Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2831 del 09/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 09/02/2010, (ud. 26/11/2009, dep. 09/02/2010), n.2831

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. BARDOVAGNI Paolo – Consigliere –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20845-2005 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

CONFEZIONI PATRIZIA SRL;

– intimata –

sul ricorso 26351-2005 proposto da:

CONFEZIONI PATRIZIA SRL in persona dell’Amministratore e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE

ANGELICO 38, presso lo studio dell’avvocato DEL VECCHIO SERGIO, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSTOZZI PAOLO,

giusta delega a margine;

– controricorrente con ricorso incidentale –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 36/2005 della COMM. TRIB. REG. di ANCONA,

depositata il 19/05/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/11/2009 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito per il ricorrente l’Avvocato dello Stato SANTORO, che ha

chiesto l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato GIUSTOZZI, che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

per quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 19/5/2005 la Commissione Tributaria Regionale delle Marche, rigettato quello incidentale e in accoglimento del gravame in via principale interposto dalla società Confezioni Patrizia s.r.l., riformava la pronunzia della Commissione Tributaria Provinciale di Ancona di parziale accoglimento dell’opposizione dalla contribuente spiegata nei confronti di avviso di accertamento emesso – all’esito di p.v.c. dall’Agenzia delle entrate di Ancona a titolo di I.R.A.P., I.V.A. ed I.R.P.E.G. per l’anno d’imposta 1998.

Avverso la suindicata sentenza del giudice dell’appello l’Agenzia delle entrate propone ora ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi.

Resiste con controricorso la società Confezioni Patrizia s.r.l. (ora C.P.F. s.r.l.), che spiega altresì ricorso incidentale sulla base di unico, complesso motivo, illustrato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1^ motivo la ricorrente principale denunzia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, art. 2727 ss. c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che il giudice dell’appello abbia “fondato la propria decisione di annullare la ricostruzione dei ricavi operata dall’Ufficio” utilizzando “come base dei propri conteggi i consumi medi di tessuto rilevati presso la società ITS, che sarebbe soggetto diverso dalla società accertata”, laddove “la ITS era controllata al 99% dalla Confezioni Patrizia … che produceva i capi per la società ricorrente. Vi era, quindi, piena corrispondenza fra la produzione delle due società e, pertanto, il dato relativo ai consumi rilevati presso la prima sarebbe stato, come è stato, correttamente utilizzabile per l’altra. Tanto più che il calcolo dei consumi e dei costi, per la produzione relativa all’anno 2001, è stato effettuato proprio dalla ITS per conto della Confezioni Patrizia … Nè corrisponde al vero che i consumi medi rilevati dai verificatori si riferiscono ad un periodo temporale del tutto diverso. Infatti, a pag. 18 del ricorso in primo grado si legge chiaramente che “I consumi medi presso la ITS erano stati rilevati dai verificatori sulla base delle bolle di lavorazione”. Ed allora, come può la ricorrente affermare, e la Commissione confermare, che il tentativo di ricostruzione si basa su dati riferiti ad altra società per un periodo temporale diverso (2001) ed applicati alla Confezioni Patrizia per il 1998?. Nel contesto dal verbale emerge in modo chiaro che nel 2001 la ITS non si occupava più della produzione di capi, ma commercializzava soltanto quelli prodotti dalla società ricorrente, motivo per cui sarebbe stato matematicamente impossibile basare la ricostruzione su consumi di una società che tali consumi non aveva”.

Lamenta essere “errato, come si rileva da quanto detto sopra in relazione ai rapporti con la società controllata ITS, che non sia valida la base di partenza costituita dal dato certo, in quanto esso è l’incontestabile consumo totale della stoffa e non, come detto dalla commissione, il consumo medio per capo rilevato dai verificatori dalla documentazione della ITS, posto che quest’ultimo è, al contrario, esattamente il risultato della presunzione come fatto incerto derivato, e non il punto di partenza certo. Onde, altresì, un ulteriore difetto motivazionale denotato dalla decisione che si grava”.

Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

Come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare, i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa, con – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito.

Sebbene l’esposizione sommaria dei fatti di causa non deve necessariamente costituire una premessa a sè stante ed autonoma rispetto ai motivi di impugnazione, è tuttavia indispensabile, per soddisfare la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, che il ricorso, almeno nella parte destinata alla esposizione dei motivi, offra, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonchè delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il ricorso, senza necessità di attingere ad altre fonti, ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di merito, la sentenza impugnata ed il ricorso per cassazione (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass., 17/4/2000, n. 4937; Cass., 22/5/1999, n. 4998). E’ cioè indispensabile che dal solo contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del “fatto”, sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (v. Cass., 4/6/1999, n. 5492).

Allorquando con quest’ultimo viene come nella specie in particolare denunziato il vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto non è infatti sufficiente una doglianza meramente apodittica e non seguita da alcuna dimostrazione, la stessa non consentendo alla Corte di legittimità di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali la pronunzia impugnata è fatta oggetto di censura (v.

Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 15/2/2003, n. 2312; Cass., 21/8/1997, n. 7851).

Avuto riguardo al pure denunziato vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 va per altro verso ribadito che esso si configura solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (in particolare cfr. Cass., 25/2/2004, n. 3803).

Tale vizio non consiste invero nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (v. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass., 20/10/2005, n. 20322).

La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., 7/3/2006, n. 4842; Cass., 27/4/2005, n. 8718).

Orbene, i suindicati principi risultano invero non osservati dall’odierna ricorrente.

Già sotto l’assorbente profilo dell’autosufficienza, va posto in rilievo che la medesima fa richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito (in particolare, all'”appello della società”, alla circostanza “che i verificatori dell’Agenzia hanno utilizzato come base dei propri conteggi i consumi medi di tessuto rilevati presso la società ITS, che sarebbe soggetto diverso dalla società accertata”;

a quanto dall'”Ufficio … esaurientemente argomentato sia in primo sia in secondo grado”, al “verbale”, all'”accertamento effettuato dall’Ufficio”, alle “scritture contabili”, ai “rapporti con la società controllata ITS”, alla “ricostruzione basata su elementi certi e obiettivi tali da far ritenere sicuramente infedele la dichiarazione”, alla “rettifica”), limitandosi a meramente rinviare agli atti del giudizio di merito, senza invero debitamente riprodurli nel ricorso.

A tale stregua non pone questa Corte nella condizione di effettuare il richiesto controllo (anche in ordine alla tempestività e decisività dei denunziati vizi), da condursi sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., l/2/1995, n. 1161).

Le doglianze si presentano d’altro canto inammissibilmente formulate in termini apodittici, e la critica alle soluzioni adottate dal giudice di merito nell’impugnato provvedimento risulta operata invero non già mediante puntuali contestazioni delle soluzioni stesse nell’ambito d’una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate, bensì mediante la mera contrapposizione – in sede di legittimità invero non consentita – di queste ultime a quelle poste a base dell’impugnata sentenza.

A tale stregua, anzichè denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni dell’odierna ricorrente in via principale (che, va ulteriormente osservato, non formula d’altro canto una denunzia di vizio ex art. 112 c.p.c. sotto il profilo dell’errar in procedendo), oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., n. 4, si risolvono nella mera doglianza circa l’asseritamente erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v.

Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr., da ultimo, Cas., 18/4/2006, n. 8932).

Con il 2^ motivo la ricorrente principale denunzia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, art. 295 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 39 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

Lamenta che erroneamente nell’impugnata sentenza risulta affermato che “l’accertamento in rettifica relativo alla ITS potrà influenzare il bilancio dell’appellante solo a seguito della conseguita definitività”, laddove ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 “l’accertamento dell’Ufficio è vincolato a termini di decadenza molto rigidi ivi previsti”.

Il motivo è fondato nei termini di seguito indicati.

Con motivazione che lo stesso controricorrente definisce “molto stringata”, il giudice dell’appello afferma essere “corretto il comportamento della società che, a fronte di bilanci regolarmente approvati, ha provveduto alla svalutazione della partecipazione, e questo nel rispetto delle norme di predisposizione del bilancio poste a tutela dei soci e dei terzi. L’accertamento in rettifica dell’Ufficio potrà poi influenzare il bilancio dell’appellante, mediante una correzione in aumento delle poste economiche positive, solo a seguito della definitività dello stesso e nei limiti eventualmente riconosciuti”.

L’affermazione censurata si appalesa in effetti apodittica ed inidonea a fare intendere come risulti tale indicazione risulti nell’impugnata sentenza raccordata con i termini previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43.

Con unico complesso motivo la ricorrente incidentale denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè omessa motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che il giudice dell’appello, così come quello di prime cure, abbia omesso di pronunziare in merito alla dedotta nullità “per mancata allegazione all’avviso di accertamento del citato processo verbale, al quale tanto il p.v.c. notificato alla Confezioni Patrizia che il pedissequo avviso di accertamento, impugnato nel presente procedimento, hanno fatto espresso richiamo”.

Allegazione invero costituente “adempimento normativo indefettibile dell’obbligo di motivazione”, atteso che nella specie l’impugnato avviso di accertamento contiene “rimando al p.v.c. il quale a sua volta fa richiamo ad altro processo verbale di constatazione, redatto nei confronti di altro soggetto”.

Sicchè tale omissione “incide, oltre che sul mancato assolvimento dell’onere della prova, sulla stessa legittimità dell’atto impugnato, da essa inficiato di nullità assoluta”.

Lamenta che”la mancata allegazione all’avviso di accertamento e la notifica, in uno ad esso, del p.v.c. nei confronti della ITS hanno leso il diritto di difesa ed hanno impedito sia al Giudice che alla parte di conoscere il contenuto e la provenienza degli elementi di quanto meramente affermato e riferito nel p.v.c. redatto nei confronti della Confezioni Patrizia a proposito di circostanze riguardanti altro soggetto giuridico”.

Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

Oltre a palesare violazione del principio di autosufficienza, laddove fa richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito (in particolare, all'”atto di appello”, all'”avviso di accertamento impugnato”, al “p.v.c.”, al “risultato d’esercizio della Confezioni Patrizia s.r.l.”, alla “verifica fiscale” nei confronti della società I.T.S. s.r.l., alla “notifica” dell’avviso di accertamento), limitandosi a meramente rinviare agli atti del giudizio di merito, senza invero debitamente riprodurli (se non, ma parzialmente, il p.v.c. ) nel ricorso, appare d’altro canto sufficiente osservare come emerga dall’impugnata sentenza l’avvenuto “deposito in giudizio da parte dell’Ufficio dello stralcio del P.C.V. emesso a carico della società I.T.S. s.r.l.”, non risultando di tale copia stralcio dall’odierno ricorrente in via incidentale invero denunziata l’insufficienza o l’inidoneità.

L’accoglimento del ricorso principale comporta la cassazione in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale delle Marche, che facendo del suindicato principio applicazione procederà a nuovo esame, e provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi accoglie il 2^ motivo del ricorso principale, rigettato il 1^ed il ricorso incidentale. Cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale delle Marche.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2010

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