Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28343 del 11/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 11/12/2020, (ud. 09/09/2020, dep. 11/12/2020), n.28343

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 629/2020 proposto da:

S.I., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato LAURA SIMEONE, GIULIO ROTA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI TRIESTE, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 768/2019 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 21/11/2019 r.g.n. 603/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/09/2020 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

S.I. cittadino indiano, chiedeva alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis);

la Commissione Territoriale rigettava l’istanza;

avverso tale provvedimento proponeva, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Trieste che ne disponeva il rigetto;

tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Bologna;

a fondamento della decisione assunta, la Corte territoriale evidenziava l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento di tutte le forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente tenuto conto della scarsa coerenza e rilevanza dei fatti narrati, avendo il ricorrente riferito di essersi allontanato dal paese natale dopo l’assassinio del padre, per motivi attinenti a beni immobili oggetto di controversia; lo stato di provenienza (India) e la regione di Ambala dal medesimo abitata, alla stregua delle acquisite informazioni, non risultavano interessati da situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato interno tale da porre in pericolo l’incolumità della posizione civile per il solo fatto di soggiornarvi, ma solo di comune delinquenza e di violenza di genere; quanto alla protezione c.d. umanitaria del pari invocata, non risultavano indicate particolari ragioni di vulnerabilità individuale che giustificassero la permanenza in territorio italiano, la fuga dal paese natale essendo stata dal medesimo richiedente imputata esclusivamente ad una contesa di natura personale;

il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione con ricorso fondato su due motivi;

il Ministero dell’Interno, non costituito nei termini di legge con controricorso, ha depositato atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia errata valutazione della assenza di condizioni di vulnerabilità e dei rischi di eventuale rimpatrio, motivazione contraddittoria circa l’esistenza di pericolo di persecuzione contro le minoranze nel territorio indiano; omessa motivazione circa il decorso del tempo fra la data della richiesta di protezione internazionale e la data del provvedimento oggi impugnato emesso dalla Corte d’Appello.

Si ribadisce che in caso di rientro nel paese d’origine, alla luce della documentata situazione conflittuale sfociata nell’assassinio del padre, sussisteva un grave pericolo per la propria incolumità, che con motivazione lacunosa sarebbe stato valutato dalla Corte di merito; pur ammettendo che di per sè, tale situazione conflittuale non era sufficiente ad ottenere il permesso di soggiorno per motivi umanitari (pag. 3 ricorso), si palesa la necessità di valutare, a distanza di quattro anni dalla richiesta, “i nuovi possibili pregiudizi derivanti dall’esecuzione di un allontanamento dal territorio nazionale di un soggetto ormai stabilmente insediato”, anche sotto il profilo lavorativo;

2. il motivo è inammissibile perchè in sostanza sollecita una generale rivisitazione nel merito della vicenda affinchè se ne fornisca un diverso apprezzamento mediante operazione non consentita in sede di legittimità, finendo con il riprodurre in maniera irrituale censure ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella versione di testo anteriore alla novella introdotta ex lege n. 134 del 2012;

deve infatti rammentarsi che nella formulazione della citata disposizione vigente ratione temporis, introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), conv. con modificazioni in L. n. 134 del 2012, l’art. 360 c.p.c., n. 5, non si consente la denuncia di presunti profili di omissione, insufficienza o contraddittorietà della motivazione, ma, esclusivamente, di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”;

l’intervento di modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte, comporta un’ulteriore sensibile restrizione in sede di legittimità, dell’ambito di controllo sulla motivazione di fatto;

con esso si è invero avuta (Cass. Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053) la riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in questa sede è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile;

mentre in ogni caso, la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso;

pertanto, dopo la ricordata riforma è impossibile ogni rivalutazione delle questioni di fatto; ne consegue che la ricostruzione dello stesso operata dai giudici del merito è ormai sindacabile in sede di legittimità soltanto ove la motivazione al riguardo sia affetta da vizi giuridici, oppure se manchi del tutto, oppure se sia articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi, oppure obiettivamente incomprensibili; mentre non si configura un omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, ove quest’ultimo sia stato comunque valutato dal giudice, sebbene la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie e quindi anche di quel particolare fatto storico, se la motivazione resta scevra dai gravissimi vizi appena detti (vedi per tutte Cass. 11/12/2014 n. 26097, Cass. 27/4/2017 n. 10);

nello specifico la pronuncia Impugnata appare del tutto esente da vizi riconducibili all’alveo della surrichiamata disposizione di rito, avendo compiutamente enunciato le ragioni del mancato riconoscimento della invocata misura di protezione umanitaria, come dedotto nello storico di lite, con statuizione congrua e conforme a diritto;

3. il secondo motivo prospetta una “sopravvenuta condizione di rischio per il ricorrente in relazione ai fatti occorsi a far data dal 27/2/2019 a seguito di episodi di conflitto nella zona originaria del ricorrente fra India e Pakistan”;

si segnala che nelle more del termine previsto per la proposizione del ricorso per cassazione la regione di origine del ricorrente era stata nuovamente interessata da gravi episodi di guerra fra milizie pachistane e indiane, situazione, questa, da valutare prima di disporre il rimpatrio di un soggetto che rimarrebbe esposto “a forte rischio per la propria incolumità”;

4. il motivo è inammissibile in quanto non conforme al principio di specificità che governa il ricorso per cassazione secondo cui i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato;

nel caso di cui si discute, il generico riferimento ad una situazione di conflittualità nel proprio paese di origine non è idoneo ad inficiare la statuizione dei giudici del gravame secondo cui, valutate le acquisizioni processuali, era da escludere che il richiedente si potesse trovare in una reale condizione di pericolo al momento del rimpatrio, nè erano emerse ragioni di salute o legami familiari in Italia che consentissero di fondare adeguatamente una situazione di integrazione nel nostro Paese;

secondo la giurisprudenza di questa Corte, non può infatti essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza (vedi Cass. 28/6/2018 n. 17072);

in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta infatti che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (vedi Cass. S.U. 13/11/2019 n. 29459);

4. il ricorso va pertanto, dichiarato inammissibile;

nulla va disposto per le spese del presente giudizio di cassazione, in quanto la parte intimata non ha svolto attività difensiva in questa sede;

si dà infine atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, quanto al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ivi previsto, se dovuto giacchè le controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale non sono annoverate tra quelle esentate dal contributo unificato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 9 e 10 (vedi ex aliis, Cass. 8/2/2017 n. 3305).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 9 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2020

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