Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28357 del 05/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 05/11/2019, (ud. 15/05/2019, dep. 05/11/2019), n.28357

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 14047/2013 R.G. proposto da:

Autotrasporti R.V. e D. s.n.c. (già Autotrasporti

F.lli R. s.r.l.), rappresentata e difesa dall’Avv. Stefano

Nicola Dardes, presso cui elettivamente domicilia in Roma alla

piazza della libertà n. 10/C, studio avv. Gemma Paternostro;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 46/9/12 della Commissione Tributaria Regionale

della Puglia, emessa in data 8/3/2012, depositata in data 12/4/2012

e non notificata;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 maggio

2019 dal Consigliere Andreina Giudicepietro.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la Autotrasporti R.V. e D. s.n.c. (già Autotrasporti F.lli R. s.r.l.) ricorre con quattro motivi contro l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n. 46/9/12 della Commissione Tributaria Regionale della Puglia (di seguito C.T.R.), emessa in data 8/3/2012, depositata in data 12/4/2012 e non notificata, che ha rigettato l’appello della contribuente, in controversia concernente l’impugnazione degli avvisi di accertamento relativi all’Ires, Irap ed Iva per l’anno di imposta 2005;

2. con la sentenza impugnata, la C.T.R. riteneva legittimi gli atti di accertamento dell’Amministrazione, richiamando l’orientamento della Corte di Cassazione (ex plurimis Cass. n. 2891/2002), secondo cui il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), consente, sulle base della disamina della contabilità operata dall’Ufficio, di ricostruire l’esistenza di attività non dichiarate, attraverso presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti;

secondo i giudici di appello, quando non sia credibile il risultato della dichiarazione, le difformità delle percentuali applicate in concreto e quelle mediamente riscontrate nel settore di appartenenza, emergenti dagli studi di settore, possono assumere valore di presunzioni semplici, se confortate da altri indizi;

inoltre, la C.T.R. richiamava la sentenza n. 287 del 6 febbraio 2009, con cui la Corte di Cassazione è intervenuta in tema di accertamento analitico induttivo e di presunzioni, stabilendo che, per rettificare il reddito dichiarato dal contribuente, l’Amministrazione Finanziaria non deve ravvisare la precisione e concordanza degli elementi indiziari, essendo sufficiente la gravità;

3. a seguito del ricorso, l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso;

4. il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 15 maggio 2019, ai sensi dell’art. 375, u.c., e art. 380 bis 1, c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197;

5. l’avviso dell’adunanza in camera di consiglio è stato notificato a mezzo PEC con invio telematico perfezionato in data 20/3/2019.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. con il primo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione della L. n. 146 del 1998, art. 1 comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per l’omessa pronuncia su di un punto decisivo della controversia, concernente la verifica della sussistenza dei presupposti per l’applicazione degli studi di settore alla società ricorrente, soggetta al regime di contabilità ordinaria (in particolare, secondo la ricorrente, nel caso in esame gli studi di settore trovano applicazione solo quando in due periodi di imposta, su tre consecutivi, compreso quello da accertare, l’ammontare dei ricavi determinabili sulla base degli studi di settore sia superiore a quello dichiarato – disposizione valida per l’anno di imposta 2005, successivamente abrogata dal D.L. n. 223 del 2006, art. 37);

con il secondo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione della L. n. 146 del 1998, art. 1, comma 3 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

secondo la ricorrente, trattandosi di avviso di accertamento basato sugli studi di settore, sarebbe stato necessario attivare il contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente;

con il terzo motivo, la ricorrente denunzia l’illegittimità della sentenza impugnata per la contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

in particolare, la ricorrente deduce che la decisione impugnata asserisce l’irrilevanza degli studi di settore, ma ritiene valido l’accertamento fondato su di essi, rilevando che il contribuente non ha fornito prova contraria, idonea a contrastare le risultanze degli studi stessi;

con il quarto motivo, la ricorrente denunzia l’illegittimità della sentenza impugnata per l’omessa ed insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, relativo all’effettivo consumo di carburante da parte della società contribuente;

1.2. i motivi vanno rigettati, in quanto i primi tre sono infondati ed il quarto è inammissibile;

1.3. in via di principio, gli accertamenti analitico – induttivi (cioè gli accertamenti di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54), “possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore… ” (D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3);

le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 26335/2009, hanno chiarito che “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema unitario che non si colloca all’interno della procedura di accertamento di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, ma la affianca, essendo indipendente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili, la cui regolarità, per i contribuenti in contabilità semplificata, non impedisce l’applicabilità dello standard nè costituisce una valida prova contraria, laddove, per i contribuenti in contabilità ordinaria, l’irregolarità della stessa costituisce esclusivamente condizione per la legittima attivazione della procedura standardizzata”;

nel caso di specie, la C.T.R. ha espressamente qualificato l’accertamento come analitico – induttivo ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), in relazione al disposto della succitata norma e, dunque, ha implicitamente rigettato, donde non ricorre il vizio di omessa pronuncia, il motivo d’appello secondo cui si trattava di accertamento basato unicamente sugli studi di settore;

ciò anche in ragione delle irregolarità contabili rilevate, che l’Amministrazione avrebbe specificamente contestato nella motivazione dell’accertamento, con particolare riferimento ai minori costi per carburante, indicati dalla contribuente nella dichiarazione rispetto a quelli risultanti dalla contabilità della società;

in particolare, secondo la ricostruzione dei giudici di appello, non contestata dalle parti, l’Amministrazione, rilevate numerose irregolarità contabili ed una notevole discordanza tra i costi per l’acquisto di carburante, indicati nella dichiarazione ai fini dell’applicazione dello studio di settore, ed i maggiori costi, indicati nel libro Giornale e nel libro degli Inventari, e, tenuto conto dell’attività svolta dalla società oggetto di accertamento (impresa di trasporti), aveva rettificato i ricavi dichiarati, mediante la sostituzione, nella dichiarazione dei dati relativi allo studio di settore, dei minori costi di carburante indicati dalla contribuente con quelli risultanti dalla contabilità della società;

la C.T.R., dunque, ha ritenuto la legittimità dell’accertamento analitco induttivo dell’amministrazione, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), che ammette l’uso di presunzioni non qualificate, e, pertanto, consente, in caso di contabilità inattendibile, di utilizzare legittimamente nell’ambito di esso i dati tratti dagli studi di settore, senza che sia necessario lo svolgimento del contraddittorio preventivo con il contribuente;

vero è che la violazione del contraddittorio potrebbe assumere rilievo limitatamente all’accertamento riguardante l’IVA (secondo Cass. SU n. 24823/15 e successiva giurisprudenza conforme), ma tale profilo non è stato oggetto di censura, nè risulterebbe allegata la c.d. prova di resistenza, ai fini di consentire al giudice la valutazione delle ragioni non pretestuose dell’impugnazione;

in conclusione, non ravvisandosi, alla luce delle considerazioni fin qui svolte, alcuna contraddittorietà nella motivazione della C.T.R. (terzo motivo di ricorso), che ha qualificato l’accertamento come analitico – induttivo, risultano infondati anche il primo ed il secondo motivo di ricorso, che presuppongono che l’accertamento fosse fondato unicamente su studi di settore;

1.4. le censure motivazionali del quarto motivo di ricorso finiscono col sollecitare diverse valutazioni di merito rispetto a quelle espresse dalla C.T.R. così da risultare inammissibili;

la C.T.R., infatti, risulta aver motivato sul mancato adempimento della contribuente all’onere della prova, su di lei incombente, relativo alla dimostrazione degli effettivi costi per carburanti destinati all’attività di autotrasporto;

il giudice di appello ha ritenuto, con una motivazione sufficiente a palesare l’iter logico seguito, che la contribuente non avesse dimostrato che i costi indicati in contabilità si riferissero all’attivazione delle celle frigorifere, attesa l’entità ingente degli stessi;

per quanto fin qui detto, il ricorso va complessivamente rigettato;

le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate e debito;

sussistono i requisiti per porre a carico del ricorrente il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2019

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