Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28324 del 11/12/2020

Cassazione civile sez. I, 11/12/2020, (ud. 13/10/2020, dep. 11/12/2020), n.28324

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16115/2019 proposto da:

S.A.A., elettivamente domiciliato in Roma, piazza Cavour,

presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione,

rappresentato e difeso dall’avvocato Claudio Paolone, giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/10/2020 da Dott. FALABELLA MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Napoli del 24 aprile 2019. Con quest’ultima pronuncia è stato negato che a S.A.A., originario del (OMISSIS), potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato; con lo stesso provvedimento è stato altresì escluso che il predetto potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su tre motivi. Il Ministero dell’interno resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – I motivi di impugnazione sono i seguenti.

Primo motivo: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 6, 7 8, art. 14, lett. b) e lett. c) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3. Secondo il ricorrente esistevano fondati e seri motivi per ritenere che nel caso di rimpatrio egli sarebbe stato esposto al rischio di un danno grave, correlato a trattamenti inumani e degradanti: è spiegato che in Ghana non è assicurato il rispetto dei diritti dei detenuti ed è paventato il timore che in caso di rimpatrio lo stesso istante venga perseguito penalmente per l’incendio doloso di una moschea. Il ricorrente censura, poi, il giudizio di non credibilità espresso dal Tribunale con riferimento alla vicenda da lui narrata, incentrata sugli scontri tra musulmani e cristiani che sarebbero scoppiati nella propria città per via di un diverbio insorto con riguardo allo sconfinamento di un muro eretto dai primi su di un fondo che apparteneva ai secondi.

Secondo motivo: violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Secondo il ricorrente, il Tribunale aveva omesso di valutare la sussistenza delle condizioni di vulnerabilità riferite alla sua persona alla luce della particolare situazione prospettata nel ricorso e alla propria condizione di ricercato dalla polizia.

Terzo motivo: vizi di motivazione; contraddittorietà e illogicità; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio. L’istante si duole che il Tribunale abbia in sostanza mancato di apprezzare l’esistenza delle ragioni di carattere umanitario sulla base del giudizio di non credibilità della propria narrazione; osserva come il giudice del merito avrebbe dovuto invece procedere a un “giusto bilanciamento tra il concreto pericolo in caso di rientro”, dato dai trattamenti inumani e degradanti cui potrebbe essere sottoposto in carcere, “con la raggiunta integrazione socio-lavorativa (…) in Italia”.

2. – Il ricorso è da rigettare.

Il primo motivo è infondato.

Il Tribunale ha ritenuto la narrazione del richiedente non credibile, avendo riguardo ai criteri di giudizio posti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Ha osservato, in particolare, che il ricorrente, in sede giurisdizionale, aveva circostanziato temporalmente i fatti narrati contraddicendo la precedente versione fornita avanti alla Commissione territoriale; ha rilevato, inoltre, che gli scontri tra le opposte fazioni religiose risultavano essere avvenuti il 10 febbraio 2016, secondo quanto attestato dalle diverse fonti consultate, e che l’istante aveva invece dichiarato al Tribunale che essi ebbero luogo il 15 febbraio dello stesso anno: onde ha ritenuto ragionevole credere che il richiedente “non sia mai stato coinvolto in quei disordini che, probabilmente, ha ripetuto senza esserne mai stato compartecipe e testimone diretto”.

Ciò posto, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340). Ebbene, il ricorrente non ha sollevato alcuna di tali censure ma ha formulato rilievi con cui è genericamente deplorato il giudizio di non credibilità espresso dal giudice del merito: nel corpo del motivo si è infatti limitato a contestare le contraddizioni in cui, ad avviso del Tribunale, egli sarebbe incorso, opponendo la coerenza della propria narrazione con riguardo agli eventi occorsi e alle motivazioni che lo avevano spinto a fuggire dal paese di origine.

D’altro canto, “la riferibilità soggettiva e individuale del rischio di subire persecuzioni o danni gravi rappresenta un elemento costitutivo del rifugio politico e della protezione sussidiaria dell’art. 14, ex lett. a) e b), escluso il quale dal punto di vista dell’attendibilità soggettiva, non può riconoscersi il relativo status” (Cass. 17 giugno 2018, n. 16925, in motivazione). In altri termini, ove vengano in questione le ipotesi del rifugio politico e della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e lett. b), in cui rileva, se pure in diverso grado, la personalizzazione del rischio oggetto di accertamento (cfr. Cass. 20 marzo 2014, n. 6503; Cass. 20 giugno 2018, n. 16275; cfr. pure Cass. 19 giugno 2020, n. 11936), non vi è ragione di attivare poteri di istruzione officiosa finalizzati alla verifica di fatti, situazioni, o condizioni giuridiche che, in ragione della non credibilità della narrazione del richiedente, devono reputarsi estranei alla vicenda personale di questo.

Nemmeno il secondo e il terzo motivo possono accogliersi.

Occorre considerare che i criteri posti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, trovano applicazione anche in tema di protezione umanitaria (Cass. 24 settembre 2012, n. 16221), con questa precisazione: la scarsa credibilità della narrazione del richiedente in relazione alla specifica situazione prospettata ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato o la protezione sussidiaria non ha efficacia preclusiva sulla valutazione delle diverse circostanze che denotano una situazione di “vulnerabilità” quale presupposto della protezione umanitaria (Cass. 21 aprile 2020, n. 8020; Cass. 18 aprile 2019, n. 10922). Nondimeno, nella presente fattispecie, l’istante non assume di aver posto a fondamento della propria domanda, e quindi allegato, fatti specifici diversi e ulteriori da quelli presi in considerazione dal Tribunale per il vaglio delle domande aventi ad oggetto le forme di protezione “maggiori”: onde la conclusione cui è pervenuto il giudice del merito con riguardo alla ritenuta insussistenza delle condizioni per il rilascio del permesso umanitario si rivela corretta. Nè può attribuirsi rilievo esclusivo ad aspetti della vita del ricorrente che siano indicativi del suo inserimento nel tessuto sociale del nostro paese: e ciò perchè non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia (Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29459, cit.; Cass. 28 giugno 2018, n. 17072).

Con riguardo all’accertamento circa l’insussistenza delle ragioni poste alla base della domanda di protezione umanitaria la pronuncia impugnata non risulta affetta da un radicale vizio motivazionale (nei termini chiariti da Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054), nè viziata per l’omesso esame di un fatto decisivo: fatto che non può consistere nella generale situazione del paese di provenienza, visto che la situazione di vulnerabilità che fonda la richiesta forma di protezione deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, cit., in motivazione; Cass. 2 aprile 2019, n. 9304; cfr. pure la recente Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29459, sempre in motivazione). L’affermazione per cui i detenuti, nel Ghana, sarebbero soggetti a trattamenti inumani e degradanti non può del resto rilevare ai fini che interessano, in assenza di una vicenda personale, reputata credibile, che sia in grado di individualizzare il timore espresso dal richiedente e dare così concretezza alla paventata esposizione a rischio in caso di suo rimpatrio.

3. – Le spese di giudizio seguono la soccombenza.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 2.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2020

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