Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28320 del 22/12/2011

Cassazione civile sez. III, 22/12/2011, (ud. 02/12/2011, dep. 22/12/2011), n.28320

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. SEGRETO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.F. (OMISSIS), I.V.

(OMISSIS), I.R. (OMISSIS), I.

A. (OMISSIS), IE.RO. (OMISSIS),

N.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in

ROMA, PIAZZALE DELLE BELLE ARTI 8, presso lo studio dell’avvocato

PELLICANO’ ANTONINO, che li rappresenta e difende giusta delega in

atti;

– ricorrenti –

contro

C.G.M. (OMISSIS) in proprio e nella qualità

di procuratrice di C.A.A.L., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DEL VIGNOLA 11, presso lo studio

dell’avvocato MARSAGLIA ALBERTO, rappresentato e difeso dall’avvocato

MESSINO’ ANGELA giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 109/2008 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 08/04/2008, R.G.N. 208/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/12/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO SEGRETO;

udito l’Avvocato ANTONINO PELLICANO’;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

POLICASTRO Aldo che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.G.M., in proprio e quale procuratrice di C. A.A.L., conveniva davanti alla sez. spec. agraria del tribunale di Locri I.A., G., Gi., F., Ro. e M.M.R., tutti quali eredi di I.V.R. e premesso che esse ricorrenti erano proprietarie per successione di C.G. di un terreno in agro di (OMISSIS), condotto in colonia dai convenuti in base al quale contratto essi avrebbero dovuto corrispondere 1/5 del prodotto, da tramutarsi in denaro; che i convenuti si rendevano inadempienti alla prestazione di tale corrispettivo nel 1994, mentre per il 1989 erano parzialmente inadempienti; che esse avevano contestato tali inadempimenti ed in ogni caso avevano intimato il rilascio del terreno alla scadenza del contratto ai sensi della L. n. 203 del 1982, art. 34, lett. a)non essendo stato convertito il contratto, le ricorrenti chiedevano che la sez. spec. agraria dichiarasse risolto il rapporto perchè scaduto ex art. 34 cit. e per inadempimento, ordinando il rilascio del terreno e la condanna al pagamento degli importi non corrisposti.

Si costituivano i convenuti che resistevano alla domanda e chiedevano, in riconvenzionale, il pagamento dell’indennità per miglioramenti apportati al fondo e costituiti dalla piantagione di 420 piante di ulivo e 2500 piante di vite.

Il tribunale con sentenza del 23.10.2001 accoglieva il ricorso e dichiarava scaduto il contratto il 10.11.1989, ordinava il rilascio del fondo e dichiarava inammissibile la riconvenzionale per mancanza del tentativo di conciliazione davanti all’IPA, a norma della L. n. 203 del 1982, art. 46.

Avverso questa sentenza hanno proposto appello i convenuti. La sez. spec. agraria della Corte di appello di Reggio Calabria, con sentenza depositata l’8.4.2008, rigettava l’appello. Avverso questa sentenza i convenuti hanno proposto ricorso per cassazione, che hanno anche presentato memoria.

Resistono con controricorso C.M.G., in proprio e quale procuratrice di C.A.A.L..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1.Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 101 c.p.c. e la carenza assoluta di motivazione.

Il motivo si conclude con i seguenti quesiti: “Dica la S.C. se, in riferimento al principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., il potere del giudice di qualificare la domanda attrice trovi o meno un limite nella prospettazione dei fatti proposta dalla parte, con la conseguenza che il giudice è vincolato a trarre dai fatti esposti l’effetto giuridico demandato”. “Dica la s.c. se realizza o meno violazione del principio del contraddittorio di cui all’art. 101 c.p.c. il giudice che ritiene di decidere la causa in base a questione rilevata d’ufficio senza averla previamente sottoposta alle parti al fine di provocarne sulla stessa il contraddittorio.”.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano l’illegittimità per violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in combinato disposto con gli artt. 2697 e 2729 c.c. ed il vizio di motivazione.

Il motivo si conclude con i seguenti quesiti: “Dica la S.C. se, dal combinato disposto degli artt. 2697 e 2729 c.c. con artt. 115 e 116 c.p.c., discende che l’ordinamento processuale, caratterizzato dall’iniziativa di parte e dall’obbligo del giudice di rendere la propria pronunzia nei limiti delle domande delle parti, impone che al giudice sia inibito trarre dai documenti in atti deduzioni non specificate nelle domande o, comunque, non sollecitate dalla parte”.

“Dica la S.C. se incorre in violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in combinato disposto con artt. 2729 e 2697 c.c., il giudice allorchè, in presenza di fatti pacifici in quanto non contestati dalle parti, ritenga tali fatti indimostrati per assenza di specifico mezzo di prova.”.

1.3. Con il quarto motivo di ricorso i ricorrenti lamentano l’illegittimità per carenza assoluta di motivazione, motivazione apparente e motivazione contraddittoria e/o erronea.

2. Ritiene questa Corte che i suddetti 3 motivi sono inammissibili per mancato rispetto del dettato di cui all’art. 366 bis c.p.c., applicabile alla fattispecie per essere stata la sentenza impugnata pubblicata anteriormente all’entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69.

Ai ricorsi proposti contro sentenze pubblicate a partire dal 2.3.2006, data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006, si applicano le disposizioni dettate nello stesso decreto al capo 1^.

Secondo l’art. 366-bis c.p.c. – introdotto dall’art. 6 del decreto i motivi di ricorso debbono essere formulati, a pena di inammissibilità, nel modo descritto e, in particolare, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3, 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, mentre nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea giustificare la decisione.

Il quesito di cui all’art. 366-bis c.p.c., rappresentando la congiunzione fra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio generale, non può esaurirsi nella mera enunciazione di una regola astratta, ma deve presentare uno specifico collegamento con la fattispecie concreta, nel senso che deve raccordare la prima alla seconda ed alla decisione impugnata, di cui deve indicare la discrasia con riferimento alle specifiche premesse di fatto, essendo evidente che una medesima affermazione può essere esatta in relazione a determinati presupposti ed errata rispetto ad altri. Deve pertanto ritenersi inammissibile il ricorso che contenga quesiti di carattere generale ed astratto, privi di qualunque indicazione sul tipo della controversia, sugli argomenti addotti dal giudice “a quo” e sulle ragioni per le quali non dovrebbero essere condivisi (Cass. civ., Sez. Unite, 14/01/2009, n. 565).

Segnatamente nel caso previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. S.U. 1.10.2007, n. 20603; Cass. 18.7.2007, n. 16002).

3. Nella fattispecie la formulazione dei motivi per cui è chiesta la cassazione della sentenza non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366 bis c.p.c., poichè i quesiti di diritto sono astratti e senza riferimento specifico al caso concreto e senza indicazione con riferimento alla fattispecie in esame della regola iuris errata da sostituire con quella esatta, nè alcuno dei motivi relativi ai vizi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 contiene una specifica parte (di sintesi) destinata alla chiara indicazione del fatto controverso ed all’illustrazione delle ragioni che rendono inidonea la motivazione (in quanto insufficiente, contraddittoria o omessa) a giustificare la decisione (cfr. Cass. S.U. 16.11.2007, n. 23730)”.

4. Con il terzo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano l’illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c..

I convenuti inoltre censurano l’impugnata sentenza per aver dichiarato improponibile la domanda riconvenzionale per mancanza di tentativo di conciliazione, mentre questo non era necessario, poichè il tentativo di conciliazione anche ai fini della riconvenzionale avvenne nel corso di quello esperito davanti all’IPA le attrici concedenti.

In ogni caso, secondo i ricorrenti, la sentenza impugnata avrebbe violato l’art. 412 bis c.p.c. nel dichiarare l’improponibilità della riconvenzionale, mentre, secondo la predetta norma, il giudice avrebbe dovuto sospendere il giudizio e concedere un termine per tale esperimento della conciliazione.

Inoltre i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 112 c.p.c. da parte della sentenza impugnata per non essersi pronunziata sull’atto stragiudiziale dichiaratorio e potestativo delle locatrici.

Infine i ricorrenti censurano la sentenza per vizio motivazionale relativamente ai punti suddetti.

5.1. Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.

Quanto alla censura, secondo cui erroneamente era stata dichiarata inammissibile la domanda riconvenzionale per mancato preventivo tentativo di conciliazione, mentre questo era avvenuto nel corso del tentativo di conciliazione esperito dall’attrice, va osservato che in linea di principio è vero che in materia agraria la domanda riconvenzionale, al pari di quella proposta dall’attore, deve essere preceduta dal tentativo di conciliazione di cui alla L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 46 e che, in mancanza, deve essere dichiarata improponibile. Tuttavia, non sussiste la necessità di tale preventivo tentativo qualora il convenuto abbia già dedotto le relative richieste nella procedura di conciliazione sperimentata dall’attore (Sentenza n. 23816 del 16/11/2007).

5.2. Nella fattispecie la censura è inammissibile, poichè dal ricorso non risulta specificato se e dove i ricorrenti abbiano depositato tale verbale del tentativo di conciliazione. Infatti, come statuito dalle S.U. di questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, a seguito della riforma ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, il novellato art. 366 c.p.c., comma 6, oltre a richiedere la “specifica” indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto. Tale specifica indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità (Cass. civ., Sez. Unite, 02/12/2008, n. 28547).

5.3.In ogni caso la censura è anche infondata. Infatti nella fattispecie dal verbale del tentativo di conciliazione instaurato dall’attrice, quale risulta trascritto nel ricorso dai ricorrenti, come avvenuto in data 13.11.2000, non risulta che i convenuti avanzarono richieste attinenti all’indennizzo per miglioramenti. Nè alcuna rilevanza a questi fini ha l’atto stragiudiziale inoltrato dall’attrice e non dai convenuti del 22.9.1989.

6.1.Quanto alla pretesa violazione dell’art. 412 bis c.p.c., la censura è infondata.

Va, anzitutto, osservato che in materia agraria il tentativo di conciliazione deve essere sempre preventivo, attivato cioè prima dell’inizio di qualsiasi controversia agraria, atteso che la norma di cui alla L. n. 203 del 1982, art. 46 inderogabile e imperativa, non consente che il filtro del tentativo di conciliazione possa essere posto in essere successivamente alla domanda giudiziale. Ne consegue che l’esperimento preventivo del tentativo di conciliazione, di cui al citato articolo, costituisce condizione di proponibilità della domanda, la cui mancanza (rilevabile anche d’ufficio nel corso del giudizio di merito) comporta la definizione della causa con sentenza dichiarativa di improponibilità (Cass. n. 19436 del 15/07/2008).

Diversamente nella materia lavoristica, alla stregua di quanto stabilito dall’art. 412-bis cod. proc. civ., l’esperimento del tentativo di conciliazione integra una condizione di procedibilità e la sua mancanza una improcedibilità “sui generis”, avuto riguardo al regime della sua rilevabilità ed all’iter successivo a siffatto rilievo. Ne consegue che l’art. 412-bis cod. proc. civ., anche se successivo all’anzidetto art. 46 (siccome introdotto dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 39), giacchè reca una disciplina peculiare del processo del lavoro, non può trovare applicazione nel processo agrario, il quale mantiene inalterata la propria diversa ed autonoma regolamentazione positiva dettata dal citato art. 46 (Cass. n. 2046 del 29/01/2010).

7. Quanto alla censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 di omessa pronunzia su un motivo di appello specificamente formulato, e quindi, in violazione dell’art. 112 c.p.c., la stessa è inammissibile per mancata formulazione del quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c..

Il motivo di ricorso per cassazione con cui si denuncia la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. da parte del giudice di merito, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), deve essere concluso in ogni caso con la formulazione di un quesito di diritto ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c. (Cass. n. 4329/2009; n. 4146/2011; n. 1310/2010).

8. La censura di vizio motivazionale è invece inammissibile per mancanza del momento di sintesi, in violazione dell’art. 366 bis c.p.c., nell’interpretazione datane da questa Corte e sopra menzionata.

9. Il ricorso va, pertanto, rigettato ed i ricorrenti vanno condannati alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione sostenute dalle resistenti e liquidate in complessivi Euro 3200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2011

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