Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28376 del 05/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 05/11/2019, (ud. 18/09/2019, dep. 05/11/2019), n.28376

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6744/2015 R.G. proposto da:

M.M., rappresentato e difeso dall’avv. Luigi Ferrajoli

e dall’avv. Giuseppe Fischioni, elettivamente domiciliato presso lo

studio di quest’ultimo, in Roma, via della Giuliana n. 32.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, sezione staccata di Brescia, sezione n. 64, n. 4469/14,

pronunciata il 17/09/2013, depositata il 3/09/2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 settembre

2019 dal Consigliere Dott. Guida Riccardo.

Fatto

RILEVATO

che:

M.M. ricorre, sulla base di due motivi, illustrati con memoria ex 380-bis.1. c.p.c., nei confronti dell’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, in epigrafe, che – in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento che recuperava a tassazione, ai fini IRPEF, per l’anno d’imposta 2007, il reddito di partecipazione alla Justmetal Srl, società a òristretta base partecipativa, composta da due soci ( C.G., titolare di una quota del 1% del capitale sociale, e la società fiduciaria Gestioni Fiduciarie Spa, titolare di una quota del 99%, il cui fiduciante era lo stesso M.), nei confronti della quale erano stati accertati induttivamente costi indeducibili (derivanti da operazioni oggettivamente inesistenti) per un ammontare di Euro 4.791.915,76 – ha rigettato l’appello del contribuente, confermando la sentenza di primo grado al medesimo sfavorevole;

la CTR, innanzitutto, ha disatteso la censura del contribuente, per la quale la sua adesione al c.d. “scudo fiscale” avrebbe impedito l’attività accertatrice dell’erario, sul rilievo che, nel caso concreto, non trovava applicazione la preclusione all’accertamento fiscale descritta dal D.L. 25 settembre 2001, n. 350, art. 14, comma 7, richiamato dal D.L. 1 luglio 2009, n. 78, art. 13-bis, perchè l’interessato aveva trasmesso all’intermediario (SER-FID Italia Spa) la dichiarazione riservata delle attività emerse in data 30/04/2010, vale a dire in data posteriore alla notifica dell’avvio della verifica fiscale (24/03/2010) e alla consegna del processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza (27/03/2010);

in secondo luogo, sulla premessa che l’accertamento del maggior reddito non dichiarato in capo alla Justmetal Srl era divenuto definitivo, ha ritenuto operante la presunzione di distribuzione di utili occulti ai soci, trattandosi di società a ristretta base partecipativa, della quale M. era “di fatto proprietario esclusivo”, visto che il capitale sociale (nella misura del 99%) era detenuto da un ente collettivo del quale il contribuente era fiduciante, anche in considerazione del fatto che l’interessato non aveva fornito alcun elemento di prova di segno contrario e si era limitato a negare l’applicabilità della presunzione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo del ricorso, denunciando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.L. n. 78 del 2009, art. 13-bis, si censura la sentenza impugnata per avere negato che l’adesione del ricorrente al c.d. “scudo fiscale” precludesse il potere impositivo dell’Amministrazione finanziaria, trascurando che l’inizio dell’attività di accertamento amministrativo (risalente al 24/03/2010) era successivo alla presentazione della dichiarazione riservata delle attività emerse, ai sensi del citato D.L. n. 78 del 2009, art. 13-bis, avvenuta il 19/03/2010, tramite il conferimento all’intermediario abilitato dell’incarico di ricevere in deposito o amministrazione le attività rimpatriate e di versare la relativa imposta straordinaria;

il motivo è inammissibile;

il D.L. n. 350 del /2001, art. 14, comma 7, richiamato dal D.L. n. 78 del 2009, art. 13-bis, così dispone: “7. Il rimpatrio delle attività non produce gli effetti di cui al presente articolo quando, alla data di presentazione della dichiarazione riservata, una delle violazioni delle norme indicate al comma 1 è stata già constatata o comunque sono già iniziati accessi, ispezioni e verifiche o altre attività di accertamento tributario e contributivo di cui gli interessati hanno avuto formale conoscenza. Il rimpatrio non produce gli effetti estintivi di cui al comma 1, lett. c), quando per gli illeciti penali ivi indicati è già stato avviato il procedimento penale, di cui gli interessati hanno avuto formale conoscenza.”;

in altre parole, l’effetto preclusivo dell’accertamento (amministrativo) fiscale conseguente al rimpatrio delle attività finanziarie è soggetto alla condizione che quando l’interessato aderisce al c.d. “scudo fiscale” non sia già in corso una verifica tributaria;

nel caso concreto, la CTR, con un apprezzamento di fatto – sindacabile, in sede di legittimità, entro gli stretti limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (che, nella specie, sarebbero resi ancor più angusti dalla presenza di una sentenza d’appello, “doppia conforme” rispetto alla pronuncia di primo grado), quale motivo di ricorso per cassazione neppure dedotto dal contribuente – ha negato il detto effetto preclusivo dello “scudo fiscale” sull’accertamento tributario, per essere quest’ultimo iniziato in data 24/03/2010, prima che venisse presentata la dichiarazione riservata (ciò che avvenne solo il 30/04/2010);

con il secondo motivo, denunciando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 3, artt. 2697,2727,2729, c.c., si censura la sentenza impugnata per avere desunto dalla definitività dell’accertamento fiscale nei confronti della Justmetal SrI la distribuzione al contribuente del 99% degli utili non dichiarati, nonostante l’assenza di presunzioni gravi, precise e concordanti, in tal modo trasferendo a quest’ultimo l’onere probatorio incombente sull’Amministrazione finanziaria, quale soggetto titolare della pretesa impositiva;

il motivo è infondato;

secondo il consolidato orientamento della Corte, al quale il Collegio intende aderire: “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione, ai soci, degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, per essere stati, invece, accantonati dalla società ovvero da essa reinvestiti, non risultando tuttavia a tal fine sufficiente nè la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili nè il definitivo accertamento di una perdita contabile, circostanza che non esclude che i ricavi non contabilizzati, non risultando nè accantonati nè investiti, siano stati distribuiti ai soci.” (Cass. 8/07/2008, n. 18640; in senso conforme, ex multis: Cass. 18/10/2012, n. 17928; 26/11/2014, n. 25108; 14/12/2016, n. 25808; 16/05/2018, n. 12025; 24/08/2018, n. 21141; 24/01/2019, n. 1947);

nella fattispecie la CTR si è uniformata a questi principi di diritto, laddove ha evinto la distribuzione al contribuente – che, in sostanza, era il dominus della Justmetal Srl, della quale deteneva, tramite una società fiduciaria, il 99% del capitale sociale – degli utili extracontabili della società a ristretta base partecipativa, non avendo quest’ultimo dimostrato che i maggiori ricavi non dichiarati e i corrispondenti utili occulti, per una qualche ragione (per esempio perchè accantonati o reinvestiti), non gli erano stati distribuiti;

ne consegue il rigetto del ricorso;

le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente a pagare all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 18 settembre 2019.

Depositato in cancelleria il 5 novembre 2019

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