Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28360 del 07/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 07/11/2018, (ud. 06/06/2018, dep. 07/11/2018), n.28360

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –

Dott. NONNO G. M. – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria G. – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26528/2011 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Manifattura Europa Ritorcitura Filati s.r.l., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via

M. Prestinari n. 13, presso lo studio dell’avv. Giuseppe Ramadori,

rappresenta e difesa dall’avv. Domenico D’Arrigo giusta procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia – Sezione staccata di Brescia n. 254/63/10, depositata il

14 settembre 2010;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 giugno 2018

dal Consigliere Giacomo Maria Nonno.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. con sentenza n. 254/63/10 del 14/09/2010 la CTR della Lombardia – Sezione staccata di Brescia rigettava l’appello principale e quello incidentale rispettivamente proposti dalla Agenzia delle entrate e dalla Manifattura Europa Ritorcitura Filati s.r.l. (d’ora in poi solo Manifattura) avverso la sentenza n. 103/05/08 della CTP di Brescia, che aveva accolto i ricorsi riuniti della società contribuente nei confronti di quattro avvisi di accertamento a fini IVA, IRPEG e IRAP relativi agli anni 1999-2002, con comminatoria di sanzioni;

1.1. come si evince dalla sentenza della CTR e per quanto ancora interessa in questa sede: a) con l’avviso di accertamento impugnato veniva recuperata la differenza IVA tra quella incassata ed effettivamente versata, nonchè venivano applicate le sanzioni in relazione alle omissioni contabili e dichiarative operate dalla società contribuente; b) la CTP, con riferimento alle predette questioni, accoglieva l’appello della società contribuente; c) la sentenza della CTP era impugnata, in via principale, dall’Agenzia delle entrate e, in via incidentale dalla Manifattura;

1.2. su queste premesse, la CTR rigettava entrambi gli appelli, evidenziando che: a) con riferimento alle sanzioni, “va rilevato che il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 3 dispone che il contribuente non è punibile quando dimostri “che il pagamento non è stato eseguito per fatto denunciato all’autorità giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi”. Tale dimostrazione è stata offerta dalla parte” attraverso la produzione della sentenza penale di condanna emessa nei confronti del proprio commercialista; b) con riferimento alla detraibilità dell’IVA, le fatture rinvenute dalla Guardia di finanza e non oggetto di contestazione erano sufficienti per sancire il diritto alla detrazione, anche in ragione del principio di neutralità dell’IVA;

2. l’Agenzia delle entrate impugnava la sentenza della CTR con tempestivo ricorso per cassazione, affidato a due motivi;

3. la Manifattura resisteva con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, art. 52, comma 5 e art. 55, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando che: a) l’IVA a credito riportata sulle fatture prodotte non è detraibile in quanto le fatture non sono registrate e l’imposta non risulta dalle liquidazioni periodiche; b) la produzione in giudizio dei registri contabili e delle dichiarazioni periodiche è avvenuta inammissibilmente in violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52;

2. il motivo è infondato;

2.1. secondo la giurisprudenza di questa Corte, “la neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, l’eccedenza d’imposta, che risulti da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e sia dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, va riconosciuta dal giudice tributario se il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione, sicchè, in tal caso, nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato non può essere negato il diritto alla detrazione se sia dimostrato in concreto, ovvero non sia controverso, che si tratti di acquisti compiuti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili” (Cass. S.U. n. 17757 del 08/09/2016);

2.2. diversamente da quanto sostenuto dall’Agenzia delle entrate, è, dunque, irrilevante la circostanza che la fattura sia o meno registrata da parte del contribuente e che l’imposta non risulti dalle dichiarazioni periodiche, ben potendo quest’ultimo limitarsi a documentare, anche in giudizio, la sussistenza dei requisiti sostanziali del diritto all’eccedenza detraibile di cui all’art. 17 della direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio del 17 maggio 1977 (cd. sesta direttiva), anche in assenza dei requisiti formali per il riconoscimento di tale diritto;

2.3. è vero che la detrazione deve essere esercitata entro il termine previsto dal D.P.R. n. 322 del 1998, art. 8, comma 3, vale a dire entro il secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto (viene, infatti, richiamato dalla sopra menzionata sentenza delle Sezioni Unite il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1, secondo periodo, applicabile ratione temporis), ma la relativa questione, che presuppone un accertamento di fatto, non è stata posta dalla ricorrente;

2.4. quanto poi alla dedotta violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52 va ricordato che: “in tema di accertamento tributario, il divieto di utilizzo in sede giudiziaria di documenti non esibiti in sede amministrativa, previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 5, presuppone che vi sia stata una specifica richiesta degli agenti accertatori (non potendo costituire rifiuto la mancata esibizione di qualcosa che non si è richiesto), ed opera non solo nell’ipotesi di rifiuto (per definizione “doloso”) dell’esibizione, ma anche nei casi in cui il contribuente dichiari, contrariamente al vero, di non possedere i documenti in suo possesso, o li sottragga all’ispezione, non allo scopo di impedire la verifica, ma per errore non scusabile, di diritto o di fatto (dovuto a dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative, ecc.)” (così Cass. n. 9487 del 12/04/2017; si vedano, altresì, Cass. n. 7011 del 21/03/2018; Cass. n. 5914 del 08/03/2017; Cass. n. 16960 del 11/08/2016; Cass. n. 8539 del 11/04/2014);

2.5. nel caso di specie, non v’è alcuna prova di un intento del contribuente di sottrarsi alla verifica omettendo il deposito della documentazione (intento, per il vero, escluso dalla stessa ricorrente) e, in ogni caso, l’Amministrazione finanziaria non ha provato la sussistenza di una puntuale richiesta dei registri contenenti le dichiarazioni periodiche, accompagnata dall’avvertimento circa le conseguenze della mancata ottemperanza (cfr. Cass. n. 7011 del 2018, cit.);

3. con il secondo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, comma 1 e art. 6, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè l’omessa o insufficiente motivazione su punti di fatto decisivi, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

4. il motivo è fondato;

4.1. come si evince dalla sentenza della CTR, le sanzioni sono state comminate alla società contribuente “per non avere presentato le dichiarazioni dei redditi per il periodo 1998-2002 e per non avere tenuto i prescritti registri contabili”;

4.2. il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 3, così recita: “Il contribuente, il sostituto e il responsabile d’imposta non sono punibili quando dimostrano che il pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto denunciato all’autorità giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi”;

4.3. la menzionata norma va coordinata con il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, comma 1, la cui prima parte (nella formulazione applicabile ratione temporis) così recita: “Nelle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa”;

4.4. il rapporto tra le due disposizioni va risolto nel modo che segue: l’art. 5, comma 1, riguarda, in generale, l’elemento soggettivo della condotta sanzionabile, la quale deve essere cosciente e volontaria, nonchè colpevole, cioè posta in essere con dolo o, quanto meno, con negligenza; l’esimente di cui all’art. 6, comma 3, presuppone l’elemento soggettivo così come individuato dall’art. 5, comma 1, e delimita la condotta sanzionabile in conseguenza della violazione di obblighi tributari non formali;

4.5. l’applicazione dell’esimente di cui alla disposizione richiamata implica pertanto: a) l’inadempimento degli obblighi riconnessi al mancato pagamento del tributo, esclusi pertanto gli obblighi solo formali; b) l’imputabilità di tale inadempimento ad un soggetto terzo (normalmente l’intermediario incaricato), estraneo alla compagine sociale del contribuente (Cass. n. 20113 del 16/11/2012); c) l’adempimento, da parte del contribuente, di un obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria nei confronti dell’intermediario, cui è stato attribuito l’incarico, oltre che della tenuta della contabilità e dell’effettuazione delle dichiarazioni fiscali, di effettuare i pagamenti; d) l’insussistenza del dolo o della negligenza del contribuente nell’inadempimento, nemmeno sotto il profilo della culpa in vigilando, dovendo l’inadempimento medesimo essere imputabile in via esclusiva all’intermediario;

4.6. va, pertanto, enunciato il seguente principio di diritto: “in tema di sanzioni tributarie, l’esimente prevista dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 3, si applica in caso di inadempimento al pagamento di un tributo – e, dunque, escluse le violazioni solo formali – imputabile unicamente alla condotta di un soggetto terzo (normalmente l’intermediario cui è stato attribuito l’incarico; oltre che della tenuta della contabilità e dell’effettuazione delle dichiarazioni fiscali, di provvedere ai pagamenti), purchè il contribuente abbia adempiuto all’obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria e non abbia tenuto una condotta colpevole ai sensi dell’art. 5, comma 1 citato D.Lgs., nemmeno sotto il profilo della semplice culpa in vigilando”;

4.7. nella specie, la CTR, ritenendo l’inapplicabilità delle sanzioni sul presupposto che la Manifattura avrebbe comprovato l’inadempimento dell’intermediario all’incarico affidatogli (come si evincerebbe dalla sentenza di condanna di quest’ultimo), ha fatto mal governo dell’enunciato principio di diritto;

4.8. invero, la menzionata esimente non può trovare applicazione, in quanto: a) le violazioni contestate non concernono il mancato pagamento dei tributi (del resto, l’Ufficio non ha comminato sanzioni per l’omesso versamento d’imposta), ma sono unicamente riconnesse a violazioni di natura formale (omesse dichiarazioni e omessa tenuta dei registri contabili); b) il comportamento incolpevole della società contribuente non può essere escluso dalla semplice condanna penale dell’intermediario, atteso che quest’ultima non elide di per sè ogni profilo di negligenza (anche con riferimento controllo dell’attività dell’intermediario), non avendo la Manifattura allegato di avere svolto atti concreti diretti a controllare l’esecuzione della prestazione del professionista (cfr. Cass. n. 12472 del 21/05/2010; Cass. n. 1198 del 23/01/2004);

4.9. non essendoci i presupposti per l’applicazione dell’esimente di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 3, la sentenza impugnata va cassata in parte qua;

5. in conclusione, il ricorso va accolto con riferimento al secondo motivo, rigettato il primo; ne consegue che la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e, non essendoci ulteriori questioni di fatto da esaminare, può essere decisa nel merito, rigettando l’originario ricorso della Manifattura nella parte in cui si ritengono non dovute le sanzioni riconnesse alle violazioni tributarie relative alla omesse dichiarazioni dei redditi e alla omessa tenuta dei registri contabili;

7.1. la controricorrente va, altresì, condannata al pagamento delle spese relative al presente giudizio di cassazione, che si liquidano come in dispositivo avuto conto di un valore della lite dichiarato di Euro 1.800.000,00;

7.2. sussistono, invece, giusti motivi, riconnessi al complessivo esito della lite, per dichiarare compensate tra le parti le spese relative ai gradi di merito.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso proposto dalla controricorrente nella parte in cui si ritengono non dovute le sanzioni; condanna la controricorrente al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese relative al presente grado di giudizio, che liquida in Euro 13.000,00, oltre alle spese prenotate a debito; dichiara compensate tra le parti le spese relative ai gradi di merito.

Così deciso in Roma, il 6 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018

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