Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28356 del 05/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 05/11/2019, (ud. 19/09/2019, dep. 05/11/2019), n.28356

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 17457/2018 R.G. proposto da:

Nuova SOFIA s.r.l., a socio unico in amministrazione straordinaria,

in persona del Commissario Straordinario pro tempore, rappresentata

e difesa dall’Avv. Riccardo Vianello e dall’Avv. Giuseppe Marini,

elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma,

Via di Villa Sacchetti n. 9, giusta delega in calve al ricorso.

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro-tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12 è domiciliata.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania, n. 5462/13/2017 depositata il 15 giugno 2017.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 19 settembre

2019 dal Consigliere Luigi D’Orazio;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. Umberto De Augustinis, che ha concluso chiedendo il

rigetto del ricorso;

udito l’Avv. Nicolle Purificati, su delega dell’Avv. Giuseppe Marini,

per la società ricorrente, e l’Avv. Carlo Maria Pisana per

l’Avvocatura Generale dello Stato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle entrate emetteva avviso di accertamento, intestato alla Nuova Distribuzione s.r.l., nei confronti della Nuova SOFIA (poi ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria), con socio unico, per l’anno 2006, per Euro 1.566.309,00, oltre interessi e sanzioni, quale società consolidante, quindi obbligata in solido, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 127, per il disconoscimento di costi relativi a fatture emesse per operazioni inesistenti dalla consolidata Nuova Distribuzione, incorporata dalla Life Collection, ma cancellata il (OMISSIS).

2. La contribuente deduceva l’inesistenza della notifica dell’avviso di accertamento nei confronti della Nuova Distribuzione, in quanto avvenuta nei confronti di società già estinta, per intervenuta cancellazione, l’invalidità della notifica alla Nuova Distribuzione presso il presunto domicilio eletto presso la società consolidante, la violazione del termine di decadenza di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, in quanto il “raddoppio del termine” poteva concernere solo l’eventuale attività illecita della consolidata, ma non la condotta della consolidante, l’assenza della menzione della responsabilità solidale nell’avviso di accertamento, oltre alla violazione del principio del contraddittorio.

3. La Commissione tributaria regionale della Campania rigettava l’appello proposto dalla contribuente avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli, che aveva respinto il ricorso introduttivo del giudizio, rilevando che la dedotta inesistenza della notifica alla consolidata non aveva alcun rilievo in ragione della responsabilità solidale della consolidante, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 127, che non era rilevante la circostanza che la denuncia penale fosse stata presentata solo il 14-2-2013, quando erano decorsi i termini per compiere l’accertamento, che non si trattava di “raddoppio” del termine, ma di un nuovo termine di decadenza, che vi erano seri indizi di reato, che l’evasione era di Euro 1.566.309,00, che non vi era obbligo di contraddittorio preventivo.

4. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la contribuente.

5. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di impugnazione la contribuente deduce “art. 360 c.p.c., n. 4: nullità della sentenza per omessa pronuncia. Violazione dell’art. 112 c.p.c.”, in quanto il giudice di appello non ha pronunciato sui diversi motivi di gravame.

1.1. Tale motivo è infondato.

Invero, il giudice di appello ha fornito risposta, seppure sintetica, a tutte le doglianze della contribuente, come enucleate nell’atto di appello. Infatti, la Commissione regionale ha chiarito che l’inesistenza della notificazione alla Nuova Distribuzione era irrilevante, stante l’avvenuta regolare notifica alla Nuova SOFIA, quale condebitore solidale perchè società consolidante D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 127. Il giudice del gravame ha anche chiarito che, ai fini del raddoppio del termine, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 43, non rilevava la avvenuta presentazione della denuncia penale nel termine per compiere l’accertamento, come del resto statuito dalla Corte Cost. n. 247 del 2011. E’ stata fatta menzione nella motivazione della sentenza della esistenza del consolidato nazionale tra la Nuova SOFIA (consolidante) e la Nuova distribuzione s.r.l. (consolidata) e della responsabilità solidale tra le due società.

Al più, in caso di assenza di risposta, può ritenersi che la Commissione regionale abbia respinto le doglianze fatte proprie dalla contribuente con l’atto di appello, essendo stato rigettato integralmente il gravame.

Per questa Corte, infatti, non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione formulata dalla parte (Cass., 13 agosto 2018, n. 20718).

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “art. 360 c.p.c., n. 3: violazione e falsa applicazione art. 2495 c.c., e D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36, per aver l’ufficio intestato e indirizzato un avviso di accertamento a società cancellata”, in quanto nel ricorso introduttivo e poi in appello la società ha eccepito la nullità dell’accertamento perchè intestato e indirizzato a società cancellata (Nuova Distribuzione s.r.l.). Il giudice di appello si è limitato ad affermare, sul punto, che sussisteva una responsabilità solidale tra consolidante e consolidata. Tuttavia, costituisce dato pacifico che l’intestazione dell’avviso di accertamento era riferita alla Nuova Distribuzione e l’addebito della contestazione di frode riguardava in via esclusiva la consolidata Nuova Distribuzione s.r.l.. Era, del pari, pacifico che la Nuova Distribuzione era stata cancellata il (OMISSIS), quindi prima della notificazione dell’avviso di accertamento. La solidarietà, peraltro, è del tutto irrilevante, in quanto l’art. 2495 c.c., prevede che la cancellazione della società dal registro delle imprese comporta l’estinzione della società, sicchè l’Ufficio avrebbe dovuto intestare e notificare un nuovo ed autonomo avviso di accertamento ai soggetti indicati nel D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36.

2.1. Tale motivo è infondato.

2.2. Invero, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 117, “la società o l’ente controllante e ciascuna società controllata rientranti tra i soggetti di cui all’art. 73, comma 1, lett. a e b, fra i quali sussiste il rapporto di controllo di cui all’art. 2359 c.c., comma 1, n. 1, con i requisiti di cui all’art. 120, possono congiuntamente esercitare l’opzione per la tassazione di gruppo”.

Il Tuir, art. 118, chiarisce, poi, che “l’esercizio dell’opzione per la tassazione di gruppo di cui all’art. 117, comporta la determinazione di un reddito complessivo globale corrispondente alla somma algebrica dei redditi complessivi netti da considerare, quanto alle società controllate, per l’intero importo…”. Si prevede anche che “al soggetto controllante compete il riporto a nuovo della eventuale perdita risultante dalla somma algebrica degli imponibili, la liquidazione dell’unica imposta dovuta o dell’unica eccedenza rimborsabile o riportabile a nuovo”.

Il Tuir, art. 122, dispone, poi, che “la società o ente controllante presenta la dichiarazione dei redditi del consolidato, calcolando il reddito complessivo globale risultante dalla somma algebrica dei redditi complessivi netti dichiarati da ciascuna delle società partecipanti al regime del consolidato e procedendo alla liquidazione dell’imposta di gruppo…”.

Quale corollario di tale normativa tuir, art. 127, prevede la responsabilità solidale della consolidante e della consolidata in relazione alla maggiore imposta eventualmente accertata.

L’art. 127, (responsabilità), comma 1, prevede, infatti, che “la società o l’ente controllante è responsabile: a) per la maggiore imposta accertata e per gli interessi relativi, riferita al reddito complessivo globale risultante dall’art. 122…”, mentre il comma 2, aggiunge che “ciascuna società controllata che partecipa al consolidato è responsabile: a) solidalmente con l’ente o società controllante per la maggiore imposta accertata e per gli interessi relativi, riferita al reddito complessivo globale risultante dalla dichiarazione di cui all’art. 122, in conseguenza della rettifica operata sul proprio reddito imponibile…”.

Ciò comporta che, a seguito della rettifica del reddito della controllata Nuova Distribuzione s.r.l., per l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, con disconoscimento dei relativi costi, dei maggiori ricavi così accertati rispondono in solido sia la controllante Nuova SOFIA sia la controllata Nuova Distribuzione s.r.l.

Deve, poi, aggiungersi che ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40 bis, introdotto dal D.L. 31 maggio 2010, n. 35, (rettifica delle dichiarazioni sul reddito delle società aderenti al consolidato nazionale), “le rettifiche del reddito complessivo proprio di ciascun soggetto che partecipa al consolidato sono effettuate con unico atto, notificato sia alla consolidata che alla consolidante, con il quale è determinata la conseguente maggiore imposta accertata riferita al reddito complessivo globale e sono irrogate le sanzioni correlate”.

Inoltre, si precisa che “la società consolidata e la consolidante sono litisconsorti necessari”.

Pertanto, sussistendo una ipotesi di responsabilità solidale sul piano sostanziale, l’Agenzia delle entrate può predisporre un “unico atto” intestato alla consolidata, il cui reddito è stato rettificato, con la successiva notifica del medesimo “unico atto” anche alla consolidante, proprio come è avvenuto nel caso in esame. Anche negli istituti definitori di cui al D.Lgs. n. 218 del 1997, è stato inserito l’art. 9 bis, che prevede la partecipazione della consolidata e della consolidante al procedimento di adesione.

La notifica alla consolidante è, quindi, avvenuta correttamente.

Quanto alla notifica dell’unico atto alla consolidata, effettivamente la stessa è stata effettuata quando la consolidata era già stata cancellata dal registro delle imprese e si era estinta, sicchè tale notifica era inesistente. Tuttavia, trattandosi di responsabilità solidale, sul piano sostanziale, era comunque corretto il procedimento notificatorio avvenuto nei confronti della contribuente consolidante.

2.3. Va, poi, affrontata d’ufficio, la questione del litisconsorzio necessario tra società consolidante e consolidata, come imposto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40 bis, dovendosi tenere conto della estinzione della Nuova Distribuzione s.r.l..

2.4. Per questa Corte, dopo la riforma del diritto societario, attuata dal D.Lgs. n. 6 del 2003, qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) l’obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente i(diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, “pendente societate”, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali (Cass., sez. un., 6070/2013).

La Commissione tributaria di primo grado, quindi, per la sussistenza del litisconsorzio necessario tra consolidante e consolidata, una volta avvenuta regolarmente la notifica alla consolidante, avrebbe dovuto ordinare l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei soci della consolidata estinta, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40 bis.

Tuttavia, deve osservarsi sul punto che dagli atti processuale non si conoscono i nominativi dei soci della Nuova Distribuzione s.r.l..

Pertanto, per questa Corte la non integrità del contraddittorio è rilevabile, anche d’ufficio, in qualsiasi stato e grado del procedimento e, quindi, anche in sede di giudizio di legittimità, nel quale la relativa eccezione può essere proposta, anche per la prima volta, nel solo caso in cui i(presupposto e gli elementi di fatto posti a fondamento della stessa emergano “ex sè” dagli atti del processo di merito, senza la necessità di nuove prove e dello svolgimento di ulteriori attività; in tal caso, tuttavia, la parte che eccepisce la non integrità del contraddittorio ha l’onere non soltanto di indicare le persone che debbono partecipare al giudizio quali litisconsorti necessari e di provarne l’esistenza, ma anche quello di indicare gli atti del processo di merito dai quali dovrebbe trarsi la prova dei presupposti di fatto che giustificano la sua eccezione (Cass., 2, 16 ottobre 2008, n. 25305, in tema di successioni ereditarie; Cass., sez. 2, 29 maggio 2007, n. 12504; Cass., sez. 3, 5 settembre 2011, n. 18110 in materia di opposizione all’esecuzione).

In particolare, si è affermato che se l’eccezione di non integrità del contraddittorio è sollevata in cassazione, la parte che la solleva deve indicare gli atti del processo di merito da cui dovrebbe trarsi la prova dei presupposti di fatti che giustificano la sua eccezione (Cass., 16315/2011, Cass., 25305/2008; Cass., 14825/2007). Tale indicazione non è ravvisabile nella censura in esame per non avere la ricorrente dedotto che il presupposto e gli elementi di fatto posti a fondamento della sollevata eccezione di difetto di integrazione del contraddittorio emergevano, con evidenza, dagli atti del processo di merito. Tale deduzione era, invece, necessaria per evitare la necessità di nuove prove e di svolgimento di ulteriori attività, vietate in sede di legittimità.

Ne consegue che l’eccezione di difetto di integrità del contraddittorio risulta inammissibile prima che infondata.

Inoltre, poichè l’elezione di domicilio della consolidata presso la consolidante è non solo obbligatoria, ma anche irrevocabile fino al termine del periodo di scadenza dell’azione di accertamento, ai sensi del Tuir, art. 11, comma 1, lett. c, la notifica presso la consolidante dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della Nuova Distribuzione s.r.l. ha avuto efficacia anche per la consolidata.

Va anche rilevato che il subentro degli ex soci non è automatico, ma opera a condizione che vi sia stata distribuzione e riscossione dell’attivo, la cui prova è a carico dell’amministrazione agente o del litisconsorte eccipiente secondo l’ordinario riparto dell’onere della prova (Cass., 15474/2017; Cass., 11968/2012).

2.5. Non è, poi, corretto il riferimento della ricorrente alla responsabilità dei liquidatori, degli amministratori e dei soci ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36, (responsabilità ed obblighi degli amministratori, dei liquidatori e dei soci), con la dedotta necessità, una volta estintasi la Nuova Distribuzione s.r.l, di notifica di un nuovo di accertamento da intestare e notificare ai soggetti indicati nel D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36.

Invero, per questa Corte (Cass., 13 luglio 2012, n. 11968) il processo tributario iniziato in relazione alle imposte sui redditi nei confronti di una società non può proseguire, una volta che questa si sia estinta per cancellazione dal registro delle imprese, ad opera o nei confronti dell’ex-liquidatore o degli ex-amministratori, poichè essi non sono successori, e neppure coobbligati della stessa, in quanto l’azione di responsabilità prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 36, è esercitabile, nei confronti dell’uno, solo se i ruoli in cui siano iscritti i tributi della società possano essere posti in riscossione e se sia acquisita legale certezza che i medesimi non siano stati soddisfatti con le attività della liquidazione, e, nei confronti degli altri, alle condizioni della sussistenza di attività nel patrimonio della società e della distrazione di esse a fini diversi dal pagamento delle imposte dovute, e, quindi, in entrambi i casi, sulla base di un titolo autonomo dall’obbligazione fiscale, di natura civilistica, ex artt. 1176 e 1218 c.c., ancorchè accertabile nelle forme del procedimento e del processo tributario. Inoltre, gli ex soci rispondono del pagamento delle imposte, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36, solo se abbiano ricevuto beni sociali dagli amministratori nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione o dai liquidatori durante il tempo della liquidazione, e nei limiti del valore di detti beni, ma la necessità di accertare tali circostanze comporta un ampliamento del “thame decidendum” e del “thema probandum”.

Si è recentemente affermato sul punto, sempre nel solco segnato dalla precedente giurisprudenza, che, in tema di riscossione, la responsabilità dei liquidatori e degli amministratori per le imposte non pagate con le attività della liquidazione, prevista dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36, trova la sua fonte in un’obbligazione civile propria “ex lege” in relazione agli artt. 1176 e 1218 c.c., sicchè, non avendo natura strettamente tributaria, a carico dei predetti non vi è alcuna successione o coobbligazione nei debiti tributari per effetto della cancellazione della società dal registro delle imprese (Cass., 25 giugno 2019, n. 17020).

3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “art. 360 c.p.c., n. 3; violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, e art. 145 c.p.c.. Inesistenza della notifica per consegna dell’avviso di accertamento presso la sede di un’altra società”, in quanto l’avviso era stato intestato alla Nuova Distribuzione s.r.l., ma era stato consegnato presso la Nuova SOFIA in forza di un supposto “domicilio eletto”, in assenza, in realtà, di un domicilio eletto presso la Nuova SOFIA.

3.1. Tale motivo è infondato, in quanto l’avviso di accertamento è stato, comunque, correttamente notificato alla società consolidante, quale responsabile solidale.

Peraltro, il tuir, art. 119, (condizioni per l’efficacia della opzione) prevede che “l’opzione può essere esercitata da ciascuna entità legale solo in qualità di controllante o solo in qualità di controllata e la sua efficacia è subordinata al verificarsi delle seguenti condizioni:…. c) elezione di domicilio da parte di ciascuna controllata presso la società o ente controllante ai fini della notifica degli atti e provvedimenti relativi ai periodi di imposta per i quali è esercitata l’opzione. L’elezione di domicilio è irrevocabile fino al termine del periodi di decadenza dell’azione di accertamento o di irrogazione delle sanzioni relative all’ultimo esercizio il cui reddito è stato incluso nella dichiarazione di cui all’art. 122”.

Tale condizione (elezione di domicilio irrevocabile ed obbligatoria presso la controllante) è stata prevista per rendere efficaci anche nei confronti delle società controllate/consolidate le notifiche degli atti e dei provvedimenti concernenti l’imposta dovuta sulla base della tassazione di gruppo.

4. Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente deduce “art. 360 c.p.c., n. 3; violazione e falsa applicazione D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 127, in relazione all’assenza di motivazione in merito all’applicazione della solidarietà”, in quanto nell’atto di appello era stata contestata l’omessa indicazione nell’avviso di accertamento dei “parametri legislativi” in relazione ai quali sarebbe stata operante la solidarietà passiva tra consoldante e consolidata. La Commissione regionale, però, si è limitata a richiamare il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 127, in modo insufficiente “a sanare l’atto impugnato”, non essendo stato esplicitato il motivo per cui tale norma trovava applicazione, soprattutto in relazione alle varie ipotesi da essa contemplate.

4.1. Il motivo è inammissibile.

Invero, la ricorrente, nel dolersi della motivazione insufficiente della decisione della Commissione regionale in ordine alle motivazione dell’avviso di accertamento, avrebbe dovuto, per il rispetto della autosufficienza dei motivo, riportare il contenuto dell’avviso di accertamento.

Infatti, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., nel giudizio tributario, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo del vizio di motivazione nel giudizio sulla congruità della motivazione dell’avviso di accertamento, è necessario che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso, che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentire la verifica della censura esclusivamente mediante l’esame del ricorso (Cass., 28 giugno 2017, n. 16147).

5. Con il quinto motivo di impugnazione la ricorrente lamenta “art. 360 c.p.c., n. 3; violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, per aver comunicato l’avviso di accertamento oltre il termine di decadenza dell’azione accertatrice”, in quanto, sotto il profilo oggettivo, la denuncia penale è stata presentata il 6-11-2013, quando erano ormai decorsi i termini per la notifica dell’avviso di accertamento (l’anno di imposta interessato era il 2006, sicchè il termine scadeva il 31-12-2011), ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, come modificato dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 132, e, sotto il profilo soggettivo, il raddoppio del termine poteva essere attribuito solo alla Nuova Distribuzione s.r.l., società consolidata, ma non alla consolidante.

5.1. Tale motivo è infondato.

5.2. Invero, il D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 37, comma 24, integrando il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, ha stabilito che in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, gli ordinari termini di decadenza per l’accertamento sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione. Il medesimo D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 25, introduce analoga disposizione in materia di i.v.a., previa modifica del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57.

Tali disposizioni trovano applicazione al caso in esame, in quanto, ai sensi del menzionato art. 37, comma 26, il raddoppio dei termini si applica dal periodo d’imposta per il quale, alla data di entrata in vigore del decreto legge, siano ancora pendenti i termini ordinari per l’accertamento, per cui interessa anche il caso in esame relativo ad un avviso di accertamento emesso in relazione al periodo di imposta 2006 (Cass., 13 settembre 2018, n. 22337).

Non vengono, invece, in rilievo, le modifiche introdotte, dapprima, dal D.Lgs. 3 agosto 2015, n. 128, art. 2, commi 1 e 2, che ha circoscritto il raddoppio dei termini di accertamento per violazioni penali solo ai casi in cui la denuncia è effettivamente presentata e trasmessa all’autorità giudiziaria entro il termine ordinario di decadenza dal potere di accertamento, quindi, dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, commi da 130 a 132, che hanno, tra le altre disposizioni, eliminato la fattispecie del raddoppio dei termini ordinari (Cass., 9 agosto 2016, n. 16728).

Infatti, quanto alla prima modifica, in virtù dell’apposita norma di salvaguardia prevista dal D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, la stessa non si applica alle violazioni punibili constatate in processi verbali notificati prima del 2 settembre 2015 e seguite dalla notifica di atti impositivi entro il 31 dicembre 2015, quali sono quelle in oggetto, in cui la notifica dell’avviso di accertamento è intervenuta in data 18-11-2013.

Quanto alla ulteriore modifica, il regime transitorio previsto dalla L. n. 208 del 2015, per i periodi d’imposta anteriori a quello in corso al 31 dicembre 2016 – secondo cui il raddoppio dei termini di accertamento, quali stabiliti dal comma 132, secondo periodo, opera, nel caso delle indicate violazioni penali, solo a condizione che la denuncia penale sia presentata o trasmessa dall’amministrazione finanziaria entro il termine stabilito nel medesimo comma 132, primo periodo, – riguarda solo le fattispecie non regolate dal precedente regime transitorio, cioè i casi in cui non sia stato notificato un atto impositivo (o di irrogazione di sanzioni) entro il 2 settembre 2015, in quanto, ai sensi del D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 3, comma 2, sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore di tale decreto (cfr. Cass. 16 dicembre 2016, n. 26037; Cass. 9 agosto 2016, n. 16728).

Pertanto, secondo la disciplina applicabile al caso in esame, il raddoppio dei termini deriva dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.p., indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento penale del reato, restando irrilevante, in particolare, che l’azione penale non sia proseguita o sia intervenuta una decisione penale di proscioglimento, di assoluzione o di condanna (cfr., altresì, Cass., ord., 30 maggio 2016, n. 11171).

Infatti, come, evidenziato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 247 del 2011, l’unica condizione per il raddoppio dei termini è costituita dalla sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorga ed indipendentemente dal suo adempimento, sicchè “il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta “prognosi postuma”) circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento”.

Pertanto, la Corte territoriale, nell’attribuire rilevanza determinante, al fine di valutare la ricorrenza della condizione per il raddoppio del termine, alla sola sussistenza dei “seri indizi di reato”, individuati nell’importo dell’evasione compiuta dalla Nuova Distribuzione s.r.l., pur in assenza di una tempestiva denuncia penale (presentata solo nel 2013), ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi.

5.3. Dal punto di vista soggettivo, deve evidenziarsi che la condotta illecita, penalmente rilevante, commessa dalla consolidata Nuova Distribuzione s.r.l., non può che avere riflessi concreti, per quanto concerne il “raddoppio dei termini”, anche per la contribuente consolidante.

Infatti, da un lato, si rileva che, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40 bis, l’avviso di accertamento è effettuato con un “unico atto”, proprio per la stretta interferenza tra i redditi dichiarati dalla consolidata e quelli della consolidante, confermata dalla necessità del litisconsorzio.

Dall’altro, è evidente che la consolidante, proprio perchè controlla la consolidata, ai sensi dell’art. 2359 c.c., comma 1, n. 1, (tuir, art. 117, comma 1), esercita una attività di direzione e coordinamento sulla consolidata.

L’art. 2359 c.c., comma 1, n. 1, prevede, infatti, che “sono considerate società controllate: 1) Le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria”.

L’art. 2497 sexies c.c., (presunzioni) dispone, poi, che “si presume salvo prova contraria che l’attività di direzione e coordinamento di società sia esercitata dalla società o ente tenuto al consolidamento dei loro bilanci o che comunque controlla ai sensi dell’art. 2359”.

La definizione di controllo, nell’ambito del consolidamento, è poi tracciata dal Tuir, art. 120, (“agli effetti della presente sezione si considerano controllate le società…a)al cui capitale sociale la società o l’ente controllante partecipa direttamente o indirettamente per una percentuale superiore al 50%, da determinarsi relativamente all’ente o società controllante tenendo conto dell’eventuale demoltiplicazione prodotta dalla catena societaria di controllo, senza considerare le azioni prive del diritto di voto…”).

Il controllo, quindi, per l’accesso al regime del consolidato, sussiste solo in presenza di tre condizioni congiunte: esercizio di un controllo di diritto ai sensi dell’art. 2359 c.c., comma 1, n. 1; la società controllante partecipa direttamente o indirettamente per una percentuale superiore al 50 per cento del capitale sociale; la società controllante partecipa agli utili, direttamente o indirettamente, per una percentuale superiore al 50 per cento.

Per questa ragioni il “raddoppio dei termini” di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, opera sia nei confronti della consolidata, nei cui confronti sono stati ravvisati seri indizi di reato, sia nei confronti della consolidante.

6. Con il sesto motivo di impugnazione la ricorrente deduce “art. 360 c.p.c., n. 3; violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, e della L. n. 4 del 1929, art. 24, per omessa instaurazione del contraddittorio preventivo”, in quanto il principio della necessaria attivazione del contraddittorio preventivo è un principio generale dell’ordinamento comunitario, come per dell’ordinamento interno, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 2, della cit. L., art. 12, comma 7, e della L. n. 4 del 1929, art. 24.

6.1. Tale motivo è infondato.

Invero, per questa Corte a sezioni unite, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicchè esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito (Cass., sez. un., 24823/2015).

7. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della ricorrente, per il principio della soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 13.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 19 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2019

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