Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28358 del 05/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 05/11/2019, (ud. 15/05/2019, dep. 05/11/2019), n.28358

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. R.G. 24627/13, proposto da:

AUTOLINEE C.E. & I. s.n.c., in persona del

legale rapp.te p.t., rappresentata e difesa, in forza di procura in

calce al ricorso, dall’Avv.to Salvatore Menditto, con il quale è

elettivamente domiciliato in Roma, Via Conca D’Oro n. 285, presso lo

studio dell’Avv.to David Giuseppe Apolloni.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, Direzione Provinciale di Fermo, in persona del

Direttore p.t..

– intimata –

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro

p.t..

– intimato –

Avverso la decisione n. 383/2012 della Commissione Tributaria

Centrale, sezione di Ancona, emessa 21/06/2012, non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 maggio

2019 dal Consigliere Rosita D’Angiolella.

Fatto

RITENUTO

CHE:

La vicenda trae origine da tre avvisi di accertamento elevati dall’amministrazione finanziaria nei confronti della società Fratelli C., esercente attività di autolinee, per gli anni d’imposta 1976, 1977 e 1978 con i quali veniva ripreso a tassazione, a titolo di Irpef ed Ilor, quanto erogato dalla Regione a titolo di contributo in conto esercizio.

La società impugnava gli avvisi innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Fermo (di seguito, per brevità, CTP), che, tuttavia, respingeva i ricorsi. Anche la CTP di secondo grado di Ascoli Piceno, adita sul ricorso della contribuente, dichiarava l’infondatezza alla Commissione Tributaria Centrale (di seguito, per brevità, CTC), sezione di Ancona, che, con la sentenza in epigrafe, sul rilievo che “i contributi regionali dati alle aziende di trasporto in conto esercizio non sono sopravvenienza attive ma normali ricavi da contabilizzare secondo le norme dettate dal D.P.R. n. 597 del 1973, art. 53”, rigettava il ricorso.

Avverso tale sentenza ricorre in Cassazione la società, affidandosi a quattro motivi.

L’Agenzia delle Entrate, rimane intimata, depositando atto al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Il Ministero delle Finanze rimane intimato.

Il ricorso è stato fissato all’odierna udienza camerale a seguito di avviso notificato a mezzo PEC con invio telematico perfezionatosi in data 20/03/2019.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Preliminarmente va dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto dalla ricorrente contro il Ministero dell’Economia e delle Finanze in quanto soggetto carente di legittimazione sostanziale e processuale.

A seguito dell’istituzione dell’Agenzia delle Entrate, divenuta operativa dal 1 gennaio 2001, si è verificata una successione a titolo particolare della stessa nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazione tributaria, cui spetta in via esclusiva la legittimazione “ad causam” e “ad processum” nei procedimenti introdotti successivamente alla predetta data (cfr. Cass. Sez. U. n. 3116 e n. 3118 del 2006). Ne deriva che il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze – soggetto ormai privo di legittimazione passiva e processuale, nè avente la veste di contraddittore necessario nel giudizio di merito – è inammissibile.

2. Quanto al ricorso proposto nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, Ufficio di (OMISSIS), esso è ammissibile: poichè l’Agenzia delle Entrate è unica parte processuale, essendo le sedi locali assimilabili alla preposizione institoria, il ricorso può essere proposto sia nei confronti della sede centrale dell’Agenzia delle Entrate sia presso la sede del suo ufficio periferico, che va considerato come organo del primo, con pari capacità di stare in giudizio ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 10 e 11, (cfr. Cass. 14/01/2015 n. 441, Rv. 634432-01). A conferma di tanto, L’Agenzia delle Entrate ha depositato atto (al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione), che pur non essendo una costituzione in senso tecnico, vale a confermare la legittimazione passiva al giudizio de quo.

3. Passando al merito ricorso, con il primo motivo la ricorrente censura la sentenza della CTC per insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, nella parte in cui ha escluso la natura di sopravvenienza dei contributi regionali, riconducendoli ai ricavi da contabilizzare secondo le norme dettate dal D.P.R. n. 597 del 1973. Con gli ulteriori tre motivi, deduce la nullità della sentenza e del procedimento, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per mancata considerazione degli elementi di difesa, in fatto ed in diritto, addotti dalla contribuente (secondo motivo), per carenza di motivazione mancante degli elementi minimi per determinare una valida decisione (terzo motivo), per violazione del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 53, nella parte in cui ha considerato i contributi come ricavi (quarto motivo).

4. Il primo motivo è infondato.

La CTC ha rigettato il ricorso così motivando: “Il contribuente eccepisce la decisione insistendo sulla circostanza che il D.P.R. n. 597 del 1973, art. 55, prevede l’intassabilità dei proventi derivanti da leggi speciali quali quella della Regione Marche del 26 maggio 1976, n. 15. La Commissione, letti gli atti, rileva che i contributi regionali dati alle aziende di trasporto in conto esercizio non sono sopravvenienze ma normali ricavi da contabilizzare secondo le norme dettate dal citato D.P.R., art. 53, pertanto rigetta ricorso.”. I giudici della CTC, dunque, in base alle Disp. Del D.P.R. n. 597 del 1973, applicabili ratione temporis (e differentemente da quanto, poi, disposto dal testo unico di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, che, in forza della previsione del corrispondente art. 53, ha inequivocabilmente annoverato tra i ricavi, al comma 1, lett. f), tutti i contributi in conto esercizio dello Stato e degli altri enti pubblici) – hanno ritenuto che i contributi in oggetto dovevano ritenersi estranei alle componenti positive del reddito, in quanto esplicitamente esclusi dal novero delle sopravvenienze attive in forza della previsione del successivo art. 55, comma 2, lett. a) e, quindi, soggette alla disciplina di cui al cit. decreto, art. 53.

5. Orbene, nonostante la sintesi delle argomentazioni logiche e giuridiche, non è ravvisabile il denunciato vizio motivazionale, posto che la motivazione, oltre a non essere contraddittoria, è sufficientemente argomentata essendo adeguatamente espresso sia il giudizio nel quale consiste la sua valutazione (cd. contenuto “statico”), sia la descrizione del processo cognitivo attraverso il quale, dalla situazione iniziale di ignoranza dei fatti, si è giunti alla situazione finale costituita dal giudizio, che rappresenta necessario contenuto “dinamico” della dichiarazione stessa (cfr. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1236 del 23/01/2006, Rv. 590221-01; Sez. 65, Ordinanza n. 15964 del 29/07/2016, Rv. 640645-01, entrambe richiamate da Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 32980 del 20/12/2018, Rv. 652058- 01); vieppiù, nella specie, la descrizione del momento cognitivo è chiaramente riferibile alla valutazione degli elementi individuati dalla ricorrente in seno al giudizio di impugnazione.

6. Egualmente infondato è il secondo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente denuncia la nullità della sentenza, in relazione alla violazione dell’art. 112 c.p.c., e, quindi, all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. La nullità della sentenza, per carenza di motivazione, è oggetto anche della terza doglianza con la quale la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 132 c.p.c., e art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

7. Tali due motivi, in quanto strettamente connessi, si esaminano congiuntamente.

8. La CTC, come già sopra evidenziato, seppur sinteticamente, ha accentrato il fulcro della sua motivazione proprio sulle difese della ricorrente riguardanti, essenzialmente, la qualificazione giuridica dei contributi regionali in conto di esercizio, sicchè non ha mancato affatto di considerare l’oggetto centrale dell’appello del ricorrente, focalizzando la decisione, contrariamente a quanto assume la ricorrente, proprio sull’esclusione dalle sopravvenienze attive dei contributi di cui trattasi. Giovano, all’uopo, i principi affermati da questa Corte, secondo cui, il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato nel giudizio di appello, come il principio del “tantum devolutum quantum appellatum”, non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, ovvero in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi ed all’applicazione di una norma giuridica diverse da quelle invocate dall’istante (cfr. Cass. Sez. 6, Ordinanza n. 513 del 11/01/2019, Rv. 652131-01). In altri termini, la CTR non ha travalicato affatto i limiti della domanda dandovi, invece, adeguata corrispondenza ed ha, per questa via, reso una decisione senz’altro corrispondente ai canoni essenziali della struttura logica della sentenza.

9. Egualmente, la lettura della motivazione esclude la violazione dell’obbligo di motivazione e del suo contenuto minimo, di cui all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e art. 118 disp. att. cod. cit., in quanto la motivazione in diritto data dai giudici marchigiani consente senz’altro l’individuazione degli elementi essenziali e, cioè, del “thema decidendum” e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo.

10. Con il quarto motivo, lamenta la violazione del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 53, nella parte in cui la CTC ha considerato i contributi “normali ricavi da contabilizzare secondo le norme dettate dal citato D.P.R., art. 53”. A detta del ricorrente, la decisione è erronea perchè il contributo non piò essere ricondotto al concetto di ricavo, basandosi quest’ultimo su un rapporto sinallagmatico – che ne spiega la tassabilità – del tutto estraneo, invece, al contributo; deduce, altresì, che la legge prevede espressamente l’eccezione a tale ratio (come per l’assegnazione ai soci e l’autoconsumo) non prevista, invece, per i contributi.

11. Il motivo è fondato nei limiti qui appresso precisati.

Questa Corte, con precedente risalente

(Sez. 1, Sentenza n. 4264 del 1992), ma mai contraddetto in sede di legittimità ed, anzi, seguito da Cass. n. 9337 del 08/05/2015, Rv. 635489-01, ha affermato che, in base al tenore delle disposizioni di cui al D.P.R. n. 597 del 1973, applicabile ratione temporum alla fattispecie in esame – che riguarda avvisi di accertamento per Irpef ed Ilor per gli anni 1976, 1977 e 1978 tutti i contributi in conto esercizio dello Stato e degli altri enti pubblici, non concorrono alla formazione del reddito d’impresa assoggettabile a imposizione Irpef e Ilor e, ciò, differentemente da quanto, successivamente, disposto dal t.u. approvato con D.P.R. n. 917 del 1986, che, in forza della previsione del proprio art. 53 li ha, al comma 1, lett. f), esplicitamente annoverati fra i ricavi.

Tali precedenti hanno chiarito, dunque, che, in base alla normativa applicabile ratione temporis, i contributi in oggetto certamente non possono ritenersi tassabili quali “sopravvenienze attive”, posto che il D.P.R. n. 597 del 1973, art. 55, espressamente li esclude dal novero di tali proventi, ma che non sono nemmeno inquadrabili fra i “ricavi”, non essendo riconducibili ad alcuna delle relative categorie, quali indicate dal precedente art. 53, comma 1. Si è ritenuto, quindi, che la circostanza che i contributi statali in conto di esercizio, esclusi dalle sopravvenienze attive, non risultino compresi tra i ricavi, deve ritenersi conseguenza di una precisa scelta legislativa, seppur successivamente mutata a favore della opzione opposta, come chiaramente emerge dal confronto fra il testo del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 53, e quello del T.U., art. 53, approvato con D.P.R. n. 917 del 1986, in vigore dal 1 gennaio 1988.

12. In considerazione di tale giurisprudenza, che qui si condivide e si fa propria, è evidente che la sentenza impugnata ha, sì, rettamente escluso l’applicabilità alla fattispecie del regime normativo all’epoca vigente ed inerente alla sopravvenienze attive, ma ha errato nella parte in cui ha omnicomprensivamente incluso i contributi di cui trattasi tra i ricavi di cui al precedente D.P.R. cit., art. 53. Peraltro, non ha considerato che, trattandosi di contributi concernenti attività di autolinee di trasporto pubblico locale, essi sono erogati a ripiano dei disavanzi di esercizio e che, quindi, non possono costituire componenti positivi di reddito.

13. Ed invero è, altresì, principio affermato da tempo da questa Corte, che tali contributi, distribuiti dalle Regioni tramite il Fondo nazionale ripartito tra le stesse sulla base di parametri prefissati, di cui alla L. n. 151 del 1981, artt. 6 e 9, non costituiscono componenti positivi del reddito e che, quindi, sono sottratti ad imposizione diretta, a norma del D.L. n. 833 del 1986, art. 3, comma 1, n. 3, conv. in L. n. 18 del 1987, (tuttora in vigore come si evince dalla norma interpretativa di cui alla L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 310, che ad esso fa riferimento), anche dopo la soppressione del predetto Fondo ad opera della L. n. 549 del 1995, e l’assunzione dei contributi a carico delle regioni tramite un apposito Fondo destinato ai trasporti, costituito con D.Lgs. n. 422 del 1997, (cfr. Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 20111 del 30/07/2018, Rv. 649860-01; n. 25624 del 2010, Rv. 615846-01).

14. Non residuando ulteriori accertamenti di fatto da compiere, la causa va decisa nel merito, con accoglimento degli originari ricorsi della contribuente.

15. Concorrono giusti motivi, anche in considerazione dell’esito complessivo del giudizio, per compensare interamente le spese dell’intero giudizio nel rapporto processuale tra le parti costituite. Nulla va statuito riguardo alle spese nel rapporto processuale tra ricorrente e Ministero dell’Economia e delle Finanze.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Accoglie il ricorso, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie i ricorsi originari del contribuente. Compensa le spese dell’intero giudizio. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2019

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