Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28359 del 11/12/2020

Cassazione civile sez. I, 11/12/2020, (ud. 29/09/2020, dep. 11/12/2020), n.28359

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19678/2016 proposto da:

P.C., in proprio e nella qualità di erede di A.A.,

deceduta, elettivamente domiciliata in Roma, Via Tevere 44, presso

lo studio dell’avvocato Francesco Di Giovanni, che lo rappresenta e

difende, in forza di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Av.Ro., P.A. nella qualità di erede di

C.M. (deceduta), P.C. nella qualità di erede di

C.M. (deceduta), Pa.Ad. in proprio e nella qualità di erede

D.T.G. (deceduta), Serena s.p.a.;

– intimati –

nonchè da:

Serena s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Federico Cesi 72, presso lo

studio dell’avvocato Domenico Bonaccorsi di Patti che la rappresenta

e difende in forza di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Av.Ro., P.A. nella qualità di erede di

C.M. (deceduta), P.C. in proprio nella qualità di erede di

A.A. (deceduta), P.C. in proprio nella qualità di

erede di C.M. (deceduta), Pa.Ad. in proprio e nella

qualità di erede di D.T.G. (deceduta);

– intimati –

e contro

Av.Ro., Pa.Ad. in proprio e nella qualità di erede

d.T.G. (deceduta), elettivamente domiciliati in

Roma, Via Dei Tre Orologi 14-a, presso lo studio dell’avvocato

Agostino Gambino, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato Felice Centineo Cavarretta Mazzoleni, e Ranieri

Massimo, in forza di procura speciale in calce ai due controricorsi;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 986/2015 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 20/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/09/2020 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI;

udito gli Avvocati FRANCESCO DI GIOVANNI, DOMENICO BONACCORSI DI

PATTI, FELICE CENTINEO CAVARRETTA MAZZOLENI;

udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CARDINO ALBERTO, che ha concluso per l’accoglimento

del primo motivo di entrambi i ricorsi.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato l’8/8/2003 D.T.G. e F.G., in qualità di soci, convennero in giudizio dinanzi al Tribunale di Palermo la Serena s.p.a. (già s.r.l.) per ottenere la dichiarazione di inesistenza o di nullità ovvero l’annullamento della Delib. adottata in data 27/3/2003 dal consiglio di amministrazione della società relativamente alla nomina di P.C. (già amministratore delegato della società) alla carica di “direttore principale”.

Si costituì in giudizio Serena s.p.a., eccependo preliminarmente l’inammissibilità dell’impugnazione della Delib. del consiglio di amministrazione proposta da parte di meri soci, chiedendo nel merito il rigetto della domanda e proponendo a sua volta domanda riconvenzionale per ottenere il risarcimento dei danni causati dall’avversaria iniziativa giudiziale.

Intervennero in giudizio C.M., P.C. e A.A., deducendo anch’esse difetto di legittimazione attiva, eccependo la tardività dell’impugnazione e chiedendo il rigetto nel merito della domanda.

Il Tribunale di Palermo con sentenza del 13/2/2008 respinse le domande degli attori, con l’aggravio delle spese: pur ritenendo in linea generale ammissibile l’impugnativa dei soci, escluse che nella fattispecie fosse derivato un danno diretto ai loro diritti sociali.

2. Avverso la predetta sentenza di primo grado proposero appello D.T.G. e Pa.Ad. e Av.Ro., questi ultimi in qualità di co-amministratori del fondo patrimoniale nel quale era stata conferita la partecipazione della sig.ra D.T..

Al gravame resistettero la s.p.a. Serena, A.A. e P.C., reiterando anche le eccezioni preliminari, mentre C.M. restò contumace.

Nelle more del giudizio vennero a mancare A.A. e T.G..

Dopo la rituale riassunzione del giudizio, la Corte di appello, con sentenza del 20/6/2015, in riforma della sentenza di primo grado, annullò la Delib. 27 marzo 2003 del Consiglio di amministrazione condannando la Serena a rifondere a controparte le spese del primo grado e, in solido con P.C., anche nella qualità di erede di A.A., anche le spese del secondo grado.

3. Avverso la predetta sentenza, non notificata, con atto notificato il 19/7/2016 ha proposto ricorso P.C., anche quale erede di A.A., evocando in giudizio Pa.Ad., in proprio e quale erede di T.G., e Av.Ro., nonchè la Serena s.p.a., svolgendo quattro motivi.

3.1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, la ricorrente Carla P. denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 2388 c.c. e ss. e art. 2377 c.c. e ss., nullità della sentenza ai sensi degli artt. 81 e 100 c.p.c., nonchè per radicale assenza di motivazione, con riferimento alla ritenuta legittimazione dei soci ad impugnare le delibere del consiglio di amministrazione della società.

La diretta lesione dei diritti dei soci impugnanti da parte della Delib. introduttiva della figura del direttore principale, necessaria ex art. 2388 c.c. era stata argomentata dagli appellanti sulla base della compressione così attuata dei poteri del consiglio di amministrazione e del suo Presidente, espressione della minoranza, e sulla elusione della regola che assegna la nomina del direttore generale (a cui il direttore principale era equiparabile) al voto assembleare.

L’equiparazione fra le due figure del direttore generale e del direttore principale era del tutto fallace.

In ogni caso, posto che certamente era possibile nominare un direttore generale, la lesione dei diritti dovrebbe essere necessariamente ravvisata, come era avvenuto in sentenza, nella pretermissione dei soci impugnanti dal diritto di votare in assemblea.

Così argomentando, si era però dedotta una questione di riparto di competenze fra organi sociali, che non involgeva diritti individuali del socio, che non è titolare di un diritto di scelta del direttore generale, ma solo di partecipazione all’assemblea investita della questione; assemblea di cui ai sensi dell’art. 2367 c.c. ben potevano richiedere la convocazione per l’adozione di una Delib. sostitutiva.

3.2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 2388 e 2377 c.c. e impugna la decisione laddove ha ritenuto che il termine di tre mesi per l’impugnazione della Delib. consiliare decorresse solo dalla data in cui i soci ricorrenti avevano avuto dell’iscrizione nel registro delle imprese della procura rilasciata dal Presidente del consiglio di amministrazione alla signora P.C..

3.3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 5, 4 e 3, la ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, con riferimento al fatto che i poteri della sig.ra P. non derivavano dalla sua qualifica di direttore principale ma dalla procura, separata e successiva ad essa conferita, con la conseguente inidoneità della Delib. istitutiva del direttore principale a creare una figura nuova di direttore generale; denuncia altresì nullità della sentenza per radicale assenza di motivazione e violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 2396 c.c. e all’art. 1322 c.c.

3.4. Con il quarto, condizionato, motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 105 c.p.c., art. 11 Cost. e art. 6 CEDU.

La ricorrente sostiene di essere, in qualità di soggetto direttamente interessato dalla Delib. che le ha attribuito diritti e doveri, litisconsorte necessario rispetto all’azione proposta dagli attori, e comunque terzo interessato e litisconsorte facoltativo legittimato all’intervento e all’impugnazione; quand’anche ritenuta mero terzo intervenuto ad adiuvandum dovrebbe esserle riconosciuto il diritto di impugnare la sentenza, non foss’altro che per la condanna alle spese da essa subita; diversamente opinando ed escludendo il diritto di impugnazione all’interventore adesivo dipendente, dovrebbe essere riconosciuta quantomeno l’illegittimità della condanna alle spese emessa nei suoi confronti.

4. Avverso la stessa sentenza con atto notificato il 21/7/2016 ha proposto ricorso per cassazione anche la Serena s.p.a., evocando Pa.Ad., in proprio e quale erede di T.G., e Av.Ro., quali amministratori del fondo patrimoniale conferitario, nonchè P.C., anche quale erede di A.A. e di C.M. e P.A., quale erede di C.M., svolgendo tre motivi.

4.1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente s.p.a. Serena denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 2388 c.c., comma 4, in tema di legittimazione dei soci ad impugnare le delibere del consiglio di amministrazione della società.

La ricorrente osserva che ai sensi della norma citata i soci erano legittimati a impugnare solo le delibere del consiglio di amministrazione che fossero lesive dei loro diritti; tale requisito non ricorreva con riferimento alla violazione di norme statutarie che non integrava una lesione diretta di un diritto soggettivo.

Tale lesione non era ravvisabile neppure con riferimento ai diritti di rappresentanza riconosciuti dallo statuto ai soci di minoranza di Serena e in particolare alla previsione della possibilità di designare un consigliere di loro gradimento, a cui era attribuita la carica di Presidente, stante la mera facoltatività di tale meccanismo elettorale.

4.2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 2388 c.c., comma 4 e art. 2377 c.c., comma 5.

La ricorrente impugna la decisione laddove ha ritenuto che il termine di tre mesi per l’impugnazione della Delib. consiliare decorresse non già dalla sua data (27/3/2003), ma solo dalla data successiva in cui i soci ricorrenti ne avevano avuto conoscenza legale, individuata in quella dell’iscrizione nel registro delle imprese della procura rilasciata dal Presidente del consiglio di amministrazione alla signora P.C..

Secondo la ricorrente, poichè la Delib. istitutiva della funzione aziendale di “direttore principale” non era soggetta a pubblicità legale e non era mai stata pubblicata, mentre era stato iscritto al registro delle imprese ai sensi dell’art. 2209 c.c. un atto diverso e distinto dalla predetta Delib. 27 marzo 2003, ossia la procura commerciale conferita in sua esecuzione, l’azione di annullamento era stata esercitata tardivamente solo l’8/8/2003.

4.3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 2396 c.c. e all’errata equiparazione compiuta dalla sentenza impugnata della qualifica di direttore principale alla figura di direttore generale, la cui nomina è di competenza assembleare.

Il conferimento di mandati e procure a terzi, anche estranei al consiglio, da parte del consiglio di amministrazione è assolutamente legittimo, ove non comporti in uno svuotamento sostanziale dei poteri gestori e rappresentativi, pur se non previsto da statuto o delibere assembleari.

Inoltre anche per la nomina del direttore generale non era necessaria la previsione statutaria o la delibera assembleare, richieste invece al solo fine dell’estensione al direttore delle norme relative alla responsabilità civile degli amministratori; tantomeno era necessaria per la figura di minor rilevanza del direttore principale, cui erano state conferite facoltà ben circoscritte in tema di gestione dei rapporti con il personale, con la preclusione di mutare l’organico del personale, di licenziare dipendenti, di autorizzare acquisti sopra la soglia di Euro 25.000,00 e richiedere la concessione o l’ampliamento di linee di credito.

5. Ai due predetti ricorsi con distinti atti notificati il 28/9/2016 e il 1/10/2016 hanno proposto controricorso Pa.Ad. in proprio e quale erede di T.G. e Av.Ro., quali amministratori del fondo patrimoniale conferitario, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto delle avversarie impugnazioni.

Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Il Procuratore generale ha concluso per l’accoglimento del primo motivo di entrambi i ricorsi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso di Serena s.p.a. e il primo motivo del ricorso di P.C. trattano la stessa questione, ossia il tema della legittimazione attiva dei soci all’impugnazione delle delibere del consiglio di amministrazione della società, e possono quindi essere esaminati congiuntamente.

1.1. L’art. 2388 c.c., comma 4, (come sostituito dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, art. 1 e poi modificato e integrato dal D.Lgs. n. 6/2/2004, n. 37) prevede che le deliberazioni del consiglio di amministrazione della società non prese in conformità della legge o dello statuto possono essere impugnate solo dal collegio sindacale e dagli amministratori assenti o dissenzienti entro novanta giorni dalla data della deliberazione, con applicazione in quanto compatibile dell’art. 2378 c.c. nonchè dai soci allorchè le deliberazioni lesive sono lesive dei loro diritti, con applicazione in tal caso, in quanto compatibili, degli artt. 2377 e 2378 c.c.

In tal modo il legislatore ha inteso recepire l’orientamento giurisprudenziale che si era formato in precedenza nel silenzio normativo nel senso di ammettere l’impugnazione anche da parte dei soci delle delibere del consiglio d’amministrazione di una società per azioni, quando esse siano direttamente lesive dei loro diritti, in quanto i poteri degli amministratori sono circoscritti al campo della gestione e non possono estendersi al mutamento delle caratteristiche strutturali dell’impresa sociale, nè possono riguardare la modifica o la soppressione dei diritti attribuiti ai singoli soci dalla legge o dall’atto costitutivo, alterandosi altrimenti le basi su cui si è costituita la società (Sez. 1, n. 2850 del 28/03/1996, Rv. 496662 01).

1.2. La Corte di appello ha riformato la decisione di primo grado, che non aveva ravvisato una lesione diretta dei diritti del socio nella Delib. di nomina della sig.ra P.C. a “direttore principale”, accogliendo il gravame e recependo, per vero solo implicitamente, le censure svolte dagli appellanti che lamentavano la compressione dei poteri del consiglio di amministrazione e del Presidente (espressione della minoranza a cui essi appartenevano) e l’esautorazione dei poteri dell’assemblea a cui compete la nomina del direttore generale ex art. 2396 c.c.

1.3. Al proposito i ricorrenti escludono che potesse essere considerata direttamente lesiva di un diritto soggettivo dei soci la Delib. assunta in asserita violazione di norme statutarie che avrebbero attribuito all’assemblea e non già al consiglio di amministrazione la competenza a deliberare la nomina del “direttore principale” in quanto figura corrispondente al direttore generale.

In ogni caso, posto che certamente era possibile nominare un direttore generale, la lesione dei diritti dovrebbe essere necessariamente ravvisata, come era avvenuto in sentenza, nella pretermissione dei soci impugnanti dal diritto di votare in assemblea.

1.4. Secondo la giurisprudenza consolidata ed univoca di questa Corte la legitimatio ad causam, attiva e passiva, consiste nella titolarità del potere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto, secondo la prospettazione della parte, mentre l’effettiva titolarità del rapporto controverso, attenendo al merito, rientra nel potere dispositivo e nell’onere deduttivo e probatorio dei soggetti in lite; ne consegue che il difetto di legitimatio ad causam, riguardando la regolarità del contraddittorio, determina un error in procedendo ed è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo (Sez. 1, n. 7776 del 27/03/2017, Rv. 644832 – 01; Sez. L, n. 17092 del 12/08/2016, Rv. 640784 – 01; Sez. 3, n. 2091 del 14/02/2012, Rv. 621708 – 01; Sez. U, n. 1912 del 09/02/2012, Rv. 620484 – 01).

In particolare la sentenza delle Sezioni Unite, n. 2951 del 16/02/2016 ha affermato che la carenza di legittimazione ad agire può essere eccepita in ogni grado e stato del giudizio e può essere rilevata d’ufficio dal giudice, senza che si pongano problemi probatori, perchè si ragiona sulla base della domanda e della prospettazione in essa contenuta e perchè appare comprensibile che la questione non sia soggetta a preclusioni, in quanto una causa non può chiudersi con una pronuncia che riconosce un diritto a chi, alla stregua della sua stessa domanda, non aveva titolo per farlo valere in giudizio.

In ogni caso nel presente giudizio il difetto di legittimazione attiva era stato oggetto di specifica eccezione delle parti convenute e intervenute, disattesa in primo grado sol perchè il Tribunale, recependo invece nella sostanza le argomentazioni delle parti convenute e intervenute, aveva ritenuto di attribuire ai profili di merito della causa – piuttosto che alla preliminare sede di ammissibilità della domanda – la valutazione circa la configurabilità di una effettiva lesione diretta dei diritti soggettivi dei soci attori, ritenendola peraltro insussistente.

Le parti convenute e intervenute, appellate, avevano riproposto la loro eccezione in termini di difetto di legittimazione attiva, senza necessità di proposizione del gravame incidentale, visto che il Tribunale, sia pur riqualificandola giuridicamente, aveva accolto la loro eccezione difensiva.

1.5. Giova premettere che alla fattispecie, relativa a una controversia risalente che riguardava l’impugnazione di una Delib. consiliare adottata il 27/3/2003 proposta con atto notificato l’8/8/2003, non si applica ratione temporis il testo dell’art. 2388 c.c., comma 4, che è stato introdotto ad opera del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, ma con effetto dal 1/1/2004, a prescindere dalle correzioni apportate dal D.Lgs. 6 febbraio 2004, n. 37.

Tale precisazione è purtuttavia priva di conseguenze significative perchè l’intervento normativo si è limitato a riconoscere e recepire nel nuovo testo codicistico derivante dalla riforma societaria i risultati dell’elaborazione giurisprudenziale (Sez. 1, n. 2850 del 28/03/1996, Rv. 496662 – 01; Sez. 1, n. 3544 del 21/05/1988, Rv. 458865 – 01; Sez. 1, n. 420 del 24/01/1990, Rv. 464969 – 01; Sez. 1, n. 15786 del 14/12/2000, Rv. 542640 – 01; Sez. 1, n. 2773 del 26/02/2002, Rv. 552549 – 01; Sez. 1, n. 4749 del 03/04/2002, Rv. 553472 – 01).

1.6. Al proposito appare convincente il rilievo correttamente formulato, con diversi accenti ma sostanziale convergenza di censure, dalle parti ricorrenti secondo cui i soci deducevano una questione di riparto di competenze fra organi sociali, che non involgeva diritti individuali del socio.

Quand’anche – come sostenuto dai controricorrenti e dalla sentenza impugnata – la nomina del “direttore principale” equivalesse pienamente nei contenuti a quella del direttore generale, differenziandosi solo nell’etichetta terminologica, l’atto di nomina non arrecherebbe alcun pregiudizio sostanziale ai soci e non sarebbe di per sè illecito o illegittimo, potendosi in tal caso ravvisare solo la violazione di una regola di competenza interna.

Il socio infatti non è titolare di un diritto di scelta del direttore generale, ma solo semmai di un diritto di partecipazione all’assemblea investita della questione; assemblea di cui ai sensi dell’art. 2367 c.c. i soci di minoranza ben potevano richiedere la convocazione per l’adozione di una Delib. sostitutiva.

1.7. La necessaria lesione diretta e immediata dei diritti dei soci non sembra ravvisabile neppure con riferimento ai diritti di rappresentanza riconosciuti dallo statuto ai soci di minoranza di Serena e in particolare alla previsione della possibilità da parte loro della facoltà di designare un consigliere di loro gradimento, a cui era attribuita la carica di Presidente.

Ciò sia perchè, come osservano le ricorrenti, tale meccanismo elettorale è meramente facoltativo, sia e soprattutto perchè il diritto soggettivo dei soci di minoranza di esprimere un consigliere di amministrazione, investito automaticamente della carica di Presidente del consiglio di amministrazione, quale sorta di “figura di garanzia”, non è minimamente compromesso dalla nomina di un alto dirigente dell’impresa sociale.

1.8. La Corte palermitana ha quindi errato allorchè ha fatto discendere dalla competenza assembleare (e non consiliare) a deliberare la nomina del direttore generale e, per trasposizione, del “direttore principale” la conseguenza della lesione di un diritto soggettivo dei soci, per vero esprimendosi impropriamente in termini di sussistenza di “un interesse diretto” (sentenza impugnata, pag.6, 4 capoverso), e ha affermato che i soci di minoranza impugnanti erano stati “pretermessi nel loro diritto di scelta del direttore generale in sede assembleare”.

Come puntualmente osservato dal Procuratore generale la deliberazione consiliare del 27/3/2003 non escludeva affatto il potere dell’assemblea societaria di nominare il direttore generale o anche di intervenire sulla nomina del direttore principale e sulle sue conseguenze, se del caso reagendo nei confronti dell’organo gestorio.

Ed ancora il problema deliberato atteneva al corretto funzionamento della società e al rispetto delle competenze e delle regole organizzative ma non implicava alcuna compressione dei diritti dei soci a partecipare alla vita sociale e a ritrarne le utilità.

1.9. Le ricorrenti sostengono altresì che la ravvisata equiparazione fra le due figure del direttore generale e del direttore principale era del tutto fallace: la questione, oggetto di ulteriore motivo di ricorso, resta assorbita.

1.10. Deve quindi ritenersi che non sussistesse la lesione diretta di diritti soggettivi dei soci che pertanto non erano legittimati attivamente ad impugnare la Delib. consiliare.

2. Restano assorbiti gli ulteriori motivi.

2.1. Con il secondo motivo di ricorso di Serena s.p.a. e il secondo motivo del ricorso di P.C. viene trattata la stessa questione, ossia il tema della decadenza dalla facoltà di impugnazione della Delib. per decorso del termine.

Le ricorrenti censurano la decisione impugnata per aver ritenuto che il termine di tre mesi per l’impugnazione della Delib. consiliare decorresse non già dalla data appunto della Delib. stessa (27/3/2003) ma solo dalla data in cui i soci ricorrenti ne avevano avuto conoscenza legale, individuata in quella dell’iscrizione nel registro delle imprese della procura rilasciata dal Presidente del consiglio di amministrazione alla signora P.C..

La Delib. istitutiva della funzione aziendale di direttore principale non era soggetta a pubblicità legale e non era mai stata pubblicata, mentre era stata iscritta al registro delle imprese ai sensi dell’art. 2209 c.c. un atto diverso e successivo, e cioè la procura commerciale conferita in esecuzione della Delib. 27 marzo 2003, e l’azione di annullamento era stata esercitata tardivamente l’8/8/2003.

2.2. Il terzo motivo di ricorso di Serena s.p.a. e il terzo motivo del ricorso di P.C. che trattano la stessa questione, ossia il tema dell’equiparazione tra direttore principale e direttore generale, restano assorbiti, al pari del quarto motivo condizionato del ricorso P..

3. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti, con assorbimento degli altri motivi, senza rinvio ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 3, poichè l’azione esercitata non poteva essere proposta, a ciò ostando il difetto di legittimazione attiva degli attori.

Sussistono tuttavia giusti motivi per la compensazione fra le parti delle spese processuali dell’intero giudizio, tenuto conto della novità della questione giuridica trattata e dell’assenza di precedenti specifici.

P.Q.M.

LA CORTE

accoglie il primo motivo di ricorso di Serena s.p.a. e P.C., assorbiti gli altri, cassa senza rinvio la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti poichè l’azione esercitata non poteva essere proposta e compensa fra le parti le spese processuali dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 29 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2020

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