Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28350 del 22/12/2011

Cassazione civile sez. II, 22/12/2011, (ud. 19/10/2011, dep. 22/12/2011), n.28350

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.F.G. C.F. (OMISSIS), D.F.M. C.F.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 9, presso lo studio dell’avvocato RIMATO ALESSANDRO,

rappresentati e difesi dall’avvocato RUSSO DOMENICO;

– ricorrenti –

contro

N.V. C.F. (OMISSIS), C.E. C.F.

(OMISSIS), elettivamente domiciliate in ROMA, VIA ELEONORA

DUSE 35, presso lo studio dell’avvocato PANTALANI STEFANO,

rappresentate e difese dall’avvocato MASCIANTONIO RAFFAELE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 643/2005 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 11/07/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/10/2011 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I coniugi N.D. ed C.E., proprietari di terreni posti in (OMISSIS), convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale di Lanciano, G. e D.F.M., proprietari di un fondo, confinante e soprastante il loro, la cui edificazione aveva alterato il preesistente scolo delle acque meteoriche, scolo di cui chiedevano, pertanto, il ripristino.

I convenuti nel costituirsi in giudizio negavano di aver modificato il naturale deflusso delle acque ed ascrivevano i danni lamentati dagli attori alla mancata manutenzione da parte loro di un fosso di scolo.

Respinta in primo grado, la domanda era accolta in appello dalla Corte dell’Aquila, che si pronunciava nei confronti di E. C. e di N.V., la prima anche, la seconda solo quale erede di N.D..

Premessa come pacifica la rispettiva posizione dei fondi lungo un declivio collinare, la Corte territoriale osservava che per realizzare la loro costruzione, consistente in magazzino di circa 200 mq. corredato da un ampio piazzale, i D.F. avevano rialzato l’area di sedime in misura variabile da 40 a 100 cm., come emerso dall’espletata c.t.u. Lo sbancamento, proseguiva, era stato sostenuto sul lato volgente verso la proprietà degli attori, da un muro in cemento armato munito di fori di scolo delle acque, e che quelle piovane cadenti sul magazzino erano scaricate sul piazzale mediante bocchette poste lungo il perimetro del tetto, con la conseguenza che l’acqua non assorbita si riversava sul terreno degli attori. Tale situazione costituiva un evidente aggravamento dello scolo originario, poichè mentre prima tutto il terreno dei D.F. assorbiva l’acqua piovana, sicchè sul fondo dei N. – C. si riversava solo quella in eccesso, attualmente l’acqua non era minimamente assorbita ed era scaricata per intero sul piazzale e da qui nel fondo degli attori, in misura necessariamente maggiore rispetto al passato, atteso che l’area di sedime del fabbricato non svolgeva più la sua funzione.

Tale aggravamento, inoltre, oltre che dai maggiori volumi d’acqua derivava anche dalle modalità di scarico, perchè se in passato lo scolo avveniva attraverso mille rigagnoli, ora si concentrava in poche bocche di scarico, dando luogo a fenomeni di escavazione e dilavamento del terreno sottostante.

Infine, anche la gravità delle modifiche dello scolo era sicuramente apprezzabile, tenuto conto della destinazione agricola del fondo sottostante, parzialmente compromessa dai fenomeni di dilavamento del terreno.

Per la cassazione di tale sentenza ricorrono G. e D.F. M., formulando tre motivi d’annullamento.

Resistono con controricorso N.V. ed C.E..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo i ricorrenti deducono l’insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia, costituito da ciò, che la sentenza impugnata si fonda su di un dato fattuale – la presenza di un muro di sostegno – immaginato dalla Corte d’appello, ma in realtà inesistente e infatti non menzionato dal c.t.u. nella sua relazione. Quello che è stato ritenuto tale, per effetto di un inganno ottico indotto dalla foto n. 1 allegata alla relazione del ct. di parte appellante, in realtà è il muro di fondazione del magazzino di proprietà D.F., di talchè i fori ivi visibili sono destinati al passaggio delle tubazioni degli impianti idrici ed elettrici e per arieggiare le fondazioni, e non possono in alcun modo convogliare sul fondo di proprietà N. – C. le acque piovane scaricate da ben undici bocchette esistenti lungo il perimetro del tetto dell’edificio, giacchè quelle acque cadono al di là del predetto muro di fondazione, sulla parte di terreno dei D.F. che circonda l’edificio e che continua a filtrarle e a disperderle molto efficacemente, se è vero com’è vero che il c.t.u. ha comunque escluso che i fenomeni di allagamento lamentati dagli appellanti potessero essere imputati al mutato stato dei luoghi.

1.1. – Il motivo è inammissibile, perchè completamente incentrato sulla valutazione dei fatti di causa, e dunque su dati estrinseci, piuttosto che sul contenuto intrinseco della motivazione.

E’, infatti, costante e fermo indirizzo di questa Corte che l’esame delle risultanze probatorie (siano esse documentali o storiche, specifiche o generiche) e la loro complessiva valutazione costituiscono attività che involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una data fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento (cfr. per tutte e tra le più recenti, Cass. n. 17097/10). Quest’ultimo, pertanto, non è censurabile in sede di legittimità nè mediante il confronto, più o meno ragionato, con elementi di segno opposto, al fine di farne emergere la prevalenza rispetto a quelli che il giudice di merito abbia posto a base della decisione, nè proponendo una diversa ricostruzione, favorevole al ricorrente, dei medesimi dati di fatto che il giudice abbia utilizzato nell’iter motivazionale della sentenza. Ne consegue che il vizio di insufficiente o contraddittori a motivazione non può consistere in un giudizio comparativo tra la motivazione stessa e gli elementi emersi dall’istruzione probatoria, ma deve basarsi su di una critica dialettica tutta interna al percorso argomentativo prescelto dallo stesso giudice di merito, all’interno del quale il ricorrente ha l’onere di isolare il ragionamento asseritamente viziato, per poi dimostrarne con i soli strumenti della logica giuridica l’insufficienza, l’incongruenza o la contraddittorietà.

1.1.1. – Nulla di tutto ciò emerge dal motivo in esame, che si esaurisce in una diversa lettura dei fatti di causa e del loro accertamento, al malcelato scopo di sollecitare una diversa ricostruzione e valutazione del merito della controversia, inammissibile in questa sede.

2. – Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 913 c.c. e l’omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia. Premesso che la norma citata non vieta qualunque modificazione del deflusso naturale delle acque, ma soltanto le alterazioni che rendano apprezzabilmente più gravosa la condizione del fondo che le riceve, si sostiene che la parte attrice non ha provato un concreto ed obiettivo aggravamento, che non è neppure emerso dalla relazione del c.t.u., il quale non ha evidenziato l’esistenza di danni.

2.1. – Il motivo è infondato.

L’art. 913 cod. civ., in tema di scolo delle acque, ponendo a carico del proprietario sia del fondo inferiore che superiore l’obbligo di non alterare la configurazione naturale del terreno, non vieta tutte le possibili modificazioni incidenti sul deflusso naturale delle acque, ma soltanto quelle che alterino apprezzabilmente tale deflusso, rendendo più gravosa la condizione dell’uno o dell’altro fondo. Tale accertamento di puro fatto, se adeguatamente motivato sotto il profilo logico e giuridico non è censurabile in sede di legittimità (Cass. nn. 19182/03, 13301/02 e 7895/94). Inoltre non occorre un danno effettivo perchè operi il divieto di cui all’art. 913 c.c. (v. Cass. nn. 6976/86 e 13097/11).

La Corte territoriale ha motivato sul punto, rilevando l’apprezzabile aggravamento della situazione del fondo sottostante sulla base di due elementi di fatto, ossia i maggiori volumi d’acqua scaricati e la concentrazione degli stessi in poche bocche di scarico con conseguente produzione di fenomeni di escavazione e dilavamento del terreno sottostante, sicchè anche sotto tale profilo la censura non coglie nel segno.

3. – Il terzo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 91, 92 e 132 c.p.c. e art. 111 Cost. e l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in punto di regolamento delle spese, avendo la Corte territoriale posto le spese del doppio grado di giudizio a carico degli appellati sulla base della soccombenza, senza considerare che la domanda accessoria di danni è stata rigettata, e senza esplicitare alcun motivo per escludere la compensazione.

3.1. – Il motivo è manifestamente infondato.

Il regolamento delle spese giudiziali opera su base indennitaria e non già risarcitoria, sicchè non richiede motivazione ma soltanto giustificazione tramite il richiamo, assoluto, ai criterio legale della soccombenza imposto dall’art. 91 c.p.c., regola la cui applicazione, non censurabile sotto il profilo del difetto motivazionale ex art. 360 c.p.c., n. 5, può essere criticata solo negando che la parte condannata alle spese sia risultata anche solo in parte soccombente. Per contro, è unicamente la compensazione totale o parziale delle spese, vuoi perchè la domanda sia stata accolta solo in parte, vuoi per la reciprocità della soccombenza, che deve essere adeguatamente motivata, anche nel regime anteriore alla L. n. 263 del 2005 (cfr. Cass. S.U. n. 20598/08).

4. – In conclusione il ricorso va respinto.

5. – Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese, che liquida in Euro 1.700,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali forfetarie di studio, Iva e Cpa come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2011

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