Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28314 del 22/12/2011

Cassazione civile sez. III, 22/12/2011, (ud. 24/11/2011, dep. 22/12/2011), n.28314

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.M., P.S. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZALE DON MINZONI 9, presso lo

studio dell’avvocato MARTUCCELLI CARLO, che li rappresenta e difende

giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

BANCA SICILIA SPA, (OMISSIS), in persona dell’Avv. G.

M. – quale rappresentante del Banco stesso, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA FONTANELLA BORGHESE 72, presso lo studio

dell’avvocato VOLTAGGIO ANTONIO, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati VOLTAGGIO PAOLO, VOLTAGGIO FRANCESCO giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 588/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 02/02/2006; R.G.N. 10356/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/11/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato CARLO MARTUCELLI;

udito l’Avvocato FRANCESCO VOLTAGGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

POLICASTRO Aldo che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Banco di Sicilia s.p.a. interpose appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma con la quale era stata accolta la domanda proposta nei suoi confronti da P.S. e B.M. per sentire accertare la responsabilità della banca e, conseguentemente, per sentire condannare parte convenuta al risarcimento dei danni da loro sofferti a seguito del furto perpetrato da ignoti ladri, tra il (OMISSIS), nel caveau dell’agenzia n. (OMISSIS) del Banco di Sicilia di (OMISSIS), in occasione del quale era stato asportato il contenuto di centinaia di cassette di sicurezza, tra cui anche quella della quale erano titolari gli attori, e nella quale erano custoditi oggetti preziosi di loro proprietà; il Tribunale aveva condannato l’istituto di credito al risarcimento dei danni sofferti dagli attori stimati in Euro 89.088,88 ed al rimborso delle spese di giudizio.

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza pubblicata il 2 febbraio 2006, ha accolto l’appello, ed, in riforma dell’impugnata sentenza, ha accertato la responsabilità per colpa lieve del Banco di Sicilia s.p.a. in relazione all’evento per cui è causa e, per l’effetto, lo ha condannato al pagamento, in favore degli appellati, della somma di Euro 516,46, oltre interessi legali dalla domanda al saldo;

ha compensato interamente tra le parti le spese dei due gradi.

Avverso questa sentenza P.S. e B.M. propongono ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, illustrati da memoria. L’intimata Banco di Sicilia s.p.a. resiste con controricorso, illustrato da memoria depositata da Unicredit S.p.A., incorporante il Banco di Sicilia s.p.a. a seguito di atto di fusione intervenuto nelle more del presente giudizio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Vanno trattati congiuntamente il primo motivo ed il primo profilo del secondo motivo di ricorso, perchè pongono questioni di diritto connesse.

Col primo motivo di ricorso è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1229, 1839, 2697 cod. civ. (in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3), sostenendo i ricorrenti che la Corte d’Appello, pur avendo dato una corretta interpretazione dell’art. 1229 cod. civ., avrebbe tratto errate conclusioni dal coordinamento di tale norma con gli artt. 1218, 1176, 1839 e 2697 cod. civ., facendo gravare sul cliente, danneggiato dal furto, l’onere della prova che l’evento si è verificato per il concorso di colpa grave della banca ed avendo perciò affermato che il cliente avrebbe l’onere di allegare e provare che l’evento si sarebbe potuto evitare con la predisposizione di maggiori presidi a tutela delle cassette di sicurezza, adottabili in relazione alle capacità organizzative e finanziarie per cui la banca deve essere attrezzata.

Deducono i ricorrenti che, avendo spiegato un’azione contrattuale fondata sul rapporto disciplinato dall’art. 1839 cod. civ., in ragione del quale la banca non risponde soltanto per caso fortuito, una volta verificatosi l’inadempimento, l’onere della prova in ordine ai fatti impeditivi o modificativi del diritto fatto valere dalla parte adempiente spetterebbe, ai sensi dell’art. 2697 cod. civ., esclusivamente al convenuto inadempiente; pertanto, secondo i ricorrenti, la banca avrebbe l’onere di fornire la prova “della idoneità e della custodia dei locali” e, soltanto ove positivamente adempiuto tale onere, dovrebbe ancora fornire la prova del “caso fortuito” e dell’evento inevitabile.

1.1.- Con il primo profilo del secondo motivo di diritto è denunciata violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1176 c.c., comma 2, degli artt. 1218 e 1229 c.c. in relazione agli artt. 1453 e 1455 cod. civ., all’art. 1839 cod. civ. e al D.Lgs. n. 385 del 1996, art. 14 (in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3), sostenendo i ricorrenti che la Corte d’Appello, muovendo dall’errato principio di diritto di cui sopra, avrebbe finito per violare ulteriori principi di diritto nel momento in cui è passata ad esaminare i profili di colpa del bonus argentarius, prescindendo dalla presunzione di responsabilità sancita a carico della banca dall’art. 1176 c.c., comma 2, e art. 1218 cod. civ. Deducono i ricorrenti che, consistendo le prestazioni della banca dedotte nel contratto ex art. 1839 cod. civ. essenzialmente in un facere avente come esclusivo termine di riferimento i locali (e non il contenuto delle cassette di sicurezza), le modalità di esecuzione di tale facere dovrebbero corrispondere alla professionalità del bonus argentarius, richiedendosi un massimo grado di diligenza nella predisposizione dei mezzi idonei rispetto agli eventi pregiudizievoli comunque prevedibili, poichè la valutazione della colpa dell’inadempimento non può prescindere dalla causa e dall’oggetto del contratto;

pertanto, secondo i ricorrenti, qualsiasi violazione di obbligazioni principali impegnerebbe in ogni caso la responsabilità per colpa grave e mai per colpa lieve; con la conseguenza che, nel caso di specie, il coacervo di manchevolezze mostrato nella sicurezza della custodia dall’agenzia (OMISSIS) del Banco di Sicilia non avrebbe mai potuto costituire colpa lieve, come detto nella sentenza impugnata, integrando invece gli estremi della colpa gravissima.

2.- Il primo motivo di ricorso coglie parzialmente nel segno quanto alla critica all’affermazione di principio contenuta nella sentenza impugnata secondo cui, in caso di clausola di esonero dalla responsabilità disciplinata dall’art. 1229 cod. civ. (presente nel caso di specie), l’onere della prova della colpa grave della banca graverebbe sul cliente; esso è invece infondato quanto all’affermazione dell’esonero da responsabilità della banca sempre e soltanto per caso fortuito. Peraltro, considerata la vera e propria ratio decidendi della sentenza impugnata (della quale si dice appresso), comporta soltanto la necessità di una correzione parziale della motivazione ex art. 384 c.p.c., u.c..

2.1.- Va infatti ribadito il principio espresso in motivazione da Cass. n. 7081/05 per il quale l’art. 1229 cod. civ. va coordinato con l’art. 1218, che è norma generale del regime processuale della responsabilità contrattuale, in forza della quale la regola della presunzione della responsabilità non trova motivo di essere derogata, in difetto di norme scritte o di ragioni giustificative di una interpretazione dell’art. 1229 cod. civ. di segno contrario.

La conseguenza non può che essere che incombe sempre sul debitore inadempiente, vale a dire sull’istituto di credito, nel caso di sottrazione di beni custoditi nella cassetta di sicurezza a seguito di furto, l’onere di provare che l’inadempimento dell’obbligazione di custodia è ascrivibile ad impossibilità della prestazione ad esso non imputabile (cfr., oltre a Cass. n. 7081/05, anche Cass. n. 23412/09 e Cass. n. 19363/11). In tal senso va pertanto corretta la contraria affermazione della sentenza impugnata, sopra testualmente riportata.

2.2.- Richiamati i detti principi, risultano comunque superate le considerazioni dei ricorrenti circa la portata della responsabilità ai sensi del testo dell’art. 1839 cod. civ., atteso che proprio la presenza della clausola di esonero dalla responsabilità comporta una deroga al regime della responsabilità come configurato dalla norma richiamata dai ricorrenti -per la quale effettivamente la banca sarebbe inadempiente alla propria obbligazione e quindi responsabile per il solo fatto di non aver impedito la manomissione e/o l’alterazione dell’integrità della cassetta; si libererebbe soltanto dando la prova del caso fortuito; il furto, per di più, non integrerebbe, di per sè, caso fortuito, in quanto evento prevedibile in considerazione della prestazione dedotta in contratto (cfr. Cass. n. 7081/05 e n. 23412/09 cit.). In deroga a siffatta previsione, una clausola, quale quella presente nel contratto de quo che dispone che l’uso delle cassette è concesso per la custodia di cose di valore complessivo non superiore ad un certo limite e che comporta l’obbligo dell’utente di non conservare nella cassetta medesima cose aventi nel complesso valore superiore a detto importo, in correlazione con l’altra che, in caso di risarcimento del danno verso l’utente, impone di tener conto della clausola precedentemente indicata, si qualifica come attinente alla limitazione della responsabilità e produce le conseguenze già evidenziate dalla sentenza impugnata, che ha richiamato principi oramai consolidati (quanto meno a far data dall’intervento a Sezioni Unite di cui al precedente n. 6225/94, al quale sono seguite, tra le altre, Cass. n. 1355/98, n. 3562/99, n. 9640/99, n. 3389/03). In particolare, essendo la clausola valida nei limiti di cui all’art. 1229 cod. civ., essa comporta che la banca sia tenuta a rispondere soltanto per dolo e per colpa grave, operando l’esonero da responsabilità in caso di colpa lieve, anche per l’ipotesi di furto, quindi anche quando non vi sia la prova del caso fortuito.

2.3- Malgrado abbia preso le mosse dall’affermazione che si è ritenuto di correggere, la sentenza impugnata è conforme a diritto nella decisione, perchè non ha mandato assolta la Banca da responsabilità per mancanza di prova della colpa grave, ma ha, alfine, fondato la propria decisione di accoglimento dell’appello, quindi di rigetto della domanda risarcitoria dei clienti, sulla ritenuta sussistenza della prova della mancanza di colpa grave in capo alla banca. E ciò è tanto vero che il giudice d’appello fa precedere alla disamina delle risultanze processuali l’affermazione per la quale “…non è peraltro superfluo precisare che il problema che si pone in questa sede non è quello della titolarità dell’onere probatorio, quanto piuttosto del contenuto della prova in considerazione delle diverse conseguenze che si riconnettono al diverso grado di responsabilità”. Il prosieguo della motivazione è del tutto coerente con tale premessa, poichè, dopo aver delineato la diligenza richiesta al bonus argentarius, passa a verificare se questa sia stata violata nel caso di specie e quale sia il grado di tale violazione, tenendo conto delle risultanze istruttorie comunque acquisite al processo, che la Corte d’Appello ha ritenuto sufficienti per concludere nel senso dell’esclusione della colpa grave dell’istituto di credito, senza più porsi il problema della provenienza soggettiva della relativa prova.

3.- Il secondo motivo di ricorso si appunta proprio sull’esame svolto dal giudice di merito dei profili di colpa-responsabilità del bonus argentarius.

La censura, secondo cui non si sarebbero tenute in considerazione la causa e la natura del contratto e quindi la natura della principale obbligazione gravante sulla banca, è infondata.

La sentenza impugnata afferma che il coordinamento degli artt. 1218, 1176 e 1819 cod. civ. consente di precisare, da un lato, il parametro di diligenza con cui va apprestato il servizio e l’alto grado di professionalità richiesto al bonus argentarius e, dall’altro, di individuare i contenuti dell’onere probatorio della banca, la quale deve non solo dimostrare di essersi munita di tutti i congegni tecnici e di tutti gli accorgimenti cosentiti dalla scienza e dall’esperienza del momento, ma anche fornire la prova di fatto positivo (caso fortuito, cui va equiparata la forza maggiore), solo in presenza del quale resta esclusa anche la colpa lieve; afferma altresì che la prova del fatto negativo, rappresentato dall’assenza di colpa grave e, più nello specifico, dal mancato coinvolgimento dei dipendenti, deve ritenersi assolta con la dimostrazione del comportamento positivo tenuto dal banchiere, in cui risultino ravvisabili solo elementi di colpa lieve (con conseguente diritto al risarcimento del cliente entro il limite di valore convenzionalmente previsto). Trattasi di affermazioni corrette in diritto e conformi ai precedenti di questa Corte, che qui si richiamano (cfr. Cass. n. 1682/00, n. 4946/01, n. 3389/03, oltre alle già citate Cass. n. 7081/05 e n. 23412/09), pur se meritevole della precisazione che segue.

3.1.- Non si può condividere l’argomento principale che sta a base del profilo di censura in esame, secondo cui, essendo il furto un evento prevedibile ed essendo obbligazione principale della banca ex art. 1839 cod. civ., quella di predisporre, col massimo grado di diligenza professionale configurabile ai sensi dell’art. 1176 c.c., comma 2, le misure di sicurezza idonee ad evitare l’evento, il fatto che questo si sia verificato darebbe luogo ad un inadempimento della banca, da considerarsi sempre grave e – sembrano presupporre i ricorrenti – anche commesso con colpa grave.

Orbene, anche a voler prescindere dalla sovrapposizione dei piani tra l’art. 1218 e l’art. 1453 cod. civ., che in parte si riscontra nell’illustrazione in diritto del motivo di ricorso, ed a voler soffermare l’attenzione soltanto sulla prima di tali norme, che è l’unica che rileva in ragione di quanto detto sopra, è vero che incombe sul cliente soltanto l’onere di allegare l’avvenuto compimento del furto, integrando questo appunto l’inadempimento della banca. Come detto, questa viene esonerata da responsabilità se prova l’assenza della colpa grave. Ed è altresì esatto che la mera registrazione dell’impossibilità di spiegare le cause del furto non può essere sufficiente a scagionarla. Il dubbio, infatti, è l’opposto della prova. Occorre, pertanto che la banca chiarisca e dimostri le ragioni per cui il furto sia stato possibile nonostante le misure di sicurezza previste, e che si tratti di ragioni escludenti una sua condotta gravemente colposa (così Cass. n. 19363/11, pronunciata su ricorso concernente lo stesso furto del 1989 all’agenzia (OMISSIS) del Banco di Sicilia).

L’accertamento di siffatta dimostrazione è peraltro rimesso al giudice del merito. E nel caso di specie, la Corte d’Appello ha ritenuto che vi fosse in atti la prova delle ragioni di esclusione di una condotta gravemente colposa del Banco di Sicilia.

Più in particolare, ha ritenuto che quello che i ricorrenti indicano come “coacervo di manchevolezze mostrato nella sicurezza della custodia dall’agenzia (OMISSIS) del Banco di Sicilia” fosse ascrivibile soltanto a colpa lieve, e non anche a colpa grave dell’istituto di credito.

4.- Per verificare la sindacabilità in Cassazione di siffatta conclusione occorre allora fare riferimento alle censure di vizio di motivazione.

Queste sono state mosse, in primo luogo, con il secondo profilo del secondo motivo, con il quale si lamenta l’omessa motivazione sul rapporto tra il complesso delle misure di sicurezza adottate dalla banca nel caso di specie e quelle che invece avrebbe dovuto adottare per potersi ritenere adempiuto il dovere di diligenza professionale, con riguardo alla natura dell’attività esercitata.

4.1.- Col terzo motivo di ricorso la censura di omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia è riferita ai seguenti fatti: 1) il coinvolgimento di dipendenti della banca, che non si sarebbe potuto escludere soltanto perchè in sede penale non vennero identificati gli autori del reato, in presenza di furto senza scasso, che tale coinvolgimento faceva presumere;

2) appunto, la consumazione del furto, malgrado la mancata effrazione dei c.d. “mezzi forti” e delle porte, che avrebbe imposto alla banca l’onere della prova delle modalità di ingresso diverse dall’uso, da parte dei ladri, di chiavi duplicate;

3) le risultanze del rapporto della Squadra Mobile della Questura di Roma del 2 ottobre 1989, che porrebbero una “presunzione di omessa custodia delle chiavi dei locali dell’agenzia e del caveau”;

4) le informazioni testimoniali rese alla stessa Squadra Mobile dal Direttore dell’agenzia, C.A., nell’immediatezza della scoperta del furto, da cui si desumerebbe che la porta di soccorso del caveau, da dove i ladri erano entrati, era stata richiusa dopo il furto, tanto da non poter essere regolarmente riaperta il giorno dopo dal direttore;

5) il cattivo funzionamento degli allarmi e dei sistemi di sicurezza approntati dalla banca, che segnalarono la presenza dei ladri soltanto quando questi avevano completato l’apertura e lo svuotamento di ben 180 cassette di sicurezza e lasciavano il luogo del furto, mentre nessuna segnalazione vi era stata dell’ingresso e della presenza dei ladri.

4.2.- La Corte d’appello ha rilevato che nel caso di specie gli argomenti svolti dal Tribunale sul coinvolgimento doloso o colposo di dipendenti della banca, sulla violazione delle norme di sicurezza e sull’inadeguatezza degli impianti di prevenzione si risolvevano in mere deduzioni prive di sostegno probatorio ed anzi smentite dai risultati delle indagini in sede penale.

Ha quindi considerato proprio tali risultati, osservando che, non solo era stato escluso qualsiasi coinvolgimento di dipendenti della banca, ma che in effetti era risultato che i locali dell’agenzia erano blindati e dotati di allarme collegato con la Questura; che la porta di accesso antite-sodo era dotata di impianto pure collegato con la Questura; che la portaforte di accesso al caveau era dotata di un triplice sistema: doppia chiave, combinazione e time lock; che erano inoltre predisposti un controllo TV via cavo del caveau e una vigilanza periodica con cinque visite diurne e cinque notturne affidata ad impresa specializzata; che le varie chiavi erano custodite con complesse modalità; che le indagini svolte in sede penale avevano confermato l’avvenuta chiusura delle porte, l’attivazione della combinazione e del time lock e la pronta esecuzione di tutte le procedure di emergenza allorchè, alle ore (OMISSIS), era scattato l’allarme nella centrale della questura. All’esito dell’esame di dette risultanze, la Corte conclude nel senso che il complesso delle indicate misure di sicurezza, attivate in occasione del furto, era da ritenere oggettivamente adeguato a tutelare l’intangibilità delle cassette, avuto riguardo alle possibilità tecniche e ai criteri di esperienza acquisiti all’epoca dei fatti.

4.3.- Il giudice di merito ha risposto, inoltre, a rilievi della parte appellata, analoghi a quelli sopra riportati perchè oggetto del terzo motivo di ricorso. In risposta a tali rilievi ha osservato:

che non vi era motivo di dubitare dell’accuratezza del controllo effettuato, subito dopo l’accensione dell’allarme la notte del (OMISSIS), sia dalla vigilanza privata che dalla polizia; che il piantonamento dei locali era confermato dalle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria dai vigilanti privati e dal direttore della banca; che il cavo di allarme risultava tagliato praticamente nel punto ove era collegato il congegno deviatore dei segnali, rimosso dai ladri a furto avvenuto, il che convalidava il convincimento che fosse stato proprio il suono dell’allarme a mettere in fuga i malviventi; che, se era vero che il monitor attraverso il quale fu effettuato il controllo dell’interno del caveau (dopo che era scattato l’allarme) non consentiva una grande visibilità, non per questo poteva ritenersi l’inadeguatezza delle misure predisposte dalla banca, trattandosi di valutazione da fare ex ante, con riguardo al complesso dei sistemi di sicurezza approntati, e considerato che ciò, seppure aveva ritardato la scoperta del furto, non era risultato rilevante nella produzione dell’evento; che, in tale quadro probatorio, il fatto che i ladri avessero agito indisturbati per diverse ore sino alle (OMISSIS) e che il furto fosse stato eseguito senza scasso non denotavano, di per sè, particolari negligenze o imprudenze della banca, quanto piuttosto le capacità delinquenziali dei ladri o, comunque, limiti obiettivi dei sistemi di sicurezza, considerato che l’appellante aveva anche documentato due analoghi fatti criminosi verificatisi alcuni anni dopo, nei quali era emersa l’adozione, da parte dei ladri, di sistemi elettronici altamente sofisticati e idonei a neutralizzare gli impianti di allarme, sicchè poteva fondatamente ipotizzarsi che anche nel 1989 era stata adottata la medesima tecnica, all’epoca sicuramente inedita, confermandosi, così, che alla banca non poteva addebitarsi altro che una colpa lieve.

5.- La sintesi che precede smentisce quanto sostenuto dai ricorrenti con entrambi i motivi di ricorso in esame, dimostrando come la Corte d’appello abbia posto e risolto la questione della verifica in concreto delle misure e delle cautele predisposte per prevenire i furti e sia giunta alla conclusione che il furto sia stato possibile grazie all’uso di tecniche sofisticate, all’epoca ignote a chi aveva il compito della prevenzione. Questa conclusione si fonda su due accertamenti in fatto, che risultano l’uno insindacabile in questa sede perchè congruamente e logicamente motivato, l’altro nemmeno contestato dai ricorrenti: si tratta, in primo luogo, dell’accertamento della predisposizione di misure preventive da ritenersi adeguate in ragione delle possibilità tecniche dell’epoca, rivelatesi non idonee, non a causa di un comportamento gravemente colpevole delle banca e/o dei suoi dipendenti, ma in ragione delle tecniche particolarmente sofisticate adottate dai malviventi;

quest’ultimo è, appunto, il secondo accertamento su cui si fonda la decisione impugnata, che i giudici hanno dichiarato di trarre dalla esperienza di due analoghi furti successivi in cui quelle sofisticate tecniche erano state adottate.

Ebbene, i ricorrenti per un verso , trascurano del tutto, nel ricorso, quest’ultima argomentazione – la documentata esperienza, cioè, degli altri due furti – essenziale nel ragionamento della Corte d’appello; per altro verso muovono all’altra argomentazione – ossia la predisposizione di idonee misure preventive – rilievi inammissibili (cfr. per un’analoga conclusione, la già citata Cass. n. 19363/11). Infatti le circostanze riportate sopra ai numeri da 1) a 5) del precedente punto 4.1., che secondo i ricorrenti sarebbero state erroneamente valutate o addirittura non valutate dai giudici d’appello, sono state prese invece prese in considerazione e motivatamente ritenute non rivelatrici di colpa grave, come risulta da quanto esposto ai precedenti punti 4.2. ed 4.3. Ed invero, si è escluso il coinvolgimento di dipendenti della banca, si è escluso che corrispondessero al vero le congetture poste dagli organi inquirenti nelle fasi iniziali delle indagini, si è concluso che il furto avvenne senza effrazione non perchè vi fu colpa dei dipendenti nella (mancata o irregolare) attivazione dei sistemi d’allarme o nella custodia delle chiavi e/o delle combinazioni ma perchè- come detto – si è ritenuto l’impiego di tecniche sofisticate per disinnescare i sistemi di protezione e sicurezza dell’istituto di credito. Pretendere un nuovo esame delle risultanze istruttorie, in particolare degli esiti delle indagini penali prodotti nei gradi di merito, significa richiedere a questa Corte un nuovo esame di merito che non è certo consentito quando venga denunciato il vizio di motivazione contraddittoria od insufficiente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Questo non può consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, perchè spetta solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, e a tale fine valutare le prove; controllarne l’attendibilità e la concludenza; scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione; dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova (cfr., tra le tante, Cass. n. 350/02, 1514/03, n. 5550/04, n. 20322/05, n. 7083/06, fino alla recente n. 13177/11, citata dalla resistente).

Il ragionamento seguito dalla Corte di merito non solo non è illogico nè contraddittorio nè lacunoso, ma poggia su un elemento di riscontro, quale quello tratto dall’esperienza dei due furti successivi, che nemmeno è stato contestato dai ricorrenti.

5.1.- Giova aggiungere che la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 2732/11 che, nel giudicare sul medesimo furto è giunta alla conclusione opposta, condannando il Banco di Sicilia, oggi Unicredit, è, a sua volta, frutto delle emergenze di fatto del giudizio all’esito del quale è stata pronunciata. Per quanto è dato evincere dalla motivazione riportata nella memoria depositata dai ricorrenti, fonda la propria valutazione, in concreto, della sussistenza della colpa grave della Banca nel mancato riscontro dell’affermazione dell’istituto di credito secondo cui vi sarebbe stata una particolare abilità dei ladri: siffatto riscontro, invece, nella sentenza oggetto del presente ricorso è stato rinvenuto nella produzione documentale relativa agli altri episodi criminosi caratterizzati anch’essi dall’assenza di effrazione delle porte corazzate …omissis… nei quali l’illecito risultò realizzato con l’adozione di sistemi elettronici altamente sofisticati e idonei a neutralizzare gli impianti di allarme; da tale elemento la Corte ha tratto il convincimento – in sè nemmeno oggetto di censura e comunque coerente, non certo sindacabile in questa sede – che la tecnica fosse quella adoperata anche nel furto de quo e che fosse inedita nel 1989;

ha perciò concluso nel senso di non poter addebitare alla banca qualcosa di più della colpa lieve. Resta del tutto estraneo al presente giudizio – nè i ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata per non averne tenuto conto – il dato (pure emergente dalla motivazione dell’ultima sentenza della Corte d’Appello di Roma) per il quale il Banco di Sicilia non avrebbe proceduto per lungo tempo prima del furto all’adeguamento tecnologico dei propri dispositivi antintrusione: esso non appare peraltro decisivo, se confrontato con il dato tratto dai furti messi a segno nel 1992 (quindi ben tre anni più tardi), cui tanta importanza ha dato la sentenza impugnata al fine di dimostrare il carattere inedito della tecnica adoperata dai malviventi e la mancanza di colpa grave (non anche di quella lieve) nell’avere ritenuto adeguate le misure di sicurezza e le procedure di emergenza adottate in conformità alle possibilità tecniche ed ai criteri di esperienza acquisiti all’epoca dei fatti (secondo quanto si legge alla pag. 15). Il ricorso va perciò rigettato.

6.- Le alterne vicende di merito del presente giudizio, nonchè la difficoltà della valutazione in punto di colpa grave dell’istituto di credito nel caso concreto, rendono di giustizia la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2011

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