Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28347 del 11/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 11/12/2020, (ud. 30/09/2020, dep. 11/12/2020), n.28347

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 731/2020 proposto da:

B.N., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato VALENTINA MATTI, MIRKO BILLONE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE DI BOLOGNA, presso la PREFETTURA, in persona del

Presidente pro tempore, rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domiciliano in ROMA, ALLA

VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistenti con mandato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositata il 07/11/2019

R.G.N. 6007/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/09/2020 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. il Tribunale di Bologna respingeva il ricorso in opposizione proposto da B.N., cittadino (OMISSIS), avverso il provvedimento della Commissione Territoriale della stessa città, che aveva negato al predetto il riconoscimento della protezione internazionale e della protezione umanitaria;

2. il Tribunale evidenziava che la vicenda personale dell’istante tratteggiava una storia di migrazione per motivi essenzialmente economici e che non emergevano fattori di persecuzione rilevanti ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, non sussistendo pertanto lo status di rifugiato; analogamente il ricorrente non aveva paventato il rischio di subire una delle forme di danno grave alla persona tipizzate dall’art. 14 D.Lgs., menzionato per il riconoscimento della protezione sussidiaria;

3. quanto alla situazione del Paese d’origine, l’esame delle fonti più aggiornate ed accreditate – analiticamente menzionate – consentiva di escludere che in Marocco fosse ravvisabile una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto interno o internazionale tale da porre in pericolo l’incolumità della popolazione civile per il solo fatto di soggiornarvi, nè il ricorrente aveva prospettato peculiari fattori individualizzanti di rischio;

4. con riferimento ai seri motivi di carattere umanitario necessari per il permesso relativo, gli stessi, benchè non tipizzati, andavano valutati con riguardo alla correlazione con la situazione oggettiva del paese di provenienza, essendo necessaria ai fini considerati la configurabilità di una condizione di vulnerabilità effettiva, nella specie non ravvisabile in ragione anche di una situazione economica del Marocco non allarmante;

5. neanche sussistevano i motivi di salute del ricorrente, dovendo essere valorizzato per la situazione attuale del richiedente un certificato di completa remissione del quadro clinico, dopo un episodio psicotico breve conseguente ad uso di cannabinoidi;

6. di tale decisione domanda la cassazione il B., affidando l’impugnazione ad unico motivo;

7. Il Ministero dell’Interno non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. il ricorrente denunzia violazione o falsa applicazione di legge, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia relativamente al permesso di soggiorno per motivi umanitari, con riferimento anche ad una L.R. Emilia Romagna 30 luglio 2014, n. 14, che, all’art. 2, che definisce la categoria delle persone in condizioni di fragilità e vulnerabilità a rischio di povertà;

2. questa Corte ha chiarito (v. Cass. n. 4455 del 2018 e, da ultimo, Cass. S.U. n. 29459, n. 29460 e n. 29461 del 13.11.2019) che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza. Seppure il livello di integrazione raggiunto in Italia non costituisca un dato valutabile isolatamente ed astrattamente, esso certamente concorre nel contesto di una valutazione comparativa tra integrazione sociale raggiunta in Italia e situazione del Paese di origine (cfr. Cass. S.U. n. 29459/2019 cit.);

3. ha aggiunto che questa integra una valutazione rimessa al giudice di merito, cui compete tale raffronto con i dati disponibili al momento in cui è chiamato a decidere e dunque all’attualità;

4. tanto premesso, va rilevato che il Tribunale non ha affatto negato, come pare ritenere l’istante, che la protezione umanitaria potesse trovare, in astratto, uno spazio applicativo: ha, invece, escluso che la stessa potesse essere in concreto riconosciuta, essendo mancata la dimostrazione di specifiche situazioni soggettive di vulnerabilità riferibili all’appellante;

5. nel censurare l’apprezzamento compiuto dal giudice di merito, il ricorrente non è in grado di evidenziare circostanze di fatto sottoposte al dibattito processuale e trascurate dalla sentenza impugnata, ma si limita a sollecitare una nuova valutazione del materiale probatorio, non consentita dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il quale, nel testo modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, circoscrive le anomalie motivazionali denunciabili con il ricorso per cassazione alla pretermissione di un fatto storico, principale o secondario, che abbia costituito oggetto del dibattito processuale e risulti idoneo ad orientare in senso diverso la decisione, nonchè a quelle che si convertono in violazione di legge, per mancanza del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, escludendo pertanto da un lato la possibilità di estendere il vizio in esame al di fuori delle ipotesi, nella specie neppure prospettate, in cui la motivazione manchi del tutto sotto l’aspetto materiale e grafico, oppure formalmente esista come parte del documento, ma risulti meramente apparente, perplessa, o costituita da argomentazioni talmente inconciliabili da non permettere di riconoscerla come giustificazione del decisum, e tale vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo del provvedimento (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. Un.,, n. 8053 e 8054 del 2014);

6. infine, la indicata normativa regionale rileva, all’evidenza, a fini del tutto diversi, ossia ai fini della presa in carico da servizi – socio sanitari nell’ambito delle politiche regionali; altro è la valutazione dei requisiti di vulnerabilità dello straniero ai fini del riconoscimento del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, da compiersi con riferimento a normativa statale e non regionale;

7. in base alle esposte considerazioni, il ricorso va dichiarato complessivamente inammissibile;

8. nulla va statuito sulle spese del presente giudizio di legittimità, non avendo il Ministero svolto alcuna attività difensiva;

9. le controversie in materia di riconoscimento

della protezione internazionale non sono annoverate tra quelle esentate dal contributo unificato di cui del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 9 e 10, sicchè al rigetto o, come nella specie, all’inammissibilità del corrispondente ricorso per cassazione consegue il raddoppio di detto contributo (cfr. Cass. 8.2.2017 n. 3305).

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R., ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2020

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