Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2834 del 02/02/2017
Cassazione civile, sez. VI, 02/02/2017, (ud. 16/11/2016, dep.02/02/2017), n. 2834
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –
Dott. MANZON Enrico – Consigliere –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 28292-2015 proposto da:
P.C., nella qualità di titolare dell’omonima ditta
individuale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PARIOLI 27,
presso lo studio dell’avvocato PAOLO SAOLINI, rappresentata e difesa
dall’avvocato GENNARO TORRESE giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope
legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3039/46/2015 della COMMISSIONI TRIBUTARIA
REGIONALE di NAPOLI del 24/03/2015, depositata l’01/04/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
16/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE CRICENTI,
Fatto
MOTIVI DELLA DECISIONE
La ricorrente ha subito accertamento dei redditi dichiarati nel 2007. L’Agenzia, in particolare, ha dato rilievo, nel ritenere che il reddito effettivo fosse maggiore di quello ricavato, all’acquisto di un immobile per il quale la contribuente ha corrisposto 199.990,00 Euro in contanti, dichiarandone la provenienza (vendita di altro immobile) ma senza offrirne prova.
La contribuente ha proposto vittoriosamente ricorso avverso tale accertamento. L’Agenzia ha proposto appello che la CTR (con sentenza n. 326 del 2013) ha accolto con l’argomento che la contribuente, pur avendo dichiarato la provenienza di quel contante, tuttavia non ne aveva fornito prova.
La P. ha conseguentemente proposto ricorso per revocazione avverso tale sentenza, sostenendo che il collegio non ha tenuto conto di un fatto che era invece positivamente stabilito, e cioè la provenienza del denaro dalla vendita di altro immobile.
Il ricorso per revocazione è stato respinto dalla CTR (in diversa composizione) la quale ha ritenuto che la sentenza oggetto di revocazione avesse invero valutato insufficiente la prova, piuttosto che trascurato un fatto positivamente stabilito.
Avverso tale decisione (di rigetto, dunque, della revocazione) la contribuente propone ricorso per cassazione con un motivo di ricorso, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Con l’unico motivo la contribuente denuncia violazione dell’art. 395 c.p.c.. Sostiene che la decisione impugnata ha negato la revocazione erroneamente ritenendo che la decisione da revocare non ha ignorato un fatto obiettivamente emerso, ma ha ritenuto non provata la pretesa della contribuente.
Invece, avrebbe dovuto considerare che era emerso positivamente un fatto (ossia vendita di una casa quale fonte del prezzo impiegato per l’acquisto dell’altra) e tale fatto ha invece trascurato.
Il ricorso è inammissibile.
Il motivo difetta di autosufficienza. Non è dato sapere invero quali siano gli estremi dell’atto di vendita (ossia il fatto emerso e non considerato), attraverso i quali stabilire se sia stato effettivamente considerato dal giudice di merito il fatto della vendita e del conseguente ricavo, oppure non considerato affatto, come è nella tesi della ricorrente.
Ma, soprattutto non è riportata in ricorso la motivazione della sentenza soggetta a revocazione, e dunque non è dato capire se effettivamente quest’ultima ha trascurato un fatto emerso positivamente oppure no. La ratio della sentenza impugnata sta nell’affermazione che la sentenza soggetta a revocazione non ha in realtà trascurato l’esistenza di un fatto chiaramente emerso agli atti, ma ha ritenuto sufficientemente non provata la provenienza del denaro utilizzato per il pagamento. Per stabilire se questa ratio (oggetto oggi di denuncia) è fondata o meno occorre sapere cosa ha deciso il giudice la cui sentenza (n. 326 del 2013) è stata oggetto della revocazione rigettata.
Invece nè la sentenza da revocare è allegata, ne sono stati riprodotti i motivi oggetto di revocazione.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite nella misura di 5600,00 Euro, oltre spese generali e accessori di legge. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del doppio del contributo unificato.
Così deciso in Roma, il 16 novembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2017