerca scientifica), ai fini della esenzione dal versamento della ritenuta d’acconto sugli utili, nè agli enti ed istituti di interesse generale aventi scopi esclusivamente culturali, di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, ai fini del riconoscimento della riduzione a metà dell’aliquota sull’IRPEG; la predetta disciplina agevolativa non trova applicazione quanto agli enti considerati nè in via analogica, trattandosi di disposizioni eccezionali, nè in via estensiva, poichè la sua “ratio” va ricercata nella esclusività e tipicità del fine sociale previsto per ciascun ente, individuato in maniera tassativa quale già esistente al momento dell’entrata in vigore delle predette norme. La successiva disciplina di riforma del sistema creditizio, nel l’attribuire a tali enti, ai sensi del D.Lgs. n. 153 del 1999, art. 12, ed ove si siano adeguati alle nuove prescrizioni, la qualifica di fondazioni con personalità giuridica di diritto privalo, così estendendo ad essi il regime tributario proprio degli enti non commerciali, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, ex art. 87, comma 1, lett. c) (T.U.I.R.), non ha assunto valenza interpretativa, e quindi efficacia retroattiva, avendo essa previsto adempimenti collegati all’attuazione della riforma stessa, senza influenza sui periodi precedenti. Ne consegue l’esistenza di una presunzione di esercizio di impresa bancaria in capo ai soggetti che, in relazione all’entità della partecipazione al capitale sociale, sono in grado di influire sull’attività dell’ente creditizio e, dall’altro, la possibile fruizione dei predetti benefici, per gli enti considerati, solo a seguito della dimostrazione, di cui sono onerati secondo il comune regime della prova ex art. 2697 cod. civ., di aver in concreto svolto un’attività, per l’anno d’imposta rilevante, del tutto differente da quella prevista dal legislatore, dunque un’attività di prevalente o esclusiva promozione sociale e culturale anzichè quella di controllo e governo delle partecipazioni bancarie e sempre che il relativo tema sia stato introdotto nel giudizio secondo le regole proprie del processo tributario, ovverosia mediante la proposizione di specifiche questioni nel ricorso introduttivo, non incombendo all’Amministrazione finanziaria l’onere di sollevare in proposito precise contestazioni” (Sez. Un. n. 1576/09, n. 27619/06, Cass. n. 7883/07, n. 10253/07, n. 10258/07, 13559/07, n. 14087/07).

Considerato che la sentenza impugnata non si è uniformata ai suddetti principi, pienamente condivisi dal Collegio ed applicabili nella fattispecie, la censura esaminata merita di essere condivisa Pertanto il ricorso per cassazione in esame deve essere accolto e la sentenza impugnata, che ha fatto riferimento, in modo non corretto, ad una regula iuris diversa, deve essere cassata. Con l’ulteriore conseguenza che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa deve essere decisa nel merito con il rigetto del ricorso introduttivo della lite proposto dai contribuenti. Ed invero, non ricorre la necessità del rinvio al giudice del merito per l’esame della sussistenza dei presupposti di fatto richiesti dalle norme agevolative, sul rilievo che se il tema specifico della prova del perseguimento in concreto delle finalità sociali non risulta prospettato con il ricorso introduttivo, lo stesso non può più essere introdotto come tema di indagine. Nella specie, il controricorso non riporta alcun accenno, opportunamente trascritto, nel rispetto del principio di autosufficienza, limitandosi a riportare solo alcune previsioni statutarie in tal senso. Analogo discorso va svolto in tema di sanzioni, eventualmente applicate dall’Amministrazione, relativamente alle quali la controricorrente nulla dice nè riporta alcuna sua deduzione contenuta nel ricorso introduttivo.

Sussistono giusti motivi per compensare fra le parti le spese dell’intero giudizio in quanto l’orientamento giurisprudenziale riportato si è consolidato solo dopo l’introduzione della lite.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso del Ministero, accoglie il ricorso dell’Agenzia, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, rigetta il ricorso introduttivo della lite proposto dalla contribuente. Compensa fra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2010

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