Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28354 del 11/12/2020

Cassazione civile sez. I, 11/12/2020, (ud. 07/07/2020, dep. 11/12/2020), n.28354

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 6054/2016 proposto da:

B.L., B.M., elett.te domic. in Roma, alla

via Bertoloni n. 44, presso l’avv. Giuseppe De Vergottini, rappres.

e difesi dall’avv. Marco Manfredi, con procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

UNICREDIT s.p.a, in persona del legale rappres. p.t., elett.te domic.

in Roma, alla via di San Valentino n. 21, presso gli avv.ti

Francesco, e Fabrizio Carbonetti, i quali la rappres. e difendono,

con procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 886/15 emessa dalla Corte d’appello di Ancona,

depositata il 6.8.15;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/07/2020 dal Consigliere rel. Dott. CAIAZZO ROSARIO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Con citazione notificata il 19.7.2020, L. e B.M. convennero innanzi al Tribunale di Ancona la Bipop Carire s.p.a., esponendo: di aver concluso, in data 22.5.98, con la banca convenuta un contratto di gestione di portafogli d’investimento in fondi comuni; che tale contratto originariamente prevedeva la collocazione del capitale in fondi obbligazionari e che, a seguito di suggerimento della banca, l’asset era stato variato, dapprima nella misura del 20% in fondi azionari e 80% in fondi obbligazionari, e successivamente nella misura del 35% in azionario; che la banca, senza alcuna comunicazione in merito alle modalità d’impiego del capitale, aveva ecceduto i limiti del mandato ricevuto con la gestione, acquistando fondi azionari in misura superiore a quanto consentito; che tale inadempimento, contestato con lettere del 13.3. e 9.5.02, aveva comportato danni rappresentati da perdite delle somme investite e commissioni di gestione illegittimamente addebitate.

Tanto premesso, gli attori, deducendo la violazione degli artt. 1710 e 1711, c.c., chiesero che la banca convenuta fosse condannata a risarcire i danni nella misura da determinarsi in corso di causa.

Si costituì la Bipop Carire s.p.a., resistendo alla domanda.

Con sentenza del 28.8.08, il Tribunale condannò la banca a risarcire i danni patiti dagli attori per la somma di Euro 31.277,58 oltre rivalutazione e interessi legali. I B. proposero appello; si costituì la banca, formulando appello incidentale.

Con sentenza depositata il 6.8.15, la Corte d’appello di Ancona, in accoglimento dell’appello incidentale e in totale riforma della sentenza impugnata, respinse la domanda degli appellanti principali, dichiarando assorbito ogni altro motivo dell’impugnazione principale.

Al riguardo, la Corte territoriale, rilevando che l’appello incidentale era da esaminare con priorità perchè investiva una questione risolutiva dell’intero giudizio, osservò che: alla stregua della domanda introduttiva e delle difese delle parti, la domanda degli originari attori era circoscritta alla variazione da parte della banca, in violazione del mandato ricevuto, della composizione dell’asset della GPF attraverso l’inserimento di una componente azionaria più consistente di quella concordata, condotta che aveva determinato le ingenti perdite lamentate; premesso ciò, era incontestato che le operazioni eccedenti l’asset allocation erano riferibili solo al periodo coperto dal rapporto contrattuale relativo alla GPF accesa il 22.5.98, che aveva registrato un incremento dell’investimento; nella GPF successivamente stipulata dalle parti nel dicembre 2000 era confluito l’asset nella composizione finale della precedente GPF, ma la gestione stessa aveva mantenuto inalterata la propria composizione fino all’estinzione; che (contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale) tra i due suddetti contratti di GPF non vi fosse un collegamento negoziale, venendo in rilievo, piuttosto, una fattispecie di rinegoziazione caratterizzata da un mero nesso economico tra i due contratti (come reso evidente dal fatto che la seconda GPF – di carattere speculativo – era configurata come una mera modifica della precedente).

Da quanto esposto la Corte d’appello deduceva che: le violazioni del mandato avevano riguardato la sola prima gestione, che aveva però registrato un plusvalenza; riguardo alla seconda GPF, per la quale non si era verificata alcuna variazione dell’asset iniziale, era da escludere la violazione del mandato come prospettato nella domanda introduttiva, senza tener conto di ulteriori domande ed allegazioni tardivamente proposte.

I B. ricorrono in cassazione con tre motivi, illustrati con memoria.

Resiste Unicredit s.p.a. con controricorso, illustrato con memoria.

Diritto

RITENUTO

CHE:

Preliminarmente, il collegio ritiene di adottare la forma semplificata della motivazione.

Con il primo motivo, il ricorrente formula un pluralità di doglianze. Anzitutto, si denunzia violazione e falsa applicazione degli art. 1322 c.c., avendo la Corte d’appello ritenuto che tra i due contratti di gestione non vi sarebbe stato un collegamento negoziale, emergendo invece una continuità tra i due negozi, lamentando anche l’omesso esame di fatti decisivi al fine di individuare tale collegamento, fatti costituiti dalla mancanza di un nuovo documento informativo in occasione del passaggio dal primo al secondo contratto e dalla sottoscrizione, in tale occasione, di un “modulo trasferimento quote”. Quale seconda doglianza del motivo il ricorrente deduce l’omesso esame delle allegazioni degli attori riguardanti la violazione, da parte della banca, dei doveri di correttezza e buona fede, di cui agli artt. 1374 e 1175 c.c., nonchè del TUF e dei regolamenti Consob, perchè con la memoria ai sensi dell’art. 183 c.p.c., n. 1, essi non avevano allegato fatti che non fossero già stati indicati nell’atto introduttivo della lite.

Il ricorrente denuncia altresì violazione del TUF, art. 24, comma 1, lett. b), che impone all’intermediario di attenersi alle istruzioni impartitegli, e comma 2, che prevede la nullità dei patti contrari, perchè la Corte d’appello non ha accertato la violazione da parte della banca del predetto obbligo e non ha rilevato d’ufficio la nullità di protezione virtuale.

Con il secondo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 21,26,28,29,37 e 39 Reg. Consob, art. 24 TUF, nonchè degli artt. 1710,1771,1175,1176,1375 c.c., avendo la Corte territoriale disatteso, senza esaminarli, i motivi dell’appello principale dei signn. B. attraverso cui era stato censurata la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva liquidato i danni nel minor ammontare di Euro 231.277,58 anzichè in quello di Euro 719.585,97 tenendo conto della stima effettuata dal c.t.u. Al riguardo, i ricorrenti, sulla premessa di aver invocato, nella memoria ex art. 183 c.p.c., comma 5, anche la violazione delle suddette norme del TUF e del Reg. Consob, lamentano che: il Tribunale non abbia tenuto conto del fatto che in ordine al secondo contratto di gestione mancava la profilatura del cliente e il documento relativo alle informazioni da acquisire dall’investitore; dal documento informativo inerente al primo contratto di gestione del 2008 emergeva un profilo di rischio alquanto moderato, avendo i ricorrenti in precedenza investito solo in titoli obbligazionari o titoli di Stato; la modifica della linea d’investimento della gestione avrebbe necessariamente richiesto la forma scritta, oltre alle doverose informazioni sulla rischiosità dell’investimento come modificato; non ostante la bassa propensione al rischio dei ricorrenti, la banca non aveva sconsigliato la modifica della linea d’investimento della gestione quale operazione inadeguata; non erano stati trasmessi i rendiconti dei fondi impiegati nella seconda gestione; la banca, nel corso dell’intero rapporto con i clienti, non aveva tenuto una condotta conforme alla diligenza professionale richiesta e ai principi di buona fede e correttezza.

Preliminarmente, va respinta l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per violazione del principio di autosufficienza, in quanto il ricorso espone chiaramente i motivi dell’impugnazione e le norme impugnate.

Il primo motivo è inammissibile. In ordine alla denunciata violazione degli artt. 1322 c.c. e ss., l’inammissibilità della doglianza discende dalla genericità e dalla non concludenza della censura, non essendo chiarito in quale maniera il dedotto collegamento negoziale inciderebbe sulla correttezza della decisione della Corte d’appello la quale ha escluso, per il primo periodo contrattuale, la sussistenza di un danno e, per il secondo, la sussistenza di violazioni degli obblighi dell’intermediaria. Circa la seconda censura, il motivo è parimenti inammissibile per la sua genericità, non essendo precisato in cosa consistessero le deduzioni svolte con la memoria ex art. 183 c.p.c., n. 1, il cui esame non è da considerare assorbito dalle considerazioni svolte dalla Corte territoriale in punto di insussistenza del danno o di violazioni contrattuali dell’intermediaria.

Inoltre, sotto il profilo dell’asserita violazione dell’art. 24 TUF, il motivo è inammissibile per la non attinenza alla ratio decidendi della sentenza impugnata, che ha escluso in fatto la dannosità, per il primo periodo contrattuale, e la stessa sussistenza, per il secondo, di violazioni degli obblighi contrattuali dell’intermediaria, dei quali inoltre non viene affatto affermata una deroga pattizia.

Il secondo motivo è del pari inammissibile. Con l’appello principale era stata richiesta una maggiorazione della liquidazione del danno operata dal Tribunale. La Corte d’appello ha escluso in radice la sussistenza di una responsabilità per danni dell’intermediaria; nel che sono dunque assorbite le questioni sollevate con l’appello principale, che conseguentemente non possono essere proposte in sede di legittimità non essendovi, riguardo ad esse, statuizioni della sentenza di appello impugnabili per cassazione.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida nella somma di Euro 4200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 7 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2020

 

 

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