Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28329 del 22/12/2011

Cassazione civile sez. un., 22/12/2011, (ud. 08/11/2011, dep. 22/12/2011), n.28329

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Primo presidente f.f. –

Dott. DE LUCA Michele – Presidente di sez. –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

RAI – RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

DELLE MUSE 8, presso lo STUDIO LEGALE PACE – ASSOCIAZIONE

PROFESSIONALE, rappresentata e difesa dagli avvocati PACE ALESSANDRO,

LAX PIERLUIGI, per delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.F., CODACONS – COORDINAMENTO DELLE ASSOCIAZIONI E DEI

COMITATI DI TUTELA DELL’AMBIENTE E DEI DIRITTI DEGLI UTENTI E DEI

CONSUMATORI, ASSOCIAZIONE UTENTI DEI SERVIZI RADIOTELEVISIVI;

– intimati –

avverso l’ordinanza n. 5808/2010 del Consiglio di Stato, depositata

il 20/12/2010; udito l’avvocato Alessandro PACE;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/11/2011 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale dott.

FEDELI Massimo, il quale chiede che la Corte di cassazione, a sezioni

unite, dichiari la giurisdizione del giudice amministrativo, con le

pronunce di legge.

Fatto

Con ricorso notificato alla RAI – Radiotelevisione Italiana s.p.a. il 20-9-2010 M.F. chiedeva al TAR Lazio di voler “annullare l’impugnato bando” dell’1-9-2010 – con il quale era stata indetta “una selezione riservata a giornalisti professionisti di lingua italiana da utilizzare, per future esigenze, con contratti di lavoro subordinato a tempo determinato in qualità di redattore ordinario, nelle redazioni giornalistiche regionali” delle regioni e province autonome indicate – nella parte in cui richiedeva, tra i requisiti a pena di esclusione, il necessario possesso della residenza nell’ambito delle regioni o province autonome stesse “alla data del 20-7-2010, non prevedendo, quindi, la possibilità, per i giornalisti residenti nel Lazio di spostare la propria residenza in sedi diverse, al fine di poter partecipare alla selezione de qua”.

In particolare il M. lamentava la violazione degli artt. 3, 4 e 120 Cost., la violazione dei principi comunitari in materia di libera circolazione dei beni e delle persone, nonchè l’eccesso di potere per manifesta irragionevolezza, illogicità e contraddittorietà, sotto diversi profili, e, nel contempo, chiedeva, anche ai sensi del D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 56, comma 1, l’adozione di idonee misure cautelari ed in specie l’ammissione con riserva alle prove d’esame.

Con provvedimento del 24-9-2010 veniva accolta provvisoriamente l’istanza di misure cautelari provvisorie, fissandosi per la trattazione collegiale la camera di consiglio del 7-10-2010.

La Rai con memoria depositata il 29-9-2010 si costituiva chiedendo il rigetto dell’avverso ricorso e con separata memoria depositata in pari data chiedeva il rigetto delle misure cautelari, evidenziando, tra l’altro, in via preliminare, il difetto di giurisdizione del TAR. Nelle more con atto notificato alla RAI il 4-10-2010 intervenivano in giudizio il Codacons e l’Associazione Utenti dei Servizi Radiotelevisivi, facendo proprie le ragioni del ricorrente M..

All’esito il TAR. con ordinanza n. 4671 del 22-10-2010, riteneva insussistente la propria giurisdizione.

Nel frattempo il M. aveva adito anche il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma, con ricorso ex art. 700 c.p.c., che veniva rigettato con ordinanza del 22-12-201.

Avverso l’ordinanza del TAR il M. proponeva appello sulla scorta dell’ordinanza n. 5379 del 23-11-2010, emessa dal Consiglio di Stato in un giudizio analogo.

La Rai, il Codacons e la Associazione Utenti dei Servizi Radiotelevisivi si costituivano ed il Consiglio di Stato, con ordinanza n. 5808 del 20-12-2010 accoglieva l’istanza cautelare ai fini della partecipazione del ricorrente alla procedura selettiva.

A seguito di tale ordinanza, affermativa della giurisdizione del giudice amministrativo, la RAI ha proposto “ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione”, con tre motivi, chiedendo che sia dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario con ogni conseguenza di legge.

Il Pubblico Ministero, con le conclusioni scritte ha chiesto dichiararsi la giurisdizione del giudice amministrativo.

Il M., il Codacons e l’Associazione Utenti dei Servizi Radiotelevisivi sono rimasti intimati. Infine la Rai ha depositato memoria.

Diritto

Preliminarmente va rilevata la ammissibilità del ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, così intendendosi il ricorso stesso come riferito alla domanda introduttiva avanzata nel giudizio di merito e non rivolto contro il provvedimento cautelare emesso dal Consiglio di Stato, e ciò sulla base non solo dell’intestazione, ma soprattutto delle chiare conclusioni (“…chiede di regolare la giurisdizione nella presente controversia dichiarando, in accoglimento del presente ricorso, la giurisdizione del giudice ordinario, con ogni conseguenza di legge.. “), al di là delle espressioni impugnazione adottate nella esposizione, considerato, peraltro, che l’emanazione del provvedimento cautelare, ancorchè definitivo, non preclude la proponibilità del regolamento de quo, non essendo ancora intervenuta una decisione nel merito (v.

Cass. S.U. 2-11-2001 n. 14848, cfr. Cass. S.U. 24-4-2002 n. 6040, Cass. S.U. 7-5-2003 n. 6954, Cass. S.U. 2-7-2003 n. 10464, Cass. S.U. 19-5-2004 n. 9532, Cass. S.U. 8-8-2005 n. 16603, Cass. S.U. 31-1-2006 n. 2053).

Con il primo motivo la ricorrente in sostanza deduce la erroneità della qualificazione della “selezione per personale giornalistico 2010” della RAI come “procedura concorsuale”, e la inesistenza nella specie di qualsivoglia situazione giuridica soggettiva in capo al M., in quanto il provvedimento impugnato dinanzi al giudice amministrativo non era un bando di concorso, essendo semplicemente finalizzato alla selezione di un gruppo di persone che la RAI si riservava di assumere o meno, a seconda delle future esigenze aziendali.

Con il secondo motivo la ricorrente rileva la erroneità della qualificazione della s.p.a. RAI come ente equiparato alla pubblica amministrazione, deducendo che la RAI è una società per azioni (D.Lgs. n. 177 del 2005, art. 49) equiparata agli enti pubblici soltanto a determinati fini, e cioè con riguardo alla disciplina degli appalti e alla responsabilità contabile dei funzionari, ma non in relazione alla disciplina dell’organizzazione interna, interamente sottratta al diritto pubblico, ed aggiungendo che la scelta legislativa in favore della natura privatistico societaria della RAI, è stata dettata proprio dall’intento di differenziare la RAI dalle amministrazioni pubbliche, sicchè equiparare la prima alle seconde per via giurisprudenziale costituirebbe una “invasione del merito legislativo”, non consentita all’Autorità Giudiziaria. La ricorrente, inoltre, deduce che:

– la nomina di taluni consiglieri d’amministrazione da parte di una commissione parlamentare non è risolutiva per affermare la natura di ente pubblico della RAI, perchè caratteristica comune a tutte le società per azioni di interesse nazionale;

– l’indisponibilità dello scopo sociale è comune a numerose imprese, ivi comprese quelle indubitabilmente private operanti nel settore radiotelevisivo, le quali non possono avere altro oggetto sociale che l’esercizio dell’attività radiotelevisiva;

– la percezione di fondi pubblici consegue alla scelta originaria, secondo la quale la concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, ancorchè società per azioni, dovesse essere in mano pubblica;

– la sottoposizione ai poteri di vigilanza di un’apposita commissione parlamentare non depone per la natura pubblica dell’ente, ed anzi prescinde dalla forma prescelta per lo stesso;

– il controllo della Corte dei Conti discende dal fatto che la RAI rientra tra gli enti, non necessariamente pubblici, destinatari di contribuzioni ordinarie da parte dello Stato;

– l’obbligo dell’osservanza delle procedure di evidenza pubblica nell’affidamento degli appalti, scaturisce dall’inquadramento a tal fine negli “organismi di diritto pubblico ai sensi della normativa comunitaria in materia, ma non implica affatto la natura pubblica dell’ente.

Con il terzo motivo la ricorrente, deduce che anche le norme generali sul riparto di giurisdizione di cui agli artt. 7 e 133 del Codice del processo amministrativo (D.Lgs. n. 104 del 2010) escludono nella fattispecie la giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto la RAI non è titolare di poteri autoritativi e nell’esercizio della propria attività non emana provvedimenti amministrativi, rilevando altresì che neppure potrebbe dilatarsi “a dismisura” l’ambito applicativo del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 4 in forza della “generalissima disposizione” contenuta nel D.L. n. 112 del 2008, art. 18, comma 2 (conv. con L. n. 133 del 2008), con conseguente “surrettizio ampliamento della giurisdizione” del giudice amministrativo.

In primo luogo, osserva il Collegio che la RAI -Radiotelevisione italiana s.p.a. è designata direttamente dalla legge (vedi ora D.Lgs. 31 luglio 2005, n. 177, art. 49 comma 1 – “T.U. dei servizi di media audiovisivi e radiofonici” -, e già L. 3 maggio 2004, n. 112, art. 20, comma 1) quale concessionaria (fino al 6-5-2016) del “servizio pubblico generale radiotelevisivo” (in precedenza sulla “natura” di s.p.a. “di interesse nazionale ex art. 2461 c.c.” (ora art. 2451 c.c.) della società concessionaria v. L. n. 206 del 1993, art. 1 e sulla previsione della concessione “ad una società per azioni a totale partecipazione pubblica” v. L. n. 223 del 1990, art. 2, comma 2 e, prima ancora, L. n. 103 del 1975, art. 3; da ultimo, invece, sulla previsione dell’avvio del processo di “dismissione della partecipazione dello Stato” v. L. n. 112 de 2004, art. 21 richiamato nell’art. 49, comma 13).

Il comma 2, poi, del citato articolo 49 del T.U. stabilisce espressamente che “per quanto non sia diversamente previsto dal presente testo unico la Rai Radiotelevisione s.p.a. è assoggettata alla disciplina generale delle società per azioni, anche per quanto concerne l’organizzazione e l’amministrazione”.

La RAI è quindi una società per azioni per volontà stessa del legislatore (che peraltro con la L. n. 112 del 2004, art. 21 ha previsto anche la incorporazione della “Rai-Radiotelevisione italiana s.p.a.” nella RAI-Holding s.p.a.” nonchè, “per l’effetto”, la assunzione da parte della incorporante della denominazione sociale di “RAI- Radiotelevisione italiana s.p.a.”) e, seppure soggetta ad una disciplina particolare per determinati aspetti ed a determinati tini, riguardanti anche la giurisdizione, chiaramente dettata da interessi di natura pubblica, per tutto quanto non diversamente previsto non può che essere regolata secondo il regime generale delle società per azioni.

In particolare va premesso che il T.U. citato, all’art. 7 chiarisce che la RAI è “la società concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo” istituita “al fine di favorire l’istruzione, la crescita civile e il progresso sociale, di promuovere la lingua italiana e la cultura, di salvaguardare l’identità nazionale e di assicurare prestazioni di utilità sociale”, con il contributo pubblico da essa percepito, costituito dal canone versato dagli utenti, che “è utilizzabile esclusivamente ai fini dell’adempimento dei compiti di servizio pubblico generale affidati alla stessà” (all’uopo l’art. 47 dello stesso T.U. prevede la tenuta di “una contabilità separata” e il divieto di “utilizzare, direttamente o indirettamente, i ricavi derivanti dal canone per finanziare attività non inerenti al servizio pubblico” – in tal senso v. già L. n. 112 del 2004, art. 18).

La norma, peraltro, precisa che l’informazione radiotelevisiva di qualsiasi emittente costituisce comunque un “servizio di interesse generale”.

L’art. 49 disciplina gli organi, i relativi poteri e le relative nomine, stabilendo tra l’altro che spetta alla Commissione parlamentare di vigilanza il potere di nominare i sette noni del consiglio di amministrazione “fino a che il numero delle azioni alienate non superi la quota del 10 per cento del capitale”.

La RAI è poi sottoposta a penetranti poteri di vigilanza da parte della detta Commissione parlamentare (art. 50) e alla verifica dell’adempimento dei compiti affidata all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (art. 48), nonchè al controllo della Corte dei Conti (ai sensi della L. n. 259 del 1958, art. 2, trattandosi di ente “cui lo stato contribuisce in via ordinaria” e, dal 2010, a seguito del D.P.C.M. 10 marzo 2010, ai sensi dell’art. 12 della stessa legge, configurandosi, con riguardo alla intervenuta recente fusione sopra richiamata, la fattispecie tipica dell’apporto statale al patrimonio in capitale).

In tale quadro, poi, è stato precisato da questa Corte che “poichè la RAI è un’impresa pubblica (sotto forma societaria, in cui lo Stato ha una partecipazione rilevante) operante nel settore dei “servizi” pubblici di telecomunicazioni radio e televisive in concessione, assoggettata ai poteri di vigilanza e di nomina da parte dello Stato e costituita per soddisfare finalità di interesse generale, essa deve essere qualificata come “organismo di diritto pubblico” tenuto ad osservare le norme comunitarie di evidenza pubblica, nonchè le rispettive norme interne attuative, per la scelta dei propri contraenti in tutti gli appalti di valore eccedente le soglie indicate per i servizi di cui al D.Lgs. n. 158 del 1995, art. 7 (ad eccezione delle soie procedure per l’aggiudicazione di appalti che siano relativi specificamente a servizi di radiodiffusione e televisione – settore “escluso” dalla Direttiva 92/50/CEE del 18 giugno 1992)”, con le relative conseguenze in ordine alla giurisdizione esclusiva de giudice amministrativo ai sensi del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 33, lett. d) come sostituito dalla L. n. 205 del 2000, art. 7, comma 1, lett. a). (v. Cass. S.U. 23-4-2008 n. 10443).

Nello stesso quadro, infine, pur sempre delimitato, va collocata la affermazione della sostanziale “assimilabilità” della RAI ad un “ente pubblico” al fine della qualificabilità come danno erariale del danno cagionato dai suoi agenti e della conseguente loro assoggettabilità all’azione di responsabilità amministrativa davanti al giudice contabile, peraltro connessa al controllo ex L. n. 259 del 1958 al quale è assoggettata (v. Cass. S.U. 22-12-2009 n. 27092).

Orbene, tali aspetti particolari, costituiscono pur sempre dei segmenti speciali di una disciplina che, comunque, per tutto quanto non diversamente disposto si rifà al regime proprio delle società per azioni. Del resto la espressa configurazione per legge in tal senso non potrebbe di certo assumere una valenza assolutamente “neutrale”.

In conclusione la RAI-Radiotelevisione Italiana, anche se fortemente caratterizzata dagli evidenziati peculiari aspetti e tuttora in mano pubblica, resta pur sempre una società per azioni, e ciò deve vieppiù affermarsi a seguito della L. n. 112 del 2004 e del T.U. n. 177 del 2005 (in precedenza sulla natura privatistica della RAI v.

fra le altre Cass. S.U. 26-11-1996 n. 10490, Cass. 13-8-2002 n. 12200).

Sulla base di tale premessa deve quindi escludersi che, con riferimento alla stessa, possa applicarsi la riserva della giurisdizione del giudice amministrativo, “in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni”, di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 4.

La RAI, infatti, non è in alcun modo annoverabile tra le pubbliche amministrazioni indicate nello stesso D.Lgs., art. 1, comma 2.

Nè all’uopo potrebbe invocarsi P ampia espressione contenuta nell’art. 7 comma 2 del Codice del processo amministrativo, D.Lgs. n. 104 del 2010 (“Per pubbliche amministrazioni, ai fini del presente codice, si intendono anche i soggetti ad esse equiparati o comunque tenuti al rispetto dei principi del procedimento amministrativo”). Il detto articolo, infatti, come si legge nella Relazione trasmessa dal Governo al Senato, “definisce la giurisdizione del giudice amministrativo in ossequio alle norme costituzionali e ai noti principi dettati dalla Corte Costituzionale, in particolare nelle sentenze nn. 204 del e 2004 e 191 del 2006. In applicazioni di tali regole e principi la giurisdizione amministrativa è strettamente connessa all’esercizio (o al mancato esercizio) del potere amministrativo e in tale ambito rientrano in essa le controversie concernenti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente a detto potere. L’art. 7 costituisce una clausola generale tesa a spiegare la rado delle diverse ipotesi di giurisdizione amministrativa in termini unitari”.

In definitiva ciò che è comunque essenziale è la riconducibilità dell’atto, del provvedimento o del comportamento all’esercizio di un pubblico potere (cfr. C. Cost. n. 191 del 2006, n. 35 del 2010), esercizio che è del tutto assente in capo alla RAI. Alla luce, quindi, di quanto espresso nella richiamata Relazione, deve escludersi qualsiasi incidenza innovativa dell’art. 7, comma 2 citato sulla estensione della giurisdizione amministrativa nella materia delle procedure concorsuali come prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 4 tanto meno in combinato disposto con il D.L. n. 112 del 2008, art. 18, comma 2 conv. con L. n. 133 del 2008 (“Le altre società a partecipazione pubblica totale o di controllo adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità”).

In primo luogo l’art. 7, comma 2 citato non contiene alcun rinvio all’art. 18, comma 2 citato, con la conseguenza che tale ultima disposizione di natura chiaramente sostanziale non può assumere di per sè alcuna rilevanza processuale, tanto meno al fine di un allargamento della giurisdizione del giudice amministrativo prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 4.

L’obbligo, poi, di adottare i detti “criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi”, si inserisce pur sempre nel l’agire (jure privatorum) della società, senza comportare esercizi di pubbliche potestà e senza incidere sulla giurisdizione.

Inoltre non può ignorarsi che la riserva della giurisdizione del giudice amministrativo in materia di procedure concorsuali, D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 63, comma 4, presuppone la finalità della instaurazione di un rapporto di lavoro pubblico, seppure contrattualizzato, alle dipendenze di una pubblica amministrazione e non può affatto configurarsi in funzione della insorgenza di un rapporto di lavoro privato alle dipendenze di una società per azioni.

Infine, con riferimento alla fattispecie in esame, neppure può trascurarsi che la selezione de qua (“riservata a giornalisti professionisti di lingua italiana da utilizzare, per future esigenze, con contratti di lavoro subordinato a tempo determinato in qualità di redattore ordinario, nelle redazioni giornalistiche regionali” delle regioni e province autonome indicate) non ha ad oggetto, in via immediata, l’assunzione di giornalisti, ma solo l’individuazione di un gruppo di giornalisti idonei in vista di future assunzioni, di guisa che anche sotto tale profilo non potrebbe invocarsi il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 4 (per un’ipotesi analoga v. Cass. 13- 8-2002 n. 12200 cit.).

In conclusione, sul regolamento preventivo di giurisdizione proposto, nella controversia in esame va dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario.

Infine in considerazione della complessità e della novità delle questioni trattate, le spese del presente giudizio vanno compensate tra le parti.

P.Q.M.

La Corte pronunciando sul ricorso, dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, compensa le spese e rimette le parti davanti al tribunale civile.

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2011

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