Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28379 del 22/12/2011

Cassazione civile sez. II, 22/12/2011, (ud. 28/11/2011, dep. 22/12/2011), n.28379

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.A., rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a

margine del ricorso, dagli Avv. TARABINI Giorgio e Andreina Degli

Esposti, elettivamente domiciliato nello studio di quest’ultima in

Roma, Via Bissolati, n. 76;

– ricorrente –

contro

COMUNITA’ MONTANA VALCHIAVENNA, in persona del presidente pro

tempore, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale a

margine del controricorso, dagli Avv. VENOSTA Francesco e Giuseppe

Ambrosio, elettivamente domiciliata nello studio di quest’ultimo in

Roma, Viale Delle Belle Arti, n. 7;

– controricorrente –

avverso la sentenza del Tribunale di Sondrio, sezione distaccata di

Morbegno, n. 34 in data 18 marzo 2005.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 28

novembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

uditi gli Avv. Monica Nardelli, per delega dell’Avv. Andreina Degli

Esposti, e Giuseppe Ambrosio;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che il Tribunale di Sondrio, sezione distaccata di Morbegno, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 18 marzo 2005, ha – per quanto qui rileva – rigettato l’opposizione proposta da C.A. avverso l’ordinanza-ingiunzione n. 61 del 28 luglio 2003, con la quale la Comunità montana della Valchiavenna aveva intimato al medesimo, quale presidente del consiglio di amministrazione della s.r.l. Larioscavi, il pagamento della somma di Euro 443.292,17 a titolo di sanzione amministrativa per la violazione della L.R. Lombardia 5 aprile 1976, n. 8, art. 25 (Legge forestale regionale) e dell’art. 55 del regolamento regionale 23 febbraio 1993, n. 1 (Prescrizioni di massima e di polizia forestale valide per tutto il territorio della Regione);

che il Tribunale: ha ritenuto irrilevante il fatto che il C. fosse stato assolto dalla contravvenzione di cui alla L. 27 febbraio 1985, n. 47, art. 20 e del D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, art. 163, non essendo configurabile nella specie la coincidenza del fatto alla base dell’illecito amministrativo con la contestazione avvenuta in sede penale; ha giudicato infondata l’eccezione di incompetenza dell’autorità amministrativa ingiungente; ha sottolineato che il C. risponde in proprio per avere, quale legale rappresentante della società Larioscavi, concorso alla formazione della volontà dell’ente e contribuito, sotto il profilo morale, alla realizzazione della fattispecie contemplata dalla norma, consistita nella asportazione di una quantità di materiale di gran lunga maggiore di quella autorizzata; ha considerato non decisiva l’assenza di alcun danno sotto il profilo estetico;

che per la cassazione della sentenza del Tribunale il C. ha proposto ricorso, con atto notificato il 4 aprile 2006, sulla base di tre motivi, illustrati con memoria;

che l’intimata Comunità montana ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata;

che con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. 24 novembre 1981, n. 689, artt. 3, 6, 14 e 18 e art. 2697 cod. civ., nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia;

che con esso si censura: (a) che sia stata riconosciuta la responsabilità del C., addebitandosi allo stesso, non autore materiale dello scavo, una partecipazione morale alla realizzazione della fattispecie nella veste di legale rappresentante della società, senza considerare che la responsabilità per l’illecito amministrativo deve essere personale; (b) che la sentenza impugnata abbia convalidato l’ordinanza-ingiunzione, nonostante la diversità tra quanto in essa addebitato (culpa in vigilando) e contestazione (che identificava il C. quale autore materiale);

che inoltre si deduce (e) che è mancata la prova che il C. sia il trasgressore della violazione contestata e che comunque non incombeva sul medesimo l’onere di dimostrare l’assenza della propria responsabilità;

che la complessiva censura è infondata e, per taluni aspetti, inammissibile;

che innanzitutto, occorre prendere le mosse dal rilievo che – come emerge dalla valutazione compiuta, con logico e motivato apprezzamento, dalla sentenza impugnata – la sanzione amministrativa è stata applicata e notificata al C. nella sua veste di presidente del consiglio di amministrazione e legale rappresentante della s.r.l. Larioscavi, per il ruolo decisionale svolto nell’avere disposto l’esecuzione dello scavo e dell’asportazione oltre i limiti assentiti nel provvedimento;

che – essendo contestato al C. un illecito commesso in proprio – non sussiste la denunciata violazione o falsa applicazione delle norme invocate dal ricorrente;

che per un verso, infatti, ai sensi e per effetto della L. n. 689 del 1981, art. 6, comma 3, la responsabilità dell’illecito amministrativo compiuto da un soggetto che abbia la qualità di rappresentante legale della persona giuridica, grava sull’autore medesimo e non sull’ente rappresentato e solo solidalmente obbligato al pagamento delle somme corrispondenti alle sanzioni irrogate (Cass., Sez. 2^, 13 maggio 2010, n. 11643);

che d’altra parte, non è configurabile la violazione del principio di responsabilità personale, giacchè nell’ambito dell’organizzazione di una società a responsabilità limitata, la centralità del ruolo del presidente del consiglio di amministrazione e legale rappresentante (al quale sono demandati la gestione dell’attività sociale e lo svolgimento di tutte le operazioni che rientrano nell’attività sociale) fonda la riconducibilità alla sua condotta dell’esercizio di un’attività non autorizzata, non essendo ipotizzabile che una cosi vistosa deviazione dai limiti segnati dalla disciplina di settore (prelievo di materiale di gran lunga superiore rispetto a quello autorizzato e con scavi a profondità maggiore in rapporto a quanto assentito dalla competente autorità) possa verificarsi senza l’apporto del soggetto cui compete la gestione dell’attività sociale e, con essa, la creazione delle condizioni strutturali che sono necessarie affinchè l’attività dell’ente si svolga nel rispetto delle norme (cfr. Cass., Sez. 1^, 27 aprile 2011, n. 9384);

che la censura relativa alla corrispondenza tra violazione contestata con il verbale e addebito mosso in sede di ordinanza-ingiunzione, è inammissibile;

che invero, a fronte del rilievo secondo cui la circostanza relativa alla contestazione della culpa in vigilando non sarebbe stata, in ogni caso, dedotta tempestivamente con l’atto di opposizione, il motivo di ricorso manifesta un opinamento contrario e richiama, in proposito, la pag. 4 di quell’atto introduttivo, ma – in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – non ne trascrive il contenuto, e quindi non da modo a questa Corte di verificare immediatamente, dal tenore stesso del ricorso per cassazione, la pertinenza della doglianza;

che infine, nessuna violazione dei principi sull’onere della prova è riscontrabile nella sentenza impugnata, avendo il Tribunale giudicato in base al principio di acquisizione probatoria e dato atto, con congrua e motivata valutazione, che il C. non aveva mosso contestazioni in ordine al ruolo svolto nella fase decisionale delle attività compiute in difformità rispetto a quanto autorizzato;

che con il secondo motivo si prospetta violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, artt. 9 e 24: per un verso avrebbe dovuto essere fatta applicazione del principio di specialità (essendo i fatti oggetto del processo verbale del Corpo forestale i medesimi sui quali si è incentrata l’indagine penale); per l’altro verso, poichè l’accertamento del fatto di reato dipendeva dall’accertamento dell’illecito amministrativo, sarebbe configurabile l’incompetenza dell’autorità amministrativa;

che la doglianza è infondata, sotto entrambi i profili in cui si articola;

che in tema di sanzioni amministrative, la L. n. 689 del 1981, art. 9, comma 2 – a tenore del quale quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione regionale che preveda una sanzione amministrativa, si applica in ogni caso la disposizione penale – in tanto opera in quanto le norme sanzionanti un medesimo fatto si trovino fra loro in rapporto di specialità, il quale deve escludersi quando sia diversa l’obiettività giuridica degli interessi protetti dalle due norme (Cass., Sez. 1^, 8 marzo 2005, n. 5047);

che non sussiste un rapporto di specialità tra la disposizione penale di cui al D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, artt. 146, 151 e 163, dettati a protezione dell’ambiente, e della L.R. Lombardia n. 8 del 1976, art. 25 e art. 55 del relativo regolamento, i quali, a protezione del vincolo idrogeologico, configurano come illecito amministrativo l’esecuzione di lavori di scavo in (assenza o in) contrasto con l’autorizzazione forestale;

che, inoltre, la connessione obiettiva dell’illecito amministrativo con un reato, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 24, rileva esclusivamente, determinando lo spostamento della competenza all’applicazione della sanzione dall’organo amministrativo al giudice penale, nel caso in cui l’accertamento del primo costituisca l’antecedente logico necessario per l’esistenza dell’altro (Cass., Sez. 1^, 9 novembre 2006, n. 23925); laddove nella specie, in difetto di tale rapporto di pregiudizialità, la pendenza del procedimento penale non ha fatto venir meno detta competenza all’irrogazione della sanzione amministrativa;

che il terzo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione della L.R. n. 8 del 1976, art. 25 e dell’art. 55 del regolamento regionale n. 1 del 1993, sul rilievo che nelle ipotesi di esercizio di attività di cava trova applicazione solo la normativa che disciplina nello specifico tale attività e non quella relativa al vincolo idrogeologico;

che la questione è inammissibile perchè nuova (non constando dalla sentenza impugnata che essa sia stata posta con il ricorso in opposizione) e comportante una nuova indagine in fatto;

che in ogni caso occorre rilevare che l’illecito contestato riguarda non tanto l’attività di cava in sè, quanto il compimento di un’attività di mutamento e trasformazione nell’uso di terreni soggetti a vincolo idrogeologico;

che infine la questione posta con la memoria illustrativa – riguardante la legalità della sanzione irrogata e la richiesta di disapplicazione dell’art. 55 del regolamento della Regione Lombardia n. 1 del 1993 – è nuova, concernendo un profilo non veicolato con il ricorso per cassazione;

che pertanto, il ricorso deve essere rigettato;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta, il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla Comunità montana controricorrente, che liquida in complessivi Euro 5.200,00 di cui Euro 5.000,00 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2011

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