Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28330 del 11/12/2020

Cassazione civile sez. I, 11/12/2020, (ud. 11/11/2020, dep. 11/12/2020), n.28330

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12246/2018 proposto da:

F.L., elettivamente domiciliato in Roma, Via Mantegazza n.

24, presso lo Studio del Dott. Gardin Marco, rappresentato e difeso

dall’avvocato Castellaneta Maria Anna Pia, giusta procura speciale

per Notaio Dott.ssa S.P. di Altamura (Bari) – Rep. n.

(OMISSIS);

– ricorrente –

contro

D.P.F., D.P.M., elettivamente domiciliate in

Roma, Via Tacito n. 23, presso lo studio dell’avvocato Giustiniani

Giovanni, che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Colonna Venisti Francesco Maria, giusta procura in calce al

controricorso e procura speciale per Notaio Dott.ssa C.C.

di Cassano delle Murge (Bari) – Rep. n. (OMISSIS);

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 952/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 31/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/11/2020 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA.

 

Fatto

RITENUTO

che:

La controversia concerne l’azione di dichiarazione giudiziale di paternità promossa in data (OMISSIS) da D.P.F. con ricorso ex art. 274 c.c. (secondo la disciplina all’epoca vigente) nei confronti di F.L.; una volta dichiarata ammissibile l’azione con sentenza della Corte di Cassazione del 26/9/2003, con atto di citazione del 24/4/2004 D.P.F. propose l’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e formulò richiesta di risarcimento danni per l’importo di Euro 7.000.000,00, assumendo danni esistenziali ed alla vita di relazione per l’assenza della figura paterna, alla quale F. si oppose.

All’udienza di prima trattazione spiegò intervento la madre dell’attrice, D.P.M. chiedendo l’accoglimento della domanda principale di dichiarazione giudiziale di paternità e, per l’effetto, la condanna al rimborso della quota parte delle spese da lei sostenute per il mantenimento della figlia dalla nascita, da quantificarsi in Euro 4.000.000,00, ovvero nella somma ritenuta equa; F. propose eccezione di tardività ed inammissibilità dell’intervento e ne contestò la fondatezza. Espletata l’attività istruttoria e disposta CTU genetica, alla quale F. non si sottopose, il Tribunale di Bari con la sentenza n. 2438/2014 accolse la domanda di dichiarazione giudiziale di paternità, condannando F.L. al pagamento di Euro 200.000,00, in favore di D.P.F. e di Euro 374.000,00, in favore di D.P.M., oltre interessi legali e spese.

F. propose appello principale avverso questa sentenza e le D.P. proposero appello incidentale.

La Corte di appello di Bari, con la sentenza depositata il 31/7/2017, oggetto del presente ricorso, ha respinto tutti gli appelli proposti, confermando la prima decisione e compensando le spese del grado.

F.L. ricorre con dieci mezzi avverso detta sentenza.

D.P.F. e D.P.M. hanno replicato con controricorso.

Nell’istanza di fissazione dell’udienza, depositata dalle controricorrenti, è riferito che F.L. è deceduto il (OMISSIS).

Sono state depositate memorie sia per F.L. che per D.P.F. e M..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. Con il primo motivo si denuncia motivazione apparente, violazione dell’art. 111 Cost., art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4; si denuncia anche violazione degli artt. 392 e 393 c.p.c., ed erronea applicazione degli effetti della sentenza di incostituzionalità n. 50 del 2006, violazione e falsa applicazione dell’art. 133 bis disp. att. c.p.c., comma 2.

Il ricorrente, sulla premessa che aveva eccepito la decadenza dall’azione di accertamento della paternità per decorrenza del termine semestrale ex art. 133-bis disp. att. c.p.c., perchè introdotta oltre sei mesi dal deposito della sentenza della Corte di cassazione che aveva dichiarato l’ammissibilità dell’azione ex art. 274 c.c. (nel testo all’epoca vigente), si duole che la Corte territoriale abbia respinto tale eccezione con motivazione apparente ed abbia violato le norme sulla riassunzione.

1.2. Il primo motivo è infondato.

Va confermato in proposito il principio secondo il quale “Il giudizio sull’ammissibilità dell’azione di dichiarazione della paternità (o maternità) naturale ed il successivo giudizio di merito, pur essendo tra loro collegati, hanno integrale autonomia, tanto che ben possono svolgersi innanzi a giudici diversi; con la conseguenza che, definito il procedimento di ammissibilità a seguito dell’irrevocabilità acquisita dal relativo provvedimento autorizza torio, l’azione introduttiva del giudizio di cognizione piena non è soggetta al termine perentorio di sei mesi per la riassunzione (art. 133 bis disp. att. c.p.c.), ma soltanto alle condizioni ed ai termini posti dal c.c.” (Cass. civ. Sez. I, 11/12/1996, n. 11035) e va osservato che la Corte territoriale vi ha dato corretta applicazione.

2.1. Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 276 c.c. e degli artt. 105,268c.p.c., art. 167 c.p.c., comma 2.

Il ricorrente si duole che sia stato ritenuto ammissibile l’intervento volontario di D.P.M. (madre dell’originaria attrice), sostenendo che questa aveva interesse al positivo accertamento del rapporto di filiazione per farvi derivare il preteso rimborso pro quota delle spese di mantenimento sostenute dalla nascita della figlia F.. Sostiene che nel giudizio di accertamento della paternità è legittimato passivo solo il presunto genitore o in mancanza i suoi eredi e argomenta su vari profili.

2.1. Il secondo motivo è infondato.

Come questa Corte ha già avuto modo di chiarire “In tema di dichiarazione giudiziale della paternità naturale, nell’ipotesi di maggior età di colui che richiede l’accertamento non può configurarsi un interesse principale ad agire della madre naturale ai sensi dell’art. 276 c.c., u.c., non essendo in tale evenienza ravvisabile un obbligo legale di assistenza o mantenimento nei confronti del figlio, potendo peraltro essa svolgere un intervento adesivo dipendente, allorchè sia ravvisabile un suo interesse di fatto tutelabile in giudizio.” (Cass. civ. Sez. I Sent., 17/07/2012, n. 12198 Acierno – conf. n. 6025 del 25/03/2015). Nel caso di specie l’intervento della madre è “adesivo” e lo stesso ricorrente assume l’esistenza da parte di questa di un interesse ad esercitare il presunto diritto di regresso per le spese di mantenimento sostenute per la figlia: la decisione è conforme al ricordato principio ed immune dai vizi dedotti.

3.1. Con il terzo motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c., n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c., in quanto motivata in modo apparente. Si denuncia inoltre l’illegittimo esercizio del potere di disporre d’ufficio la CTU ematologica nonostante la rinuncia della parte che ne aveva interesse e la violazione e falsa applicazione dell’art. 208 c.p.c., comma 1, art. 61 c.p.c. e art. 2697 c.c..

A parere del ricorrente la Corte di appello ha motivato in maniera apparente e, comunque, errata in merito alla ammissibilità della CTU disposta di ufficio, in particolare omettendo di considerare che la parte attrice aveva rinunciato all’espletamento della CTU e che solo successivamente questa era stata disposta d’ufficio.

3.2. Con il quarto motivo si denuncia la nullità della sentenza per motivazione apparente; nonchè l’omesso esame del fatto decisivo costituito dalla legittimità del rifiuto del F. di sottoporsi a consulenza immunoematologica e la violazione dell’art. 187 c.p.c., commi 2 e 3 e art. 116 c.p.c.. Il ricorrente sostiene di avere esercitato un suo diritto di libertà e si duole che sia stato leso il suo diritto di difesa.

3.3. Vanno respinti perchè infondati i motivi terzo e quarto, relativi entrambi all’espletamento della CTU ed ai suoi effetti, da trattarsi congiuntamente per connessione.

3.4. Innanzi tutto va rilevato che l’argomento relativo alla rinuncia all’espletamento della CTU espressa dall’attrice è privo di rilievo, in quanto il Consulente tecnico d’ufficio è un ausiliario del giudice ex artt. 61 c.p.c. e segg. e la decisione di avvalersi della sua collaborazione attiene al potere che il giudice può esercitare per acquisire elementi tecnici utili a definire la vicenda dedotta in giudizio e non è rinunciabile da alcuna delle parti.

Peraltro, nello specifico campo di indagine in esame, la giurisprudenza di questa Corte ha reiteratamente affermato che, in materia di accertamenti relativi alla paternità e alla maternità, la consulenza tecnica ha funzione di mezzo obbiettivo di prova, costituendo lo strumento più idoneo, avente margini di sicurezza elevatissimi, per l’accertamento del rapporto di filiazione. Le indagini ematologiche e genetiche, affidate al consulente d’ufficio, non rappresentano, pertanto, nella fattispecie in esame, soltanto un mezzo per valutare elementi di prova offerti dalle parti, ma costituiscono il più valido strumento per l’acquisizione della conoscenza del rapporto di filiazione (Cass. n. 3563 del 17/02/2006; Cass. n. 15568 del 14/07/2011). A ciò va aggiunto che “In tema di dichiarazione giudiziale di paternità naturale, l’ammissione degli accertamenti immunoematologici non è subordinata all’esito della prova storica dell’esistenza di un rapporto sessuale tra il presunto padre e la madre, giacchè il principio della libertà di prova, sancito, in materia, dall’art. 269 c.c., comma 2, non tollera surrettizie limitazioni, nè mediante la fissazione di una gerarchia assiologica tra i mezzi istruttori idonei a dimostrare quella paternità, nè, conseguentemente, mediante l’imposizione, al giudice, di una sorta di “ordine cronologico” nella loro ammissione ed assunzione, avendo, per converso, tutti i mezzi di prova pari valore per espressa disposizione di legge, e risolvendosi una diversa interpretazione in un sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione in relazione alla tutela di diritti fondamentali attinenti allo “status” (Cass. n. 3479 del 23/02/2016), e va rimarcato che la Corte territoriale, contrariamente a quanto assume il ricorrente, ha adeguatamente motivato sull’esigenza istruttoria connessa alla decisione di espletamento della CTU, anche per relationem.

La doglianza non si può condividere nemmeno ove prospetta una violazione della libertà personale connessa alla disposta indagine ematologica.

Invero, dall’art. 269 c.c., non deriva una restrizione della libertà personale, avendo il soggetto piena facoltà di determinazione in merito all’assoggettamento o meno ai prelievi, mentre il trarre argomenti di prova dai comportamenti della parte costituisce applicazione del principio della libera valutazione della prova da parte del giudice, senza che ne resti pregiudicato il diritto di difesa, e, inoltre, il rifiuto aprioristico della parte di sottoporsi ai prelievi non può ritenersi giustificato nemmeno con esigenze di tutela della riservatezza, tenuto conto sia del fatto che l’uso dei dati nell’ambito del giudizio non può che essere rivolto a fini di giustizia, sia del fatto che il sanitario chiamato dal giudice a compiere l’accertamento è tenuto tanto al segreto professionale che al rispetto della L. 31 dicembre 1996, n. 675 (Cass. n. 14458 del 05/06/2018).

In proposito si osserva che, nel caso di specie, come si evince dalla sentenza, F. aveva dichiarato sin dalla comparsa di risposta in primo grado il suo rifiuto a sottoporsi a prove ematolologiche ed aveva rinnovato tale determinazione nel corso del giudizio; è, inoltre, incontestato che la CTU non venne eseguita proprio per il rifiuto liberamente opposto da F., circostanza che conferma il pieno esercizio da parte sua della libera scelta personale.

4.1. Con il quinto motivo si denuncia la nullità della sentenza per motivazione apparente; nonchè l’omesso esame del fatto decisivo costituito dalla nullità delle prove orali in quanto de relato ex parte actoris, e dalla inidoneità delle stesse a provare la paternità per violazione dell’art. 244 c.p.c..

Il ricorrente lamenta che la sentenza sia motivata per relationem alla sentenza di primo grado, senza che sia possibile desumere l’iter argomentativo seguito per giungere alla condivisione della prima decisione e sostiene che emerge ictu oculi che non vennero esaminate le specifiche doglianze dallo stesso proposte – che tuttavia non trascrive, limitandosi a rinviare integralmente alle pagine dell’atto di appello 37/49.

In via subordinata lamenta l’omesso esame della circostanza che D.P.F. era nata il (OMISSIS) e che il teste da lui presentato aveva negato la persistenza di rapporti tra F.L. e D.P.M. successivamente al (OMISSIS).

In via ulteriormente subordinata denuncia la violazione dell’art. 244 c.p.c., perchè le deposizioni di parte attrice erano nulle o inattendibili e le esamina sottolineando quelle che, a suo parere, erano incongruenze o genericità, o il carattere de relato.

4.2. Il quinto motivo è infondato, volendo superare i profili di inammissibilità.

Come già affermato da questa Corte “La sentenza d’appello può essere motivata “per relationem”, purchè il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicchè dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame.” (Cass. n. 20883 del 05/08/2019).

Nel caso in esame la Corte territoriale, ha confermato la prima decisione dando conto del suo percorso motivazionale, fondato essenzialmente sulla valorizzazione del rifiuto di F. a sottoporsi all’esame ematologico, corroborato dalle risultanze degli altri mezzi istruttori con cui era stata accerta l’esistenza di una relazione affettiva tra F. e D.P.. In proposito, la Corte barese ha rimarcato la non decisività dell’unica testimonianza che aveva ricondotto la cessazione dei rapporti affettivi tra le parti al 1970, sulla considerazione che non si poteva arrivare ad escludere la persistenza degli stessi al di là dell’effettiva conoscenza del teste assunto, della cui attendibilità peraltro dubitava.

Contrariamente a quanto assume il ricorrente, la decisione dà conto del ragionamento seguito dalla Corte di appello, fondato sulla decisiva mancata sottoposizione all’esame ematologico di F. e corroborato dalle testimonianze che avvaloravano l’esistenza di un rapporto affettivo tra le parti (non smentito nemmeno dal teste presentato da F.), compendio probatorio ritenuto adeguato e sufficiente all’accoglimento della domanda, e ciò a prescindere dalla assenza di prove testimoniali riferibili specificamente al probabile momento del concepimento: ne discende che la data di nascita della ricorrente non costituisce fatto decisivo non esaminato, come sostenuto dal ricorrente che non coglie sul punto la ratio decidendi.

La statuizione risulta pertanto adottata nel rispetto dei principi già affermati da questa Corte ed ai quali si intende dare continuità, secondo il quali “Nel giudizio promosso per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale, il rifiuto ingiustificato del padre di sottoporsi agli esami ematologici può essere liberamente valutato dal giudice, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., comma 2, anche in assenza di prova dei rapporti sessuali tra le parti, non derivando da ciò nè una restrizione della libertà personale del preteso padre, che conserva piena facoltà di determinazione in merito all’assoggettamento o meno ai prelievi, nè una violazione del diritto alla riservatezza, essendo rivolto l’uso dei dati nell’ambito del giudizio solo a fini di giustizia, mentre il sanitario, chiamato a compiere l’accertamento, è tenuto al segreto professionale ed al rispetto dalla disciplina in materia di protezione dei dati personali” (Cass. Sentenza n. 11223 del 21/05/2014) con l’effetto che la prova della fondatezza della domanda può trarsi anche unicamente dal comportamento processuale delle parti, da valutarsi globalmente, tenendo conto delle altre emergenze istruttorie e della portata delle difese del convenuto, non sussistendo un ordine gerarchico delle prove riguardanti l’accertamento giudiziale della paternità e maternità naturale (Cass. n. 12971 del 24/07/2012; v. anche, Cass. n. 6694 del 24/3/2006; Cass. n. 14976 del 2/7/2007).

Di contro, con evidenti ricadute sull’ammissibilità del motivo, il ricorrente non trascrive con la dovuta specificità i motivi di appello e non dà conto delle questioni da lui prospettate che non sarebbero state esaminate, impedendo a questa Corte ulteriori considerazioni.

4.3. Il motivo è poi inammissibile laddove lamenta la violazione dell’art. 244 c.p.c., perchè non illustra se ed in che termini questioni inerenti all’applicazione di questa disposizione siano state sottoposte alla Corte territoriale.

Ancora, il motivo è inammissibile laddove, nella seconda parte, sostanzialmente prospetta un errore di valutazione ed insiste sulla natura de relato di alcune testimonianze, in quanto dà conto di non avere compreso la ratio decidendi, atteso che il convincimento del giudice – come già chiarito – si è fondato principalmente sul rifiuto di F. di sottoporsi ad indagine ematologica, anche se corroborato dalla circostanza non controversa (perchè riconosciuta anche dal teste presentato da F.) della effettiva esistenza di una relazione affettiva tra questi e D.P.M., in epoca prossima a quella dell’evento concepimento.

Il motivo sembra, inoltre, inammissibilmente volto a pervenire ad una rivalutazione del merito.

5.1. Con il sesto motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo in ordine alla pretesa ammissibilità della domanda risarcitoria proposta da D.P.F. e di quella di regresso proposta da D.P.M..

Il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata è viziata per aver omesso di esaminare il sesto motivo di appello con cui F. aveva censurato la sentenza di primo grado per avere ritenuto ammissibile l’azione risarcitoria proposta dalla presunta figlia prima dell’accertamento dello status con sentenza passata in giudicato o, quanto meno, attribuendone efficacia ex tunc dalla nascita, facendo così retroagire la responsabilità ad un momento anteriore all’accertamento della colpevolezza del convenuto. Si duole anche che non sia stata ravvista la incompatibilità tra la domanda risarcitoria proposta dalla figlia e la domanda di regresso proposta dalla madre, sulla considerazione che le somme che la madre sosteneva di avere speso per il mantenimento della figlia (ove corrispondenti al vero) davano atto di una vita più che agiata della stessa.

5.2. Il sesto motivo è infondato.

La Corte territoriale ha implicitamente disatteso le eccezioni di inammissibilità, nel momento in cui ha espressamente respinto l’eccezione di prescrizione (fol. 6 della sent. imp.) dando così conto della ritenuta ammissibilità delle domande risarcitoria e di regresso, in linea con i precedenti di legittimità.

Invero, questa Corte ha già affermato, che “L’obbligo dei genitori di educare e mantenere i figli (artt. 147 e 148 c.c.) è eziologicamente connesso esclusivamente alla procreazione, prescindendo dalla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, così determinandosi un automatismo tra responsabilità genitoriale e procreazione, che costituisce il fondamento della responsabilità aquiliana da illecito endofamiliare, nell’ipotesi in cui alla procreazione non segua il riconoscimento e l’assolvimento degli obblighi conseguenti alla condizione di genitore. Il presupposto di tale responsabilità e del conseguente diritto del figlio al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali è costituito dalla consapevolezza del concepimento, che non si identifica con la certezza assoluta derivante esclusivamente dalla prova ematologica, ma si compone di una serie di indizi univoci, quali, nella specie, la indiscussa consumazione di rapporti sessuali non protetti all’epoca del concepimento” (Cass. n. 26205 del 22/11/2013) e la violazione dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione dei genitori verso la prole non trova sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, potendo integrare gli estremi dell’illecito civile, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti; questa, pertanto, può dar luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 c.c., esercitabile anche nell’ambito dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità (Cass. n. 5652 del 10/04/2012).

Inoltre, l’obbligo dei genitori di mantenere i figli (artt. 147 e 148 c.c.) sussiste per il solo fatto di averli generati e prescinde da qualsivoglia domanda, sicchè nell’ipotesi in cui, al momento della nascita, il figlio sia riconosciuto da uno solo dei genitori, tenuto perciò a provvedere per intero al suo mantenimento, non viene meno l’obbligo dell’altro per il periodo anteriore alla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, essendo sorto sin dalla nascita il diritto del figlio naturale ad essere mantenuto, istruito ed educato nei confronti di entrambi i genitori (Cass. n. 5652 del 10/04/2012).

Quanto al diritto di regresso si rinvia ai principi già ricordati sub 21.

6.1 Con il settimo motivo si denuncia la violazione/falsa applicazione degli artt. 2935,279,148,315 bis c.c..

Secondo il ricorrente è errata l’affermazione della Corte di appello secondo la quale il termine di prescrizione dell’azione risarcitoria e dell’azione di regresso decorre dall’accertamento definitivo del presupposto su cui sono fondate.

Il ricorrente sostiene che, anche ove ritenute ammissibili, l’azione risarcitoria avrebbe dovuto essere respinta per intervenuta prescrizione decorrente dalla data della nascita e l’azione di regresso avrebbe dovuto essere respinta per intervenuta prescrizione decorrente dai relativi esborsi.

6.2. Il settimo motivo è infondato.

L’accertamento dello status di figlio naturale costituisce il presupposto per l’esercizio dei diritti connessi a tale status, perchè prima di tale momento non vi è pronuncia sullo status.

La domanda risarcitoria da parte del figlio e quella di rimborso delle spese sostenute per il mantenimento del figlio da parte del genitore coobbligato presuppongono tale accertamento e non sono utilmente azionabili se non dal momento in cui diviene definitiva la sentenza di accertamento della filiazione naturale, che conseguentemente costituisce il dies a quo della decorrenza della ordinaria prescrizione decennale (tra le tante, (Cass. n. 21364 del 29/08/2018; Cass. n. 7986 del 4/4/14; Cass. n. 17914 del 20/10/2010; Cass. n. 23596 del 3/11/2006); tale principio non è inficiato dalla puntualizzazione che l’azione di regresso può essere esercitata (dal genitore che ha provveduto in via esclusiva al mantenimento del figlio) anche unitamente alla domanda di dichiarazione giudiziale della paternità naturale (v. di recente Cass. n. 16561 del 3/7/2020); difatti in tal caso l’azione serve alla precostituzione del titolo, il quale è comunque e sempre eseguibile soltanto dopo il passaggio in giudicato della sentenza di accertamento della paternità naturale.

7.1. Con l’ottavo motivo si denuncia – quale error in procedendo l’omessa pronuncia, la nullità della sentenza, la violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c., n. 4 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c..

Il ricorrente sostiene che la sentenza è nulla per aver omesso di pronunciarsi sulle censure mosse con i motivi ottavo e nono dell’atto di appello, che investivano l’an ed il quantum dell’ammontare liquidato dalla sentenza di primo grado a D.P.F., a titolo risarcitorio, ed a D.P.M., a titolo di regresso. A suo parere la sentenza va cassata per mancanza di motivazione, quale requisito essenziale del provvedimento.

7.2. L’ottavo motivo è fondato e va accolto.

La Corte di appello ha esaminato gli appelli incidentali relativi alla quantificazione delle domande risarcitoria e di regresso formulate dalle D.P., ma non i motivi di appello proposti in merito dal ricorrente e non si è pronunciato sulle relative questioni, di guisa che ricorre sul punto la dedotta nullità.

8.1. Con il nono motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2043,2056 c.c., in relazione al risarcimento del danno riconosciuto a D.P.F., nonchè l’omesso esame di fatti decisivi in relazione alla quantificazione.

8.2. Con il decimo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 147,148,1299,2045 c.c., in relazione alla domanda di regresso di D.P.M.; si lamenta altresì l’omesso esame di un fatto decisivo in ordine alla quantificazione del rimborso in favore di D.P.M..

8.3. I motivi nono e decimo sono assorbiti dall’accoglimento dell’ottavo motivo.

9. In conclusione, va accolto l’ottavo motivo di ricorso, assorbiti i motivi nono e decimo; vanno respinti perchè infondati i motivi primo, secondo, terzo, quarto, quinto, sesto e settimo; la sentenza impugnata va cassata con rinvio della causa alla Corte di appello di Bari in diversa composizione per il riesame e la liquidazione delle spese anche del presente grado.

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

PQM

– Accoglie l’ottavo motivo, assorbiti i motivi nono e decimo, infondati tutti i restanti; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Bari in diversa composizione anche per le spese;

– Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2020

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA