Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28314 del 04/11/2019
Cassazione civile sez. un., 04/11/2019, (ud. 09/04/2019, dep. 04/11/2019), n.28314
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente f.f. –
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente di Sez. –
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente di Sez. –
Dott. TRIA Lucia – Consigliere –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 3225-2014 proposto da:
R.F., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO TRIESTE
87, presso lo studio dell’avvocato ARTURO ANTONUCCI, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROBERTO VASSALLE;
– ricorrente –
contro
BANCA ANTONIANA VENETA S.P.A. (ora BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA
S.P.A.);
– intimata –
avverso la sentenza n. 1290/2013 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,
depositata il 21/11/2013;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
09/04/2019 dal Consigliere MARIA ACIERNO;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.
SALVATO Luigi, che ha concluso per il rigetto del secondo motivo del
ricorso, rimessione alla prima sezione civile per la decisione dei
restanti motivi;
udito l’Avvocato Maria Gregoria Failla per delega orale.
Fatto
FATTI DI CAUSA
1. Il Tribunale di Mantova ha accolto la domanda
proposta da R.F., volta a far dichiarare la nullità di due
contratti d’investimento in obbligazioni argentine stipulati il
(OMISSIS) con condanna della intermediaria Banca Antoniana Popolare
Veneta alle restituzioni dovute in relazione a tali investimenti. La
nullità degli ordini di acquisto era derivata dal difetto di forma
scritta del contratto quadro stipulato tra le parti del giudizio. Il
Tribunale, peraltro, ha accolto anche la domanda riconvenzionale
proposta dalla banca convenuta, avente ad oggetto la restituzione di
cedole riscosse in forza di operazioni in esecuzione del contratto
quadro ritenuto affetto da radicale nullità. All’esito dell’operata
compensazione l’investitore è stato condannato al pagamento della
differenza residua a debito.
2.La Corte d’Appello, investita dell’impugnazione
dal R., in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha
affermato, in primo luogo che sussiste il difetto di legittimazione
dell’appellante R. in relazione all’ordine del 4/5/99 relativo a
35000 obbligazioni (OMISSIS) del controvalore di 35.840.668, formulato
dalla madre dell’appellante dal momento che la stessa ha agito in nome
proprio e non in rappresentanza del figlio. Al riguardo è stata esclusa
la prova della “contemplatio domini” con la conseguenza che unica
obbligata verso l’intermediaria deve ritenersi la mandataria senza
rappresentanza. Il mandante non ha il potere in questa ipotesi di
esercitare azioni contrattuali quali quella di risoluzione del contratto
che rimangono in capo al mandatario.
Deve escludersi anche che vi sia stata una
ratifica valida desumibile dallo “attestato di eseguito” proveniente
dalla banca che trova giustificazione per l’esclusiva titolarità del c/c
in capo all’appellante.
2.1. Nel merito, è vero che la nullità D.Lgs. n. 58 del 1998, ex art. 23,
comma 3, può essere fatta valere soltanto dal cliente, ma una volta
dichiarata, si ripercuote su tutte le operazioni eseguite in attuazione
dell’atto negoziale viziato. La nullità di protezione non determina
anche il potere dell’investitore di limitazione degli effetti della
nullità soltanto ad alcuni degli ordini secondo la sua scelta.
L’invalidità si espande sull’intero rapporto ed investe tutti gli ordini
di acquisto. Pertanto, in forza, della normativa in materia d’indebito,
il cliente è tenuto a restituire alla banca i titoli acquistati, le
cedole riscosse ed ogni altra utilità, così come la intermediaria è
tenuta a restituire alla banca l’importo erogato per l’acquisto dei
titoli. Tuttavia, nella specie la Corte ha escluso che fosse stata
proposta una domanda riconvenzionale di restituzione, ritenendo
validamente introdotta in giudizio esclusivamente un’eccezione di
compensazione, idonea, di conseguenza, esclusivamente a paralizzare la
domanda restitutoria dell’attore.
2.2 E’ stato inoltre precisato che alla soluzione
adottata non è di ostacolo il fatto che la banca abbia acquistato titoli
da un collocatore terzo. Il venire meno del mandato ha mantenuto in
capo all’intermediario la proprietà dei titoli acquistati sul mercato
dal momento che la nullità del contratto di negoziazione non incide
sull’acquisto tra la banca ed il terzo ma solo sull’effetto di cui all’art. 1706 c.c.
del ritrasferimento automatico al mandante. Le cedole, sebbene erogate
da un soggetto terzo, (nella specie lo Stato emittente) in virtù della
nullità del contratto quadro originario, rimangono di proprietà della
banca, non essendosi perfezionato l’acquisto dei titoli nella sfera
giuridica del cliente.
2.3 E’ stata dichiarata inammissibile perchè
proposta per la prima volta in appello la domanda del R., volta
ad ottenere il danno da mancata rendita riguardante sia gli utili e i
dividendi sulle cedole la cui restituzione era stata disposta dal
Tribunale, sia quelli maturandi nel periodo successivo all’incasso
dell’ultima cedola.
2.4 E’ stata confermata la statuizione del
Tribunale riguardante la decorrenza degli interessi dovuti
all’investitore con decorrenza dalla domanda, non essendovi prova della
malafede della intermediaria. L’indebito sorge dalla mancata
sottoscrizione del contratto quadro da parte della banca, nella copia
dimessa in causa (non oggetto d’impugnazione) e tale mancanza non può
che ritenersi frutto di mero errore.
3. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per
cassazione R.F. affidato a sei motivi. Non ha svolto difese
la parte intimata. La parte ricorrente ha depositato memoria.
4. La prima sezione civile ha rimesso alle S.U. di
questa Corte la questione sollevata nel secondo motivo di ricorso
relativa all’esatta determinazione degli effetti e delle conseguenze
giuridiche dell’azione di nullità proposta dal cliente in relazione a
specifici ordini di acquisto di titoli che derivi, tuttavia,
dall’accertamento del difetto di forma del contratto quadro. Il punto
controverso riguarda l’estensione degli effetti della dichiarazione di
nullità anche alle operazioni che non hanno formato oggetto della
domanda proposta dal cliente ed, eventualmente, i limiti di tale
estensione.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
5. Nel primo motivo di ricorso viene dedotta la violazione degli artt. 1292,1388,1704 e 1705 c.c.
e art. 61 reg. Consob n. 11522 del 1998 in relazione alla ritenuta
carenza di legittimazione attiva del ricorrente in relazione
all’operazione del 4/5/99. Afferma il ricorrente che il contratto
d’intermediazione e quello di conto corrente erano cointestati a lui ed a
sua madre. Ciascuno di essi, secondo quanto stabilito nel contratto
poteva impartire ordini di acquisto titoli. Da ciò conseguiva che essi,
anche singolarmente, agivano anche in rappresentanza dell’altro
cointestatario ed avevano entrambi legittimazione ad agire in giudizio a
tutela dei propri investimenti.
Inoltre l’attestato di eseguito recava l’espressa dizione “Vi
informiamo di avere eseguito (…) la seguente operazione da voi
disposta”. Secondo quanto stabilito nell’art. 61 Reg. Consob tale
informazione viene fornita all’investitore e non ad altri. Doveva
pertanto trovare applicazione l’art. 1704 c.c. in relazione alla ratifica e non l’art. 1705 c.c. oltre che l’art. 1399 c.c.. Infine, anche applicando l’art. 1705 c.c. il credito derivante dall’azione di nullità poteva essere esercitato dal mandante.
6. Nel secondo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 23 T.U.F.
in relazione all’accoglimento dell’eccezione riconvenzionale di
compensazione formulata dalla intermediaria. In primo luogo il
ricorrente rileva che l’accertamento della nullità dell’intero contratto
quadro è stata richiesta in via meramente incidentale e strumentale
alla declaratoria di nullità dei due ordini sopra identificati. Tale
limitazione risulta legittima in quanto gli ordini hanno una propria
autonoma valenza negoziale che postula la formazione di un consenso ad
hoc per la loro esecuzione mediante la prestazione dell’intermediario.
Al riguardo non può pretendersi, in violazione patente dell’art. 100 c.p.c.,
che l’investitore debba denunziare la nullità di operazioni, eseguite
in perfetta buona fede e che hanno comportato un utile, con ciò
aggravando il danno già subito. Ove l’investitore dovesse scegliere tra
il far valere la nullità dell’intero rapporto o subire, per evitare un
maggior danno, la violazione dell’intermediario, ciò farebbe venire meno
il carattere protettivo della nullità ed anche la funzione di tutelare
l’integrità e la correttezza del mercato.
7. Nel terzo motivo viene dedotto il vizio di ultrapetizione della
sentenza impugnata, per essere stata accertata con valore di giudicato
la nullità del contratto quadro laddove ne era stato chiesto
l’accertamento soltanto incidenter tantum.
8. Nel quarto motivo viene dedotta la violazione del D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 10,
comma 2 bis, per l’erronea affermazione contenuta nella sentenza
impugnata riguardante la asserita non contestazione dell’entità delle
cedole incassate dalla intermediaria in relazione agli ordini di
acquisti scaturenti dal contratto quadro nullo. I documenti da cui si
desume il fatto non contestato sono gli estratti conto prodotti dalla
banca che riportano genericamente accrediti ed addebiti senza alcuna
distinzione tra le operazioni disposte dai singoli cointestatari o
cedole o dividendi provenienti da operazioni diverse. Il ricorrente,
peraltro, riportando ampi stralci del quarto motivo d’appello, precisa
di aver contestato anche in relazione alla legittimazione attiva della
banca la riconduzione dell’importo complessivo a titolo di cedole nel
rapporto giustificato dal contratto quadro. L’effetto probante della non
contestazione non può prodursi se è necessario che i fatti accertati
siano integrati da ulteriori prove e se abbia ad oggetto solo fatti
secondari. L’applicazione illegittima del principio di non contestazione
ha determinato nella specie l’alterazione della regola di giudizio
fissata nell’art. 2697 c.c..
9. Nel quinto motivo viene dedotta la violazione degli artt. 820,1148 e 2033 c.c.
in relazione al dedotto obbligo dell’investitore di restituire le
cedole riscosse in buona fede nel corso del rapporto. Il ricorrente
aveva già prospettato il rilievo in questione precisando che le cedole
nella specie erano state pagate dagli emittenti dei titoli e non dalla
banca con la conseguenza che la stessa difettava di legittimazione.
L’affermazione, secondo la quale, con la declaratoria di nullità i
titoli restavano di proprietà della banca non faceva venire meno la
conseguenza che il pagamento delle cedole era stato effettuato in buona
fede al soggetto che in virtù del possesso del titolo figurava esserne
il proprietario. Le norme sopra indicate stabiliscono il principio
secondo il quale il possesso di buona fede fa sì che i frutti riscossi
siano dovuti solo dal giorno della domanda e non dal momento della loro
materializzazione. Il giudice d’appello ha errato nel dare rilievo
invece che al possesso di buona fede alla titolarità delle obbligazioni.
Essendo stata esclusa la malafede della banca doveva a maggior ragione
essere esclusa la malafede del cliente. La corte d’Appello ha
erroneamente ritenuto la banca legittimata alla ripetizione di indebito
oggettivo.
10. Nel sesto motivo viene dedotta la violazione degli artt. 1147,1338 e 2033 c.c. nonchè del D.Lgs. n. 59 del 1998,
art. 23 in relazione al rigetto della domanda attorea di pagamento
degli interessi sulla somma investita dalla data degli investimenti
anzichè dalla domanda. Il difetto di sottoscrizione del contratto quadro
da parte della banca porta a ritenere accertato che la stessa fosse a
conoscenza dell’invalidità dello stesso e degli ordini relativi ai
titoli argentini con la conseguenza dell’indebito originario in
relazione ai pagamenti per i loro acquisti. L’obbligo di forma è posto
ad esclusiva tutela del cliente e costituisce il primo livello di tutela
dell’asimmetria informativa. Ne consegue la presunzione di
consapevolezza della banca che a colmare tale squilibrio è tenuta.
11. La questione di cui sono state investite le Sezioni Unite è
affrontata nel secondo motivo di ricorso. Il contrasto che si è
determinato all’interno della prima sezione riguarda, come già rilevato,
la legittimità della limitazione degli effetti derivanti
dall’accertamento della nullità del contratto quadro ai soli ordini
oggetto della domanda proposta dall’investitore, contrapponendosi a tale
impostazione, quella, ad essa alternativa, che si fonda sull’estensione
degli effetti di tale dichiarazione di nullità anche alle operazioni di
acquisto che non hanno formato oggetto della domanda proposta dal
cliente, con le conseguenze compensative e restitutorie che ne possono
derivare ove trovino ingresso nel processo come eccezioni o domande
riconvenzionali.
12. Prima di esaminare il secondo motivo di ricorso è necessario
affrontare il terzo motivo relativo al vizio di ultrapetizione, nel
quale sarebbe incorsa la sentenza impugnata per aver ritenuto che
l’accertamento della nullità del contratto quadro avesse valore di
giudicato. Al riguardo deve osservarsi che la parte ricorrente ha
affermato che l’accertamento della nullità del contratto quadro era
stata richiesta soltanto “incidenter tantum”, ed esclusivamente al fine
di far valere l’invalidità degli ordini di acquisto indicati nella
domanda. Secondo questa prospettazione, l’eccezione di compensazione,
accolta dalla Corte d’Appello, è viziata da extrapetizione perchè
fondata sull’accertamento con valore di giudicato, della nullità del
contratto quadro, e sulla conseguente invalidità di tutti gli ordini di
acquisto con efficacia ex tunc.
13. La censura non è fondata. In primo luogo deve rilevarsi che
l’accertamento “incidenter tantum” può riguardare soltanto un rapporto
diverso da quello dedotto in giudizio che si ponga come mero antecedente
logico della decisione da adottare. La giurisprudenza di legittimità ha
individuato le caratteristiche distintive di tale accertamento, ad
efficacia esclusivamente endoprocessuale, rispetto a quello con valore
di giudicato, attraverso gli orientamenti relativi al regolamento di
competenza sui provvedimenti di sospensione del processo, la cui
legittimità è stata limitata agli accertamenti giurisdizionali che si
pongano in relazione di pregiudizialità tecnica o giuridica con quello o
quelli inerenti il processo sospeso. Alla luce dei principi indicati,
l’accertamento ha valore di giudicato quando riguarda un presupposto
giuridico eziologicamente collegato con la domanda tanto da costituirne
premessa ineludibile. Ulteriore caratteristica distintiva è l’attitudine
ad avere rilievo autonomo ed efficacia che può propagarsi oltre il
perimetro endoprocessuale. (Cass.14578 del 2005,
nella quale è stato escluso che l’accertamento della proprietà di un
muro in una causa di risarcimento dei danni dovuta al suo crollo potesse
essere idonea alla formazione giudicato, trattandosi di rapporto
diverso da quello dedotto in giudizio e 16995 del 2007).
Nella fattispecie dedotta nel presente giudizio l’accertamento
della nullità del contratto quadro costituisce il presupposto non solo
logico ma tecnico-giuridico della domanda oltre ad essere stato posto a
base da parte dell’intermediario, dell’eccezione riconvenzionale di
compensazione.
13.1 L’attitudine al giudicato dell’accertamento relativo alla
nullità del contratto quadro e la conseguente infondatezza della censura
prospettata nel terzo motivo, non esclude, tuttavia, la necessità di
affrontare la correlata questione, relativa alla legittimazione ad agire
dell’intermediario, in via di azione o di eccezione, al fine di far
valere gli effetti della nullità del contratto quadro anche in relazione
ad ordini di acquisto diversi di quelli indicati nella domanda. Tale
profilo costituisce parte integrante della censura formulata nel secondo
motivo e della questione sottoposto all’esame delle Sezioni Unite,
dovendo essere affrontata alla luce del peculiare regime delle nullità
di protezione, all’interno delle quali si colloca, incontestatamente, la
nullità per difetto di forma del contratto quadro, stabilita nell’art.
23 del t.u. n. 58 del 1998.
14. L’esame del secondo motivo richiede una precisazione
preliminare. Nel giudizio di merito si è formato il giudicato sulla
nullità del contratto quadro per difetto di forma, nonostante emerga dal
ricorso (pag.8), e dalla sentenza impugnata (pag. 7 in fine) che il
predetto contratto (quello del 25/8/98) sia stato sottoscritto dagli
investitori (il ricorrente e sua madre). L’esistenza di un testo
completo e sottoscritto da uno dei contraenti, ancorchè costituisca
circostanza irrilevante, in relazione all’accertamento della nullità,
perchè coperta da giudicato, non può essere del tutto ignorata, in
relazione alla valutazione della legittimità delle diverse forme di
tutela dell’intermediario determinate dall’uso selettivo delle nullità
di protezione.
14.1 in particolare, deve escludersi l’applicabilità, nel caso di
specie, dei principi contenuti nell’ordinanza della prima sezione
civile, n. 10116 del 2018, secondo i quali l’intermediario non può
legittimamente opporsi ad un’azione fondata sull’uso selettivo della
nullità ex art. 23 T.U.F.
quando un contratto quadro manchi del tutto, nè attraverso l’exceptio
doli (di cui si tratterà nei par. 18,19,20) nè, in ragione della
protrazione nel tempo del rapporto, per effetto della sopravvenuta
sanatoria del negozio nullo per rinuncia a valersi della nullità o per
convalida di esso, l’una e l’altra essendo prospettabili solo in
relazione ad un contratto quadro formalmente esistente.
15. Si ritiene necessaria, in primo luogo, la ricognizione del
quadro legislativo delle nullità di protezione non limitando l’esame
soltanto alle norme del T.U.F ratione temporis applicabili, ma
estendendo l’indagine ad aree contigue, in modo da avere un prospetto
comparativo della peculiarità del regime giuridico di tale tipologia di
nullità.
15.1 Al rapporto dedotto in giudizio si applica il D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23
nella sua formulazione originaria. Il testo normativo è, infatti,
entrato in vigore il 1/7/1998 ed il contratto quadro è stato stipulato
nell’agosto del 1998. Gli ordini di cui si chiede la dichiarazione di
nullità sono stati emessi nel 1999.
Il testo normativo ratione temporis applicabile è il seguente:
1. I contratti relativi alla prestazione dei servizi di
investimento e accessori sono redatti per iscritto e un esemplare è
consegnato ai clienti. La CONSOB, sentita la Banca d’Italia, può
prevedere con regolamento che, per motivate ragioni tecniche o in
relazione alla natura professionale dei contraenti, particolari tipi di
contratto possano o debbano essere stipulati in altra forma. Nei casi di
inosservanza della forma prescritta, il contratto è nullo.
2. E’ nulla ogni pattuizione di rinvio agli usi per la
determinazione del corrispettivo dovuto dal cliente e di ogni altro
onere a suo carico. In tal casi nulla è dovuto.
3. Nei casi previsti dai commi 1 e 2 la nullità può essere fatta valere solo dal cliente.
Il comma 3 non è mutato nella versione della norma attualmente vigente.
Analogo sistema di tutela del cliente si rinviene nel D.Lgs. n. 385 del 1993 (d’ora in avanti denominato T.U. bancario),
sia in relazione alla previsione della nullità del contratto per
difetto di forma (art. 117, commi 1 e 3, rimasti immutati), sia in
relazione all’applicazione delle nullità di protezione disciplinate
nell’art. 127, così formulato:
“1. Le disposizioni del presente titolo sono derogabili solo in senso più favorevole al cliente.
2. Le nullità previste dal presente titolo possono essere fatte valere solo dal cliente.”.
Con la modifica introdotta dal D.Lgs. n. 141 del 2010, art. 4, comma 3, l’attuale formulazione dell’art. 127, comma 4, si è conformata al regime giuridico del Codice del Consumo
(D.Lgs. n. 206 del 2005) ed è la seguente: “Le nullità previste dal
presente titolo operano soltanto a vantaggio del cliente e possono
essere rilevate d’ufficio dal giudice”. Deve, infatti rilevarsi, che le
nullità di protezione sono state introdotte nel codice civile in
relazione all’inefficacia delle clausole vessatorie nei contratti
conclusi con i consumatori. Al riguardo nell’art. 1469 quinquies c.c.,
ratione temporis applicabile, è stato previsto che “l’inefficacia opera
soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d’ufficio
dal giudice”. Con l’introduzione del Codice del Consumo
(D.Lgs. n. 206 del 2005), e l’abrogazione delle norme codicistiche in
tema di clausole vessatorie, l’art. 36, comma 3. ha esteso jì la tutela
prevista per le clausole vessatorie alla nullità, stabilendo che: “La
nullità opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata
d’ufficio dal giudice”.
15.2 Il confronto tra le norme sopra illustrate pone in luce come,
pur in presenza di differenze testuali non prive di rilievo, il tratto
unificante del regime giuridico delle nullità di protezione sia la
legittimazione esclusiva del cliente ad agire in giudizio. Le
conseguenze sostanziali di questo regime peculiare di legittimazione
sono espresse nella regola normativa: La nullità opera soltanto a
vantaggio del consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal giudice”,
che, tuttavia, non è testualmente riprodotta nell’art. 23 T.U.F..
Al riguardo deve osservarsi che il rilievo officioso delle nullità di
protezione deve ritenersi generalmente applicabile a tutte le tipologie
di contratti nei quali è previsto in favore del cliente tale regime di
protezione in considerazione dei principi stabiliti nella sentenza delle
S.U. n. 26642 del 2014 così massimati: “La rilevabilità officiosa delle
nullità negoziali deve estendersi anche a quelle cosiddette di
protezione, da configurarsi, alla stregua delle indicazioni provenienti
dalla Corte di giustizia, come una “species” del più ampio “genus”
rappresentato dalle prime, tutelando le stesse interessi e valori
fondamentali – quali il corretto funzionamento del mercato (art. 41 Cost.) e l’uguaglianza almeno formale tra contraenti forti e deboli (art. 3 Cost.) – che trascendono quelli del singolo”,(cfr. anche la più recente Cass. 26614 del 2018,
nella quale si precisa che il rilievo d’ufficio è, tuttavia,
subordinato ad una manifestazione d’interesse del legittimato). Il
testo, immutato, dell’art. 23, comma 3, deve, pertanto, essere
interpretato in modo costituzionalmente orientato e coerentemente con i
principi del diritto eurounitario, così da non escluderne nè il rilievo
d’ufficio nè l’operatività a vantaggio esclusivo del cliente.
Deve, tuttavia, rilevarsi che la configurazione normativa e
l’elaborazione giurisprudenziale relativa alle nullità di protezione ne
evidenziano la vocazione funzionale, ancorchè non esclusiva, alla
correzione parziale del contratto, limitatamente alle parti che
pregiudicano la parte contraente che in via esclusiva può farle valere.
Tale carattere è stato largamente sottolineato dalla dottrina che più
autorevolmente si è occupata della loro collocazione nel sistema dei
rimedi e delle disfunzioni del contratto. L’originaria destinazione
all’eliminazione delle clausole inefficaci ne sottolinea tale profilo ed
evidenzia le difficoltà di adattamento dello strumento in relazione
alla produzione dell’effetto dell’invalidità dell’intero contratto.
Questo ampliamento dell’ambito di applicazione delle nullità di
protezione costituisce il nucleo problematico della questione sottoposta
all’esame delle S.U. Può, infatti, rilevarsi che l’incidenza diretta
sui requisiti di forma ad substantiam è prevista in particolare per i
contratti bancari e per i contratti d’investimento. Per questi ultimi si
pone in concreto l’interrogativo della legittimità e liceità dello
strumento delle nullità cd. selettive. E’ la conformazione bifasica
dell’impegno negoziale assunto dalle parti a determinare l’insorgenza
delle criticità applicative del regime delle nullità di protezione. Il
contratto quadro ha una funzione conformativa e normativa. Deve a pena
d’invalidità, essere redatto per iscritto, contenendo la definizione
specifica della tipologia d’investimenti da eseguire, il range di
rischio coerente con il profilo del cliente e la determinazione degli
obblighi che l’intermediario è tenuto ad adempiere (Cass.12937 del
2017). Il suo perfezionamento, tuttavia, costituisce la condizione
necessaria ma non sufficiente perchè si realizzino tutti gli effetti
scaturenti dal vincolo negoziale assunto dalle parti. Ad esso deve
seguire l’effettuazione degli investimenti finanziari, attraverso
l’esecuzione degli ordini di acquisto da parte dell’intermediario.
Nonostante l’impegno economico per il cliente si determini con la
trasmissione degli ordini, la forma scritta, in linea generale, è
imposta soltanto per il contratto quadro, salvo diversa disposizione
contrattuale voluta dalle parti, perchè in questo testo negoziale si
cristallizzano gli obblighi dell’intermediario che il legislatore ha
inteso rendere trasparenti, in primo luogo, con la predisposizione di un
regolamento scritto. Tale obbligo, come specificato nella recente
sentenza delle S.U. n. 898 del 2018 ha natura e contenuto funzionali e
costituisce il primo, (ma non l’unico) ineliminabile strumento di
superamento dello squilibrio contrattuale e dell’asimmetria informativa
delle parti. L’obbligo della forma scritta, nell’impostazione funzionale
prescelta dalle S.U., deve ritenersi assolto anche se il contratto
quadro è sottoscritto soltanto dall’investitore, essendo destinato alla
protezione effettiva del cliente senza tuttavia legittimare l’esercizio
dell’azione di nullità in forma abusiva, in modo da trarne ingiusti
vantaggi.
Deve, pertanto, rilevarsi, come già nella sentenza delle S.U. n.
898 del 2018, siano state adombrate le criticità applicative che possono
derivare dall’adozione del regime giuridico delle nullità di protezione
per forme d’invalidità che colpiscano l’intero testo contrattuale.
L’opzione, fortemente funzionalistica, adottata dalle S.U. nella
conformazione dell’obbligo della forma scritta, contenuto nell’art. 23
T.U. n. 58 del 1998, è determinata dall’esigenza di non trascurare
l’applicazione dei principi di buona fede e correttezza anche
nell’esercizio dei diritti in sede giurisdizionale. Nell’affrontare il
quesito posto dall’ordinanza di rimessione, il Collegio ritiene di dover
dare continuità al richiamo contenuto nei principi elaborati nella
sentenza n. 898 del 2018, al fine di verificare se può configurarsi un
esercizio del diritto a far valere, da parte dell’esclusivo legittimato,
le nullità di protezione in un modo selettivo o se tale esercizio possa
ed in quali limiti qualificarsi abusivo o contrario al canone,
costituzionalmente fondato, della buona fede.
15.3 Per poter svolgere l’indagine sopra delineata occorre in primo
luogo definire l’ambito effettivo della deroga ai principi generali
riguardanti il regime d’invalidità dei contratti desumibile dal
peculiare regime giuridico delle nullità protettive. Sarà necessario,
inoltre, verificare se possa configurarsi una disciplina generale comune
a tutte le nullità di protezione, salvo differenze di dettaglio ove
previste da una normativa specifica di settore o se vi sia la
coesistenza di differenziate forme di nullità di protezione, ciascuna
dotata di un proprio statuto giuridico autonomo eventualmente anche in
relazione all’esercizio selettivo dell’azione di nullità.
16. Il regime giuridico della legittimazione a far valere tale forma di nullità contrasta con il disposto dell’art. 1421 c.c.:
le nullità di protezione, sia che investano singole clausole sia che
riguardino l’intero contratto non possono essere fatte valere che da una
sola parte, salvo il rilievo d’ufficio del giudice nei limiti indicati
dalle S.U. nella pronuncia n. 26442 del 2014, proprio in applicazione
del principio solidaristico e costituzionalmente fondato, della buona
fede. La legittimazione dell’altra parte è radicalmente esclusa,
trattandosi di nullità che operano al fine di ricomporre un equilibrio
quanto meno formale (S.U. 26442 del 2014) tra le parti. Tale esclusione è
il frutto della predeterminazione legislativa della posizione di
squilibrio contrattuale tra le parti in relazione ad alcune tipologie
contrattuali.
Con riferimento ai contratti d’investimento, lo squilibrio che
viene ad emersione giuridica ha carattere prevalentemente
conoscitivo-informativo, fondandosi sull’elevato grado di competenza
tecnica richiesta a chi opera nell’ambito degli investimenti finanziari.
I rimedi volti a limitare od a colmare l’asimmetria informativa,
riconosciuta come elemento caratterizzante l’intervento correttivo del
legislatore, non sono riconducibili soltanto alle nullità di protezione.
Proprio in funzione dell’effettiva attuazione del principio di buona
fede, la nullità di protezione, applicata in via generale ed
indifferenziata ad esclusivo vantaggio del cliente, opera sul requisito
della forma (peraltro in chiave funzionale, come chiarito da S.U. 898
del 2018) del contratto quadro ma non in relazione a tutti gli obblighi
informativi dell’intermediario, essendo la gran parte di essi conformati
sul profilo del cliente e sul grado di rischiosità contrattualmente
assunto. Ristabilito l’equilibrio formale con il testo contrattuale
scritto, la condizione soggettiva dell’investitore e le scelte
d’investimento connotano peculiarmente gli obblighi informativi
dell’intermediario ed incidono sullo scrutinio dell’adempimento
dell’intermediario ai fini del risarcimento del danno o della
risoluzione del contratto, tenendo conto in concreto della buona fede
del cliente al momento della discovery delle sue caratteristiche
d’investitore e del suo grado di conoscenza delle dinamiche degli
investimenti finanziari (S.U. 26724 del 2007). Deve, pertanto, ritenersi
che il principio di buona fede e correttezza contrattuale, così come
sostenuto dai principi solidaristici di matrice costituzionale, operi,
in relazione agli interessi dell’investitore, mediante la
predeterminazione legislativa delle nullità di protezione predisposte a
suo esclusivo vantaggio, in funzione di riequilibrio generale ed
astratto delle condizioni negoziali garantite dalla conoscenza del testo
del contratto quadro, nonchè in concreto mediante la previsione di un
rigido sistema di obblighi informativi a carico dell’intermediario.
Tuttavia, non può escludersi la configurabilità di un obbligo di lealtà
dell’investitore in funzione di garanzia per l’intermediario che abbia
correttamente assunto le informazioni necessarie a determinare il
profilo soggettivo del cliente al fine di conformare gli investimenti
alle sue caratteristiche, alle sue capacità economiche e alla sua
propensione al rischio.
Può, pertanto, rilevarsi che anche nei contratti, quali quello
dedotto nel presente giudizio, caratterizzati da uno statuto di norme
non derogabili dall’autonomia contrattuale volte a proteggere il
contraente che strutturalmente è in una posizione di squilibrio rispetto
all’altro, il principio di buona fede possa avere un ambito di
operatività trasversale non limitata soltanto alla definizione del
sistema di protezione del cliente, in particolare se gli strumenti
normativi di riequilibrio possono essere utilizzati, anche in sede
giurisdizionale, non soltanto per rimuovere le condizioni di svantaggio
di una parte derivanti dalla violazione delle regole imposte al
contraente “forte” ma anche per arrecare un ingiustificato pregiudizio
all’altra, pur se applicate conformemente al paradigma legale.
17. Ritiene, pertanto, il Collegio, che la questione della
legittimità dell’uso selettivo delle nullità di protezione nei contratti
aventi ad oggetto servizi d’investimento debba essere affrontata
assumendo come criterio ordinante l’applicazione del principio di buona
fede, al fine di accertare se sia necessario alterare il regime
giuridico peculiare di tale tipologia di nullità, sotto il profilo della
legittimazione e degli effetti, per evitare che l’esercizio dell’azione
in sede giurisdizionale possa produrre effetti distorsivi ed estranei
alla ratio riequilibratrice in funzione della quale lo strumento di
tutela è stato introdotto.
17.1. Per svolgere in modo esauriente tale indagine è necessario,
in primo luogo, illustrare le opzioni alternative che si confrontano in
dottrina e sono rappresentate in due pronunce della prima sezione
civile, la n. 8395 del 2016 e la n. 6664 del 2018.
17.1.1. Il nucleo centrale della divergenza risiede proprio nella
diversa declinazione dell’ambito di operatività delle nullità di
protezione, in relazione alla correlazione tra legittimazione e
propalazione degli effetti. Ove si ritenga che il regime di protezione
si esaurisca nella legittimazione esclusiva del cliente (o nella
rilevabilità d’ufficio, nei limiti precisati nel par.15.2) a far valere
la nullità per difetto di forma, una volta dichiarata l’invalidità del
contratto quadro, gli effetti caducatori e restitutori che ne derivano
possono essere fatti valere da entrambe le parti. Il principio, posto a
base dell’accurata requisitoria dell’Avvocato Generale, è stato così
espresso in Cass. n. 6664 del 2018:
“una volta che sia privo di effetti il contratto d’intermediazione
finanziaria destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti in
quanto esso sia dichiarato nullo, operano le regole comuni dell’indebito
(art. 2033 c.c.) non altrimenti derogate. La disciplina del pagamento dell’indebito è invero richiamata dall’art. 1422 c.c.:
accertata la mancanza di una causa adquirendi- in caso di nullità (…)
l’azione accordata dalla legge per ottenere la restituzione di quanto
prestato in esecuzione dello stesso è quella di ripetizione
dell’indebito oggettivo; la pronuncia del giudice è l’evenienza che
priva di causa giustificativa le reciproche obbligazioni dei contraenti e
dà fondamento alla domanda del solvens di restituzione della
prestazione rimasta senza causa”.
17.1.2. L’opinione radicalmente contraria si fonda invece
sull’operatività piena, processuale e sostanziale, del regime giuridico
delle nullità di protezione esclusivamente a vantaggio del cliente
(nella specie dell’investitore), anche ove l’invalidità riguardi
l’intero contratto. L’intermediario non può avvalersi della
dichiarazione di nullità in relazione alle conseguenze, in particolare
restitutorie, che ne possono scaturire a suo vantaggio, dal momento che
il regime delle nullità di protezione opera esclusivamente in favore
dell’investitore. Il contraente privo della legittimazione a far valere
le nullità di protezione può, di conseguenza, subire soltanto gli
effetti della dichiarazione di nullità selettivamente definiti
nell’azione proposta dalla parte esclusiva legittimata, non potendo far
valere qualsiasi effetto “vantaggioso” che consegua a tale declaratoria.
L’indebito, così come previsto nell’art. 1422 c.c.,
può operare solo ove la legge non limiti con norma inderogabile la
facoltà di far valere la nullità ed i suoi effetti in capo ad uno dei
contraenti, essendo direttamente inciso dallo “statuto” speciale della
nullità cui si riferisce. Le nullità di protezione sono poste a presidio
esclusivo del cliente. Egli ex lege ne può trarre i vantaggi (leciti)
che ritiene convenienti. La selezione degli ordini sui quali dirigere la
nullità è una conseguenza dell’esercizio di un diritto predisposto
esclusivamente in suo favore. Una diversa interpretazione del sistema
delle nullità di protezione condurrebbe all’effetto, certamente non
voluto dal legislatore, della sostanziale abrogazione dello speciale
regime d’intangibilità ed impermeabilità proprio delle nullità di
protezione (Cass. 8395 del 2016). In particolare, con riferimento alla
tipologia contrattuale oggetto del presente giudizio, l’investitore, ove
fosse consentito all’intermediario di agire ex art. 2033 c.c.,
non potrebbe mai far valere il difetto di forma di alcuni ordini in
relazione ad un rapporto di lunga durata che abbia avuto parziale
esecuzione, perchè le conseguenze economico patrimoniali sarebbero per
lui verosimilmente quasi sempre pregiudizievoli, così vanificandosi la
previsione legale di un regime di protezione destinato ad operare a suo
esclusivo vantaggio.
18. Vi è una terza opzione che rinviene nel principio della buona
fede, variamene declinato, lo strumento più adeguato, per affrontare il
tema dell’uso eventualmente distorsivo dello strumento delle nullità di
protezione in funzione selettiva, perchè, senza alterarne il regime
giuridico ed in particolare l’unilateralità dello strumento di tutela
legislativamente previsto, consente, per la sua adattabilità al caso
concreto, di ricostituire l’equilibrio effettivo della posizione
contrattuale delle parti, impedendo effetti di azioni esercitate in modo
arbitrario o nelle quali può cogliersi l’abuso dello strumento di
“protezione” ad esclusivo detrimento dell’altra parte. Già nelle
ordinanze interlocutorie n. 12388, 12389 e 12390 del 2017, nelle quali
la questione della legittimità dell’uso selettivo della nullità era
subordinata a quella principale relativa alla validità, sotto il profilo
del requisito di forma, del contratto quadro sottoscritto dal solo
investitore, era stata prospettata l’esperibilità dell’exceptio doli
generalis, al fine di paralizzare l’uso selettivo della nullità,
ritenendo centrale nell’esaminare la questione, il rilievo della buona
fede “come criterio valutativo della regola contrattuale”.
Nell’ordinanza interlocutoria n. 23927 del 2018, dalla quale è scaturito
il presente giudizio, anche alla luce degli orientamenti, ancorchè non
univoci che sono intervenuti medio tempore (Cass. 6664 e 10116 del 2018)
è stata posta in evidenza la questione della compatibilità tra il
peculiare regime delle nullità protettive nei contratti
d’intermediazione finanziaria e l’opponibilità della “eccezione di
correttezza e di buona fede”, in funzione della individuazione di un
punto di equilibrio tra le esigenze di garanzia degli investimenti dei
privati in relazione alla collocazione dei propri risparmi (art. 47 Cost.) e la tutela dell’intermediario anche in funzione della certezza dei mercati in materia d’investimenti finanziari.
19. La dottrina non ha prospettato soluzioni univoche, formulando
indicazioni variamente assimilabili a quelle che hanno caratterizzato
gli orientamenti giurisprudenziali sopra illustrati. Come riscontrato
anche nel confronto tra le due ordinanze interlocutorie che hanno posto
alle S.U. la questione della legittimità dell’uso selettivo delle
nullità di protezione, il principio di buona fede non è stato preso in
considerazione in modo univoco. Si è affermato che attraverso la
formulazione dell’exceptio doli generalis si possa impedire in via
generale l’uso selettivo delle nullità di protezione, in quanto dettato
esclusivamente dall’intento di colpire gli investimenti non redditizi
(la tesi viene prospettata seppure in via ipotetica nelle ordinanze
interlocutorie n. 12388,12389 12390 del 2017). In questa lettura
l’azione di nullità, ove sia diretta a colpire alcuni soltanto degli
ordini eseguiti, viene ritenuta intrinsecamente connotata da un intento
opportunistico che va oltre la funzione di protezione voluta dal
legislatore. Rispetto alla tesi illustrata nel par. 17.1.1, la
differenza si può cogliere nell’effetto esclusivamente paralizzante
conseguente alla formulazione dell’eccezione, rimanendo preclusa
all’intermediario l’esercizio dell’azione di ripetizione dell’indebito.
La tesi esposta postula che l’uso selettivo delle nullità di
protezione determini sempre la violazione del canone di buona fede.
L’investitore, ove intraprenda l’azione, si pone nella condizione di
produrre un pregiudizio economico ingiustificato all’altra parte dovuto
alla natura potestativa ed unilaterale della selezione operata.
L’exceptio doli, così configurata, ricorrerebbe sempre in via generale
ed astratta e deriverebbe dall’uso della nullità selettiva, ancorchè
astrattamente lecito. La tesi viene criticata per la sua assolutezza
perchè, pur non escludendo la formale applicazione dello statuto
normativo delle nullità di protezione, ne trascura la funzione di
reintegrazione di una preesistente condizione di squilibrio strutturale
che permea le fattispecie contrattuali nelle quali trova applicazione e
d’inveramento del sistema assiologico fondato sui principi di
uguaglianza, solidarietà e tutela del risparmiatore ritraibili dalla
Costituzione. Inoltre, con tale impostazione, si trascura la strutturale
vocazione delle nullità protettive ad un uso selettivo, ancorchè non
arbitrario, in quanto correlato alla operatività a vantaggio esclusivo
di uno dei contraenti.
20. Nel solco dell’applicazione in chiave riequilibratrice del
principio di buona fede si collocano posizioni intermedie che, partendo
dalla legittimità dell’azione di nullità cd. selettiva da parte del
cliente, ovvero di una domanda formulata in relazione ad alcuni ordini
d’investimento, ritengono che da parte dell’intermediario possa essere
fatta valere l’exceptio doli generalis ove l’esercizio del diritto da
parte dell’investitore sia avvenuto in malafede attraverso una
valutazione che deve essere svolta in concreto secondo parametri
oggettivi e soggettivi sui quali, tuttavia, non si riscontra unitarietà
di vedute.
Viene escluso, al riguardo, che il possibile conflitto tra la
specifica istanza di solidarietà costituita dal regime peculiare delle
nullità di protezione e quella che scaturisce dal principio di
affidamento, possa trovare una soluzione, stabilendo un criterio di
prevalenza applicabile in ogni ipotesi, tenuto conto che la dinamica
selettiva è ipotizzabile esclusivamente nelle nullità di protezione.
L’affidamento, che costituisce il nucleo costitutivo della nozione di
buona fede, ha un sicuro ancoraggio costituzionale nell’art. 2 Cost..
Le nullità di protezione, come evidenziato da S.U. 26242 del 2014,
fondano l’inderogabilità del loro statuto, contrassegnato
dall’operatività a “vantaggio” del cliente, non solo sull’art. 2 ma
anche sull’art. 3 (essendo finalizzate a rimuovere il primo grado
dell’asimmetria informativa) e sull’art. 41 cui si aggiunge, per
l’intermediazione finanziaria, la tutela del risparmio (art. 47 Cost.).
Poichè le nullità di protezione costituiscono, dunque, una diretta
attuazione di principi costituzionali, tale qualificazione non è priva
di conseguenze in relazione alla concorrente operatività del principio
di buona fede come criterio arginante l’uso arbitrario dello strumento
di tutela. Ne consegue che la mera invocazione di effetti selettivi da
parte del cliente non può giustificare di per sè – pena lo svuotamento e
la vanificazione della funzione delle nullità di protezione e della
connessa tutela giurisdizionale,-l’automatica opponibilità da parte
dell’intermediario dell’exceptio doli generalis. L’eccezione, secondo
una delle tesi in campo, può essere proposta per paralizzare l’azione
volta a far valere le nullità di protezione in funzione selettiva, tutte
le volte che l’investitore ponga in essere una condotta soggettivamente
connotata da malafede o frode ovvero preordinata alla produzione di un
pregiudizio per l’intermediario, non ravvisandosi alcuna incompatibilità
tra l’esercizio dell’azione di nullità e la predetta eccezione ma solo
la necessità di un adeguato bilanciamento da svolgersi secondo il
paradigma contenuto nell’art. 1993 c.c., comma 2, e art. 2384 c.c.,
comma 2, individuabile nel non potere agire, neanche attraverso
l’esercizio di un proprio diritto, arrecando intenzionalmente danno
all’altra parte. Lo statuto protettivo dell’investitore non può
determinare a suo vantaggio, un regime di sostanziale irresponsabilità
ed esonerarlo dal controllo della conformità del suo agire, in quanto la
regola di buona fede, assiologicamente espressiva del dovere di
solidarietà costituzionale e costituente il tessuto connettivo dei
rapporti contrattuali, impone tale verifica di conformità purchè svolta
in concreto.
In conclusione, secondo questa prospettazione, occorre verificare
se l’azione è stata preordinata alla produzione di un pregiudizio per
l’altro contraente.
21. La tesi sopra illustrata si espone a rilievi critici per aver
limitato l’opponibilità dell’exceptio doli alla valutazione della buona
fede soggettiva così da escludere ogni rilevanza alla oggettiva
determinazione di un ingiustificato e sproporzionato sacrificio di una
sola controparte contrattuale. Al fine di poter svolgere un giudizio
comparativo che tenga conto anche della eventuale violazione della buona
fede sotto il profilo oggettivo del pregiudizio arrecabile ad una sola
delle parti, si è fatto ricorso alla categoria dell’abuso del diritto,
in relazione al quale non è sufficiente che una parte del contratto
abbia tenuto una condotta non idonea a salvaguardare gli interessi
dell’altra, quando tale condotta persegua un risultato lecito attraverso
mezzi legittimi, essendo, invece, configurabile allorchè il titolare di
un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti
con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e
buona fede, al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori
rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà sono attribuiti
(Cass. 15885 del 2013; 10568 del 2018). Non è configurabile un abuso che
derivi soltanto dall’aver voluto conseguire un proprio vantaggio
economico mediante uno strumento di tutela previsto dall’ordinamento
che, peraltro, deriva, dall’attivazione di uno statuto di tutela
inderogabile, essendo necessario che il fine dell’azione sia incoerente
rispetto a quello legale in funzione del quale è stato attribuito il
diritto di agire (Cass.29792 del 2017,
in relazione alla configurabilità dell’abuso del diritto potestativo
dei soci di una società di capitali che rappresentino un terzo del
capitale sociale, di chiedere il differimento dell’assemblea ove
dichiarino di non essere stati sufficientemente informati) o determini
effetti del tutto sproporzionati rispetto al fine di tutela per cui si è
agito.
22. Alla luce delle considerazioni svolte, ritiene il Collegio, in
risposta al quesito formulato nel par. 17, di dovere, preliminarmente,
escludere entrambe le opzioni che prescindono del tutto dalla
considerazione del principio di buona fede o perchè negano la
legittimità dell’uso selettivo delle nullità di protezione fino al
riconoscimento del diritto a richiedere la ripetizione dell’indebito in
relazione agli investimenti non selezionati dall’investitore ma travolti
dalla nullità del contratto quadro, o perchè ne considerano legittima
l’azione senza alcun limitazione, ritenendo tale soluzione l’unica
coerente con l’operatività ad esclusivo vantaggio del cliente delle
nullità di protezione. In contrasto con le tesi criticate, il Collegio
reputa che la questione della legittimità dell’uso selettivo delle
nullità di protezione nei contratti aventi ad oggetto servizi
d’investimento, possa essere risolta ricorrendo, come criterio
ordinante, al principio di buona fede, da assumere, tuttavia, in modo
non del tutto coincidente con le illustrate declinazioni dell’exceptio
doli generalis e dell’abuso del diritto.
22.1 Al riguardo si ritiene di dover ribadire che, in relazione ai
contratti d’investimento che costituiscono l’oggetto del presente
giudizio, della dichiarata invalidità del contratto quadro, ancorchè
accertata con valore di giudicato, come già rilevato nei par.13 e 13.1,
può avvalersi soltanto l’investitore, sia sul piano sostanziale della
legittimazione esclusiva che su quello sostanziale dell’operatività ad
esclusivo vantaggio di esso.
22.2 L’uso selettivo del rilievo della nullità del contratto quadro
non contrasta, in via generale, con lo statuto normativo delle nullità
di protezione ma la sua operatività deve essere modulata e conformata
dal principio di buona fede secondo un parametro da assumersi in modo
univoco e coerente. Ove si ritenga che l’uso selettivo delle nullità di
protezione sia da stigmatizzare ex se, come contrario alla buona fede,
solo perchè limitato ad alcuni ordini di acquisto, si determinerà un
effetto sostanzialmente abrogativo del regime giuridico delle nullità di
protezione, dal momento che si stabilisce un’equivalenza, senza alcuna
verifica di effettività, tra uso selettivo delle nullità e violazione
del canone di buona fede. Deve rilevarsi, tuttavia, l’insufficienza
anche della esclusiva valorizzazione della buona fede soggettiva, ove
ravvisabile solo se si dimostri un intento dolosamente preordinato a
determinare effetti pregiudizievoli per l’altra parte.
22.3 Al fine di modulare correttamente il meccanismo di
riequilibrio effettivo delle parti contrattuali di fronte all’uso
selettivo delle nullità di protezione, non può mancare un esame degli
investimenti complessivamente eseguiti, ponendo in comparazione quelli
oggetto dell’azione di nullità, derivata dal vizio di forma del
contratto quadro, con quelli che ne sono esclusi, al fine di verificare
se permanga un pregiudizio per l’investitore corrispondente al petitum
azionato. In questa ultima ipotesi deve ritenersi che l’investitore
abbia agito coerentemente con la funzione tipica delle nullità
protettive, ovvero quella di operare a vantaggio di chi le fa valere.
Pertanto, per accertare se l’uso selettivo della nullità di protezione
sia stato oggettivamente finalizzato ad arrecare un pregiudizio
all’intermediario, si deve verificare l’esito degli ordini non colpiti
dall’azione di nullità e, ove sia stato vantaggioso per l’investitore,
porlo in correlazione con il petitum azionato in conseguenza della
proposta azione di nullità. Può accertarsi che gli ordini non colpiti
dall’azione di nullità abbiano prodotto un rendimento economico
superiore al pregiudizio confluito nel petitum. In tale ipotesi, può
essere opposta, ed al solo effetto di paralizzare gli effetti della
dichiarazione di nullità degli ordini selezionati, l’eccezione di buona
fede, al fine di non determinare un ingiustificato sacrificio economico
in capo all’intermediario stesso. Può, tuttavia, accertarsi che un danno
per l’investitore, anche al netto dei rendimenti degli investimenti
relativi agli ordini non colpiti dall’azione di nullità, si sia comunque
determinato. Entro il limite del pregiudizio per l’investitore
accertato in giudizio, l’azione di nullità non contrasta con il
principio di buona fede. Oltre tale limite, opera, ove sia oggetto di
allegazione, l’effetto paralizzante dell’eccezione di buona fede. Ne
consegue che, se, come nel caso di specie, i rendimenti degli
investimenti non colpiti dall’azione di nullità superino il petitum,
l’effetto impeditivo è integrale, ove invece si determini un danno per
l’investitore, anche all’esito della comparazione con gli altri
investimenti non colpiti dalla nullità selettiva, l’effetto paralizzante
dell’eccezione opererà nei limiti del vantaggio ingiustificato
conseguito.
23. La soluzione della questione sottoposta all’esame del Collegio può, in conclusione, così essere sintetizzata.
Anche in relazione al D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23,
comma 3, il regime giuridico delle nullità di protezione opera sul
piano della legittimazione processuale e degli effetti sostanziali
esclusivamente a favore dell’investitore, in deroga agli artt. 1421 e 1422 c.c.
L’azione rivolta a far valere la nullità di alcuni ordini di acquisto
richiede l’accertamento dell’invalidità del contratto quadro. Tale
accertamento ha valore di giudicato ma l’intermediario, alla luce del
peculiare regime giuridico delle nullità di protezione, non può
avvalersi degli effetti diretti di tale nullità e non è conseguentemente
legittimato ad agire in via riconvenzionale od in via autonoma ex artt. 1422 e 2033 c.c.. I principi di solidarietà ed uguaglianza sostanziale, di derivazione costituzionale (artt. 2,3,41 e 47 Cost.,
quest’ultimo con specifico riferimento ai contratti d’investimento) sui
quali le S.U., con la pronuncia n. 26642 del 2014, hanno riposto il
fondamento e la ratio delle nullità di protezione operano, tuttavia,
anche in funzione di riequilibrio effettivo endocontrattuale quando
l’azione di nullità, utilizzata, come nella specie, in forma selettiva,
determini esclusivamente un sacrificio economico sproporzionato
nell’altra parte. Limitatamente a tali ipotesi, l’intermediario può
opporre all’investitore un’eccezione, qualificabile come di buona fede,
idonea a paralizzare gli effetti restitutori dell’azione di nullità
selettiva proposta soltanto in relazione ad alcuni ordini. L’eccezione
sarà opponibile, nei limiti del petitum azionato, come conseguenza
dell’azione di nullità, ove gli investimenti, relativi agli ordini non
coinvolti dall’azione, abbiano prodotto vantaggi economici per
l’investitore. Ove il petitum sia pari od inferiore ai vantaggi
conseguiti, l’effetto impeditivo dell’azione restitutoria promossa
dall’investitore sarà integrale. L’effetto impeditivo sarà, invece,
parziale, ove gli investimenti non colpiti dall’azione di nullità
abbiano prodotto risultati positivi ma questi siano di entità inferiore
al pregiudizio determinato nel petitum.
L’eccezione di buona fede operando su un piano diverso da quello
dell’estensione degli effetti della nullità dichiarata, non è
configurabile come eccezione in senso stretto non agendo sui fatti
costitutivi dell’azione (di nullità) dalla quale scaturiscono gli
effetti restitutori, ma sulle modalità di esercizio dei poteri
endocontrattuali delle parti. Deve essere, tuttavia, oggetto di
specifica allegazione.
24. La soluzione della questione di massima di particolare
importanza rimessa all’esame delle S.U. può essere risolta alla luce del
seguente principio di diritto:
“La nullità per difetto di forma scritta, contenuta nel D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23,
comma 3, può essere fatta valere esclusivamente dall’investitore con la
conseguenza che gli effetti processuali e sostanziali dell’accertamento
operano soltanto a suo vantaggio. L’intermediario, tuttavia, ove la
domanda sia diretta a colpire soltanto alcuni ordini di acquisto, può
opporre l’eccezione di buona fede, se la selezione della nullità
determini un ingiustificato sacrificio economico a suo danno, alla luce
della complessiva esecuzione degli ordini, conseguiti alla conclusione
del contratto quadro”.
25. Ne consegue, in relazione al secondo motivo di ricorso, che deve essere confermata, con correzione della motivazione ex art. 384 c.p.c.,
u.c., la statuizione contenuta nella pronuncia impugnata, alla luce del
principio di diritto di cui al par. 24. Rigettati il secondo e terzo
motivo, è rimesso all’esame della prima sezione civile l’esame dei
rimanenti e la statuizione sulle spese processuali del presente
procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il secondo e terzo motivo. Rimette l’esame degli altri alla
sezione semplice, anche in relazione alle spese del presente
procedimento.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 9 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2019