Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28375 del 05/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 05/11/2019, (ud. 18/09/2019, dep. 05/11/2019), n.28375

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18484/2014 R.G. proposto da:

M.M., rappresentato e difeso dall’avv. Luigi Ferrajoli

e dall’avv. Giuseppe Fischioni, elettivamente domiciliato presso lo

studio di quest’ultimo, in Roma, via della Giuliana n. 32.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, sezione staccata di Brescia, sezione n. 66, n. 893/14,

pronunciata il 20/01/2014, depositata il 17/02/2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 settembre

2019 dal Consigliere Dott. Guida Riccardo.

Fatto

RILEVATO

che:

M.M. impugnò, innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Bergamo, gli avvisi di accertamento che recuperavano a tassazione IRPEF, per le annualità 2006 e 2007, ai sensi della L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4, i versamenti compiuti dal contribuente sui propri conti correnti, perchè non giustificati o costituenti proventi illeciti (derivanti dall’acquisto illecito di materiale ferroso tramite società di capitali a tal fine costituite);

la CTP di Bergamo, con sentenza n. 2/2/2012, in parziale accoglimento della domanda, dichiarò legittimo l’avviso relativo al 2006 e annullò quello del 2007;

avverso tale decisione hanno interposto appello entrambi i contendenti, per la parte di rispettiva soccombenza, e la CTR della Lombardia, sezione staccata di Brescia, con la sentenza in epigrafe, ha respinto il gravame del contribuente e, per converso, ha accolto l’appello incidentale dell’Agenzia, dichiarando legittimi i due atti impositivi;

il giudice d’appello, innanzitutto, ha disatteso la censura del contribuente, per la quale la sua adesione al c.d. “scudo fiscale” avrebbe impedito l’attività accertatrice dell’erario, sul rilievo che, nel caso concreto non trovava applicazione la preclusione all’accertamento fiscale descritta dal D.L. 25 settembre 2001, n. 350, art. 14, comma 7, richiamato dal D.L. 1 luglio 2009, n. 78, art. 13-bis, perchè l’interessato aveva dato incarico all’intermediario di trasmettere la dichiarazione riservata delle attività emerse in data 30/04/2010, allorchè la verifica fiscale era già iniziata e al contribuente era stato notificato l’invito D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 32, ed era stato consegnato il processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza; in secondo luogo, non ha ritenuto persuasiva la giustificazione del contribuente, secondo cui il versamento, sul proprio conto corrente, della somma di Euro 326.362,25 (in data 21/04/2006) non era avvenuto in contanti, ma tramite assegno, a titolo di pagamento di un credito in contenzioso da parte di Aom Rottami Srl nei confronti di Adda Rottami Srl in liquidazione, non trovando tale versamento alcuna corrispondenza nella contabilità della società accipiens; infine, ha disatteso la doglianza dell’appellante (principale), in merito alla non assoggettabilità a tassazione dei proventi, derivanti da fatti illeciti, sottoposti a sequestro o a confisca penale, rilevando che, secondo l’indirizzo costante della giurisprudenza di legittimità, una simile preclusione è configurabile a condizione che il provvedimento ablatorio (rappresentato, nella specie, dalla confisca per equivalente), sia intervenuto nel medesimo periodo d’imposta nel quale è stato realizzato il provento illecito, quale circostanza in concreto non verificatasi, essendo intervenuta la confisca per equivalente nel 2010, in relazione ad avvisi relativi ai periodi d’imposta 2006 e 2007;

il contribuente ricorre per la cassazione, sulla base di tre motivi, illustrati con memoria ex 380-bis.1. c.p.c., cui l’Agenzia resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo del ricorso, denunciando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.L. n. 78 del 2009, art. 13-bis, si censura la sentenza impugnata per avere negato che l’adesione del ricorrente al c.d. “scudo fiscale” precludesse il potere impositivo dell’Amministrazione finanziaria, trascurando che l’inizio dell’attività di accertamento amministrativo (risalente al 24/03/2010) era successivo alla presentazione della dichiarazione riservata delle attività emerse, ai sensi del citato D.L. n. 78 del 2009, art. 13-bis, avvenuta il 19/03/2010, tramite il conferimento all’intermediario abilitato dell’incarico di ricevere in deposito o amministrazione le attività rimpatriate e di versare la relativa imposta straordinaria;

il motivo è infondato;

il D.L. n. 350 del 2001, art. 14, comma 7, richiamato dal D.L. n. 78 del 2009, art. 13-bis, così dispone: “7. Il rimpatrio delle attività non produce gli effetti di cui al presente articolo quando, alla data di presentazione della dichiarazione riservata, una delle violazioni delle norme indicate al comma 1 è stata già constatata o comunque sono già iniziati accessi, ispezioni e verifiche o altre attività di accertamento tributario e contributivo di cui gli interessati hanno avuto formale conoscenza. Il rimpatrio non produce gli effetti estintivi di cui al comma 1, lett. c), quando per gli illeciti penali ivi indicati è già stato avviato il procedimento penale, di cui gli interessati hanno avuto formale conoscenza.”;

in altre parole, l’effetto preclusivo dell’accertamento (amministrativo) fiscale conseguente al rimpatrio delle attività finanziarie è soggetto alla condizione che quando l’interessato aderisce al c.d. “scudo fiscale” non sia già in corso una verifica tributaria;

nel caso concreto, la CTR, con un apprezzamento di fatto – sindacabile, in sede di legittimità, entro gli stretti limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (che, nella specie, sarebbero resi ancor più angusti dalla presenza di una sentenza d’appello, in parte qua “doppia conforme” rispetto alla pronuncia di primo grado), quale motivo di ricorso per cassazione neppure dedotto dal contribuente – ha negato il detto effetto preclusivo dello “scudo fiscale” sull’accertamento tributario, per essere iniziato quest’ultimo in data 24/03/2010 (con la notifica all’interessato dell’invito del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32), prima che venisse presentata la dichiarazione riservata (ciò che avvenne solo il 30/04/2010);

con il secondo motivo, denunciando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 3, artt. 2697,2727,2729 c.c., il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere omesso di esaminare gli ulteriori elementi di fatto (diversi da quelli riportati nel PVC della Guardia di Finanza), quali la riferibilità delle movimentazioni finanziarie contestate a operazioni legittime e, in ogni caso, per non avere rilevato l’assenza di elementi di prova idonei a dimostrare la riconducibilità delle somme contestate all’attività asseritamente illecita del contribuente;

il motivo è inammissibile;

sotto l’egida della violazione di legge, infatti, in modo non consentito, questa Corte, alla quale è demandato il controllo di legittimità della decisione, è sollecitata a effettuare una ricostruzione dei fatti di causa diversa rispetto a quella compiuta dalla CTR che, come suaccennato, ha disatteso le giustificazioni addotte dal contribuente in merito alle movimentazioni dei suoi conti correnti personali;

con il terzo motivo, denunciando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4, dell’art. 23 Cost., e della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 1, comma 1, il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere disatteso il suo motivo d’appello concernente la non assoggettabilità a tassazione di proventi, derivanti da fatti illeciti, sottoposti a sequestro o a confisca penale;

il motivo è infondato;

si deve richiamare il condivisibile orientamento di legittimità, per il quale, in tema di imposte sui redditi, l’esclusione originaria dei proventi da attività illecite dalla base imponibile ai sensi della L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4, ove sottoposti a sequestro o confisca penale, opera a condizione che il provvedimento ablatorio sia intervenuto, al più, entro la fine del periodo di imposta cui il provento si riferisce, e non anche in. caso di eventi posteriori alla realizzazione del presupposto impositivo, con i conseguenti obblighi di dichiarazione e di versamento, per i quali si pone solo una questione di diritto al rimborso dell’imposta versata divenuta indebita (Cass. 20/12/2013, n. 28519);

nel caso concreto, la CTR, uniformandosi a questo principio di diritto, ha negato che il provvedimento ablatorio penale (confisca per equivalente), adottato nel 2010, potesse rilevare come causa d’esclusione dell’imponibilità in ragione della dirimente circostanza che gli accertamenti fiscali si riferiscono ad annualità pregresse (periodi d’imposta 2006 e 2007) rispetto a quella in cui è avvenuta la confisca (periodo d’imposta 2010);

ne consegue il rigetto del ricorso;

le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente a pagare all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.800,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 18 settembre 2019.

Depositato in cancelleria il 5 novembre 2019

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