Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28358 del 11/12/2020

Cassazione civile sez. I, 11/12/2020, (ud. 24/09/2020, dep. 11/12/2020), n.28358

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14193/2018 proposto da:

Società Ittica Europa S.p.a. in Amministrazione Straordinaria, in

persona del commissario straordinario pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma, Via Tuscolana n. 16, presso lo studio

dell’avvocato Caravella Lorenzo, rappresentata e difesa

dall’avvocato Caravella Luca, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.P., elettivamente domiciliato in Roma, Via Gramsci n. 16,

presso lo Studio Pandolfo, rappresentato e difeso dall’avvocato

Pasanisi Marcello, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

V.P., elettivamente domiciliato in Roma, Lungotevere dei

Sangallo n. 1, presso lo studio dell’avvocato Viti Gianfranco, che

lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;

-controricorrente –

contro

F.L., elettivamente domiciliato in Roma, Via Eleonora Duse

n. 35, presso lo studio dell’avvocato Pappalardo Francesco,

rappresentato e difeso dall’avvocato Chianese Michele, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

T.M., elettivamente domiciliato in Roma, Largo Lucio Apuleio

n. 11, presso lo studio dell’avvocato Della Rocca Cesare, che lo

rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso e

ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

A.L., A.P., As.An., Av.Sa.,

B.R., C.F., P.C., R.A.,

S.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4573/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/09/2020 dal cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

RENZIS LUISA, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale,

inammissibilità per F., accoglimento per T., estinzione

per Av.;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato Ferruccio Auletta, con delega

scritta, che si riporta;

uditi, per i controricorrenti, gli Avvocati Pasanisi, con delega,

Viti, Della Rocca, e Pomilio, con delega, che si riportano.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza in data 10-7-2017 la corte d’appello di Roma, nel giudizio di responsabilità instaurato da Società Ittica Europea (SIE) s.p.a. in amministrazione straordinaria contro gli amministratori e i sindaci, per condotte di mala gestio determinative di danni alla società e ai creditori, respingeva sia le impugnazioni proposte dagli amministratori avverso i capi della decisione di primo grado che ne avevano pronunciato condanna, sia l’impugnazione incidentale proposta dalla SIE nei confronti dei sindaci.

La sentenza, corretta da omissioni con ordinanza in data 311-2017, è stata impugnata per cassazione dalla SIE, con due motivi.

Hanno resistito, con separati controricorsi, i sindaci T.M. (che ha proposto tre motivi di ricorso incidentale), M.P., V.P. e F.L., i quali hanno parimenti depositato memorie.

Gli altri intimati non hanno svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

I. – Deve premettersi che con atto del 23-5-2019 la ricorrente SIE ha rinunciato al ricorso nei confronti di Av.Sa.. La rinuncia determina l’estinzione del giudizio in parte qua.

II. – Col primo motivo del ricorso principale il commissario straordinario della SIE denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1176,2403,2407,2409 e 2697 c.c. e l’omesso esame di fatti decisivi in relazione al rigetto della domanda risarcitoria nei confronti dei sindaci. Assume che l’impugnata sentenza sarebbe censurabile per non aver ritenuto che la specificazione delle irregolarità addebitate agli amministratori fosse sufficiente anche ai fini dell’individuazione della causa petendi verso i sindaci. In tale prospettiva sostiene che l’incarico sindacale era stato espletato in un contesto societario caratterizzato da varie irregolarità degli amministratori, rispetto alla condotta dei quali i sindaci avevano omesso di esercitare la funzione di vigilanza, notoriamente estendibile al contenuto della gestione anche oltre i limiti di una verifica contabile e formale.

III. – Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

La ricorrente invoca il noto principio per cui, in tema di responsabilità degli organi sociali, “la configurabilità dell’inosservanza del dovere di vigilanza, imposto ai sindaci dall’art. 2407 c.c., comma 2, non richiede l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all’assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunziando i fatti al P.M. per consentirgli di provvedere ai sensi dell’art. 2409 c.c.” (così Cass. n. 13517-14, citata in ricorso, cui adde, più di recente, Cass. n. 16314-17, Cass. 20651-19, Cass. n. 32397-19).

Insistere su codesto principio, nel caso concreto, non serve tuttavia a granchè.

L’impugnata sentenza infatti non lo ha messo in discussione, neppure implicitamente. Essa semplicemente, esaminando uno a uno gli atti di mala gestio degli amministratori, in relazione ai quali era stata prospettata la responsabilità concorrente dei sindaci secondo il disposto ex art. 2407, ha confermato (pag. da 42 a 48) la valutazione del tribunale secondo la quale, in fatto, non potevasi considerare esistente il nesso di causalità tra l’omesso controllo addebitato ai sindaci e il danno individuato “in relazione alle singole operazioni per le quali gli amministratori (erano) stati ritenuti responsabili”.

In questo senso la sentenza si è mossa sul versante della valutazione in concreto della condotta palesata in correlazione con gli episodi di mala gestio produttivi di danno, e ha confermato la conclusione – di pieno merito – per cui le conseguenze dannose, tenuto conto dell’apparente regolarità delle operazioni di vendita sottostanti le fatturazioni, non erano suscettibili di esser evitate mediante un diverso contegno dei sindaci.

Ora la critica della ricorrente è incentrata sul presupposto dell’omesso esame di fatti controversi (art. 360 c.p.c., n. 5), quale base del denunziato errore di diritto.

Ma è da osservare che la sentenza è intervenuta a definizione di un appello proposto il 13-3-2013, in piena vigenza delle modificazioni introdotte col D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni in L. n. 134 del 2012.

Essa non è quindi suscettibile di impugnazione secondo il disposto dell’art. 360, n. 5, cit., poichè sui singoli fatti decisivi contiene una valutazione in tutto conforme a quella del giudice di primo grado. Si tratta cioè di un caso classico di doppia conforme in fatto che, ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., consente il ricorso per cassazione esclusivamente per i motivi di cui all’art. 360, nn. 1), 2), 3) e 4).

Resta allora intangibile, per le ragioni appena dette, l’accertamento dei fatti, ed è chiaro che, fermo tale accertamento, nessun errore mina la valutazione conseguente di insussistenza del nesso di causalità rilevante ai sensi dell’art. 2407 c.c.

IV. – Col secondo mezzo la procedura ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo in vigore pro tempore, poichè la corte territoriale avrebbe accolto l’avverso gravame sul capo della decisione di primo grado relativo alle spese facendo applicazione del nuovo testo della norma (conseguente alla L. n. 69 del 2009), anzichè, come doveva, del vecchio. Ci si duole, in definitiva, del fatto che la corte d’appello non abbia deciso la compensazione delle spese relative al giudizio di primo grado, e si invoca a tal riguardo l’esistenza della fattispecie di reciproca soccombenza ovvero, comunque, quella di giusti motivi secondo il disposto dell’art. 92, comma 2, nel testo che si sarebbe dovuto applicare.

V. – Il motivo è inammissibile sotto entrambi i profili.

La corte d’appello ha fatto applicazione del principio di soccombenza, poichè ha considerato che la domanda della amministrazione straordinaria SIE contro i sindaci T., S., V., M. e R. era stata respinta.

Tale considerazione non è inficiata dalla circostanza per prima sottolineata in ricorso, secondo cui erano state comunque disattese anche le eccezioni dei suddetti convenuti (di inammissibilità dell’azione, di avvenuto decorso del termine quinquennale dell’art. 2393 c.c. ovvero del termine decadenziale di cui alla medesima norma nel testo susseguente alla riforma di diritto societario). Difatti la soccombenza si determina su base di globalità in relazione all’esito del giudizio, donde non rileva – quanto a essa – la ragione per la quale la domanda sia stata respinta, ma solo il fatto oggettivo del suo rigetto.

Nè reca frutto la sottolineatura ulteriore della ricorrente, secondo cui in appello la procedura non aveva formulato domanda contro taluni dei sindaci ( T. e R.).

La statuizione impugnata riguarda, invero, in massima parte la sorte delle spese del primo giudizio. E d’altro canto, quanto alle spese del giudizio d’appello, la corte territoriale ha distinto la posizione dei sindaci in base al valore delle domande per ciascuno proposte, quale risultante dai decisa anche rispetto alla domanda sulle spese vanamente avversata.

VI. – L’errore di diritto che la ricorrente ulteriormente ascrive alla sentenza attiene al testo dell’art. 92 c.p.c., comma 2, che si sarebbe dovuto applicare onde valutare l’opportunità di compensare le spese per “altri giusti motivi”.

In proposito occorre chiarire che, diversamente da quanto obiettato dalla difesa del controricorrente T., è esatto che al giudizio in esame – di primo grado e d’appello – fosse da applicare la norma citata nella versione conseguente alla L. 28 dicembre 2005, n. 263, facente riferimento ad “altri giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione” come base per compensare le spese parzialmente o per intero.

La modificazione di cui alla legge detta è entrata in vigore il 1 gennaio 2006 e, in forza dell’art. 2, comma 4 stessa legge, è applicabile ai “procedimenti instaurati successivamente a tale data di entrata in vigore”; data poi differita al 1 marzo 2006 dal L. n. 273 del 2005 (art. 39-quater, comma 2), convertito con modificazioni in L. n. 51 del 2006.

Pertanto proprio quello indicato dalla ricorrente era il testo dell’art. 92 vigente in rapporto alla controversia in esame, essendo stato il giudizio introdotto con citazione notificata il 6-22007 ed essendo le successive modifiche della medesima norma a loro volta applicabili ai procedimenti promossi dal 4-7-2009 in poi (rispettivamente: dal 4-7-2009 all’11-12-2014, quella di cui alla L. n. 69 del 2009; e dal 12-12-2014 in avanti, quella di cui al D.L. n. 132 del 2014, conv. con modificazioni in L. n. 132 del 2014, interessata infine dalla declaratoria di cui alla sentenza n. 77 del 2018 della Corte costituzionale).

Per quanto esatta sul piano giuridico generale, la considerazione dell’amministrazione straordinaria non giova però sul piano delle conseguenze pratiche.

L’impugnata sentenza ha infatti comunque escluso l’esistenza di concrete ragioni idonee a giustificare la compensazione delle spese processuali, e non può trovare ingresso in questa sede la doglianza supponente l’opportunità (e finanche, secondo la ricorrente, la necessità) di compensarle.

Va ricordato che il sindacato della Corte di cassazione in tema di spese processuali, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa. Per cui esula dall’ambito del ricorso, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensare le spese, in tutto o in parte, nell’ipotesi di concorso di “altri giusti motivi” (v. tra le tante Cass. n. 24502-17, Cass. n. 8421-17).

L’intero profilo ricostruttivo sul quale la ricorrente si dilunga non ottiene, quindi, che possa poi concretamente sindacarsi, in cassazione, la decisione del giudice di merito di regolare la sorte delle spese processuale secondo il criterio di soccombenza.

VII. – Con i tre motivi del ricorso incidentale T.M. si duole, a sua volta, della liquidazione operata dalla corte d’appello in ordine alle spese sia del giudizio di primo grado, sia del giudizio d’appello.

Specificamente denunzia: (i) col primo mezzo, la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la corte d’appello mancato di esaminare i motivi sottesi all’impugnazione incidentale di esso T. in ordine alla quantificazione delle spese di primo grado; (ii) col secondo mezzo, la violazione del D.M. n. 127 del 2004 e della L. n. 794 del 1942, art. 24 avendo la corte d’appello liquidato le spese di primo grado in misura inferiore ai minimi tariffari pro tempore; (iii) col terzo mezzo, la violazione del D.M. n. 55 del 2004, avendo la medesima corte parametrato i compensi relativi alla fase di gravame al valore liquidato per il primo grado, anzichè alla somma che per esso si sarebbe dovuta rettamente liquidare.

VIII. – Il primo motivo è manifestamente infondato.

Dalla sentenza si evince che, allo stesso modo degli altri appellanti incidentali, T. aveva lamentato che il tribunale, pur avendo respinto le domande avanzate nei suoi confronti dalla SIE, non aveva liquidato le spese processuali.

La corte d’appello ha provveduto a liquidare le dette spese, in accoglimento del motivo di gravame.

Discende che sul motivo medesimo non può esser rinvenuta – per la contraddizione che non consente – una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

IX. – Il secondo motivo è inammissibile.

La corte territoriale ha liquidato le spese del primo grado ragguagliandole “all’entità del decisum”.

Per quanto da nessuna parte emerga quale sia stata, in concreto, la detta entità (rispetto alla domanda respinta), è risolutivo osservare che il ricorso, nel quale si denunzia la violazione dei minimi tariffari pro tempore vigenti, pecca di difetto di autosufficienza.

Come questa Corte ha più volte precisato, in tema di liquidazione delle spese processuali è inammissibile, per violazione del principio di autosufficienza, il ricorso per cassazione che, nel censurarne la complessiva quantificazione operata del giudice di merito, non indichi le singole voci della tariffa, per diritti ed onorari, risultanti nella nota spese, in ordine alle quali quel giudice sarebbe incorso in errore (Cass. n. 2080814, Cass. n. 21325-05 e molte altre).

X. – L’inammissibilità si estende anche al terzo mezzo, per identica ragione e anche per un secondo motivo.

Il ricorrente denunzia un’eguale mancanza della sentenza relativamente ai compensi liquidati per la fase di appello. Ma tali compensi egli assume parametrabili al valore delle spese che si sarebbero dovute riconoscere per il giudizio di primo grado. Pertanto la negativa sorte dell’impugnazione relativamente a quelle spese elide finanche il presupposto della terza censura.

XI. – L’esito del giudizio comporta la compensazione delle spese processuali nel rapporto tra l’amministrazione straordinaria e il controricorrente T..

Le spese relative ai restanti controricorrenti seguono la soccombenza della ricorrente principale.

P.Q.M.

La Corte dichiara estinto il giudizio quanto alla posizione di Av.Sa.; rigetta entrambi i ricorsi, principale e incidentale; compensa le spese processuali nel rapporto tra l’amministrazione straordinaria SIE e il ricorrente incidentale T.; condanna l’amministrazione straordinaria al pagamento delle spese processuali relative ai restanti controricorrenti, liquidandole, per ciascuno, in 5.200,00 EURO, di cui 200,00 EURO per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generale nella massima percentuale di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo ai ricorsi rispettivamente proposti, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 24 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2020

 

 

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