Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2831 del 05/02/2021

Cassazione civile sez. III, 05/02/2021, (ud. 15/09/2020, dep. 05/02/2021), n.2831

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. CRICENTI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35821-2018 proposto da:

S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ROBERTO

SCOTT, 62, presso lo studio dell’avvocato ELISABETTA PACE, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ROBERTO

SCOTT, 62, presso lo studio dell’avvocato ELISABETTA PACE, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrenti –

e contro

G.I., SA.AN., AXA ASSICURAZIONI SPA;

– intimati –

Nonchè da:

G.I., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AURELIA, 424,

presso lo studio dell’avvocato RICCARDO MANGIONE, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrenti incidentali –

e contro

S.M., AXA ASSICURAZIONI SPA, SA.AN.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2779/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 02/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/09/2020 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 2/5/2018 la Corte d’Appello di Roma, in parziale accoglimento dei gravami interposti dal sig. S.M. – in via principale – e dal sig. G.I. – in via incidentale – e in conseguente parziale riforma della pronunzia Trib. Roma n. 23573 del 2011: a) ha ritenuto il G. responsabile del mancato pagamento da parte della società Axa Assicurazioni s.p.a. dell’indennizzo assicurativo in favore del S. all’esito dell’incendio verificatosi il (OMISSIS) nell’appartamento di sua proprietà per mancato tempestivo pagamento del premio relativo al contratto di assicurazione stipulato dal Condominio; b) ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni proposta dal S. nei confronti del G., per mancanza di prova certa in ordine all’ammontare del danno.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il S. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 5 motivi.

Resistono con separati controricorsi la società Axa Assicurazioni s.p.a. e il G., il quale ultimo spiega altresì ricorso incidentale sulla base di 13 motivi. L’altra intimata non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 e il 4 motivo il ricorrente in via principale denunzia violazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Con il 5 motivo denunzia violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente individuato il petitum oggetto del giudizio, avendo espressamente domandato la condanna del G. al risarcimento dei danni subiti per la “perdita del diritto di richiedere ed ottenere da Axa Assicurazioni s.p.a. il risarcimento dei danni come previsto dalla Condizioni Generali di Polizza”, come “quantificati dal perito F.V…. incaricato dalla Compagnia Axa Ass.ni o, in subordine, come concordati tra il danneggiato e il perito della Compagnia Assicurativa, oltre ovviamente al danno da mancato godimento dell’immobile come previsto all’art. 12, punto M delle Condizioni generali di Polizza quantificato in Euro 10.000,00 ed agli ulteriori danni morali e biologici e patrimoniali derivanti dal negligente comportamento del convenuto, non solo le somme che la Compagnia gli avrebbe pagato ove la polizza fosse stata operativa”.

Lamenta che la corte di merito abbia ritenuto la mancanza di prova del quantum con motivazione meramente apparente, omettendo in particolare la valutazione e la quantificazione delle dedotte voci di danno, quali; “- mancato godimento dell’immobile; – morale e biologico, – le conseguenze patrimoniali connesse al mancato pagamento della polizza; – le ulteriori spese che si renderanno necessarie per il ripristino dell’immobile”.

Con il 2 motivo denunzia violazione dell’art. 1372 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

Si duole che, con motivazione apparente, la corte di merito abbia negato valore all’accertamento conservativo stipulato dal fiduciario dell’Axa in ordine al quantum risarcitorio spettantegli.

Con il 3 motivo denunzia “omesso esame” di fatto decisivo per la decisione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole non essersi dalla corte di merito considerato che la società Axa Assicurazioni s.p.a. aveva dedotto esclusivamente l’inoperatività della Polizza per mancato tempestivo pagamento del premio, senza nulla contestare in ordine al quantum dell’accertamento del danno.

Lamenta che la corte di merito ha “omesso di valutare il fato storico secondo cui la riserva apposta all’accertamento conservativo ha un solo ed univoco presupposto e fondamento: la verifica del mancato versamento del premio di polizza, al momento del verificarsi del sinistro”.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono p.q.r. fondati e vanno accolti nei termini e limiti di seguito indicati.

E’ rimasto in sede di merito accertato che all’esito di incendio sviluppatosi il (OMISSIS) nello stabile condominiale sito in (OMISSIS), è rimasto in particolare danneggiato l’appartamento di proprietà del condomino S., il quale ha “chiesto alla Axa Assicurazioni s.p.a., con la quale il Condominio aveva in essere una Polizza Globale Fabbricati, il pagamento dell’indennizzo per i danni subiti”; che “il perito dell’assicurazione, geom. F.V., aveva stimato i danni al fabbricato nell’importo complessivo di Euro 74.500,00 e concordato con esso danneggiato, con l’atto di accertamento conservativo del 2.8.2007, il pagamento di un indennizzo per complessivi Euro 65.000,00”; che “l’Axa, successivamente, avendo rilevato che il premio assicurativo, scaduto il 14.3.2007, era stato corrisposto solo in data 12.6.2007, aveva rifiutato il pagamento per mancata copertura assicurativa”; che l’odierno ricorrente ha pertanto proposto domanda nei confronti del G., chiedendo accertarsi la sua responsabilità ex art. 2043 c.c. “per non aver provveduto al tempestivo pagamento del premio assicurativo” e la conseguente condanna al risarcimento dei danni lamentati in conseguenza del “suo comportamento omissivo”, e in particolare dei “danni subiti dall’appartamento” e “per il mancato godimento dello stesso”, oltre al “risarcimento del danno morale e biologico”.

La domanda è stata rigettata dal giudice di prime cure, argomentando dal rilievo che “il G., quale amministratore e, quindi, mandatario, non poteva ritenersi responsabile del mancato pagamento del premio assicurativo, in quanto i condomini mandatari non gli avevano fornito le risorse necessarie per poter provvedere al pagamento – non essendovi in cassa fondi sufficienti – e i considerata la stretta contiguità temporale fra la materiale presa in consegna della gestione condominiale e la data di scadenza del rateo”.

Successivamente, il giudice dell’appello ha riformato la sentenza di primo grado sul punto.

Dopo aver dato atto che “pur essendo vero… che il G. ha assunto l’incarico di amministratore del Condominio in data 13.2.2007; che solo in data 6.3.2007 ha ricevuto in consegna dall’amministratore uscente la documentazione e la giacenza di cassa (a mezzo assegno); che in cassa non vi era il denaro sufficiente ad effettuare il pagamento del premio assicurativo; che non vi era il denaro sufficiente ad effettuare il pagamento del premio assicurativo; che non vi era il tempo necessario per procurarsi il denaro entro la data di scadenza del 14.3.2007”, diversamente dal giudice di prime cure ha del tutto correttamente affermato non essere peraltro revocabile “in dubbio che fosse compito del G., al fine di eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia, di adoperarsi presso i condomini per ottenere, nel più presso i condomini per ottenere, nel più breve tempo possibile -anche eventualmente a rata già scaduta – il denaro necessario per il pagamento, al fine di rendere il periodo di inoperatività della polizza il più breve possibile essendo notorio che la polizza assicurativa si riattiva al momento del pagamento del premio, anche se effettuato in ritardo, fino alla scadenza successiva. Del resto, per consolidata giurisprudenza “l’adempimento del mandato esige e ricomprende non solo il diligente compimento, da parte del mandatario, degli atti per i quali il mandato stesso è stato conferito, ma anche degli atti preparatori e strumentali, nonchè di quelli ulteriori che, dei primi, costituiscano il necessario completamento, e comporta, altresì il dovere di informare tempestivamente il mandante della eventuale mancanza o inidoneità dei documenti concorrenti all’esatto espletamento dell’incarico”.

Ribadito che era a tale stregua “onere del G., ai sensi dell’art. 1708 c.c., informare tempestivamente i condomini della situazione determinatasi e richiedere ai medesimi di effettuare, nel più breve tempo possibile, un’integrazione dei pagamenti per poter far fronte alle spese di ordinaria”; nonchè dimostrare, “per andare esente da responsabilità”, di “aver fatto tutto il possibile (informazione condomini, fissazione assemblea condominiale, recupero somme presso i morosi) per procurarsi il denaro sufficiente e di aver eseguito il pagamento non appena messo in condizione, dalla compagine condominiale, di poterlo fare”, del tutto logicamente e coerentemente la corte di merito è quindi pervenuta ad affermare essere nella specie “ravvisabile un comportamento negligente imputabile all’amministratore, e, quindi, una sua responsabilità per le conseguenze patrimoniali derivate al S. dall’omesso pagamento del premio in scadenza, sul presupposto che essendo pacifico che il rapporto che si instaura fra l’amministratore e il condominio costituisce un contratto di mandato, fosse onere della compagine condominiale, ai sensi dell’art. 1719 c.c., rendere disponibili al mandatario le risorse necessarie per l’esecuzione dell’incarico ricevuto”.

Ha quindi concluso che rientra “sicuramente fra i compiti dell’amministratore del condominio quello di provvedere all’ordinaria gestione e pertanto di curare il pagamento delle utenze e delle rate delle polizze assicurative in corso”. E, in “riforma della sentenza impugnata”, ha ritenuto il G. “responsabile del danno subito dal S. per il mancato introitamento dell’indennizzo assicurativo determinato dalla inoperatività della garanzia assicurativa”.

Peraltro, la corte di merito è poi pervenuta ad escludere che “a tale declaratoria” possa “seguire la condanna del G. al risarcimento del danno”, in mancanza di “prova” da parte del medesimo “dell’ammontare dello stesso”.

Posto in rilievo che nella specie “il danno risarcibile, in quanto direttamente conseguenza della condotta colposa del G., è pari all’importo che sarebbe stato corrisposto dalla compagnia assicuratrice ove la polizza stipulata dal condominio fosse stata operativa”, la corte di merito ha al riguardo sottolineato non essere stata “acquisita in atti prova certa dell’ammontare del danno non essendo stato dimostrato con la necessaria certezza l’ammontare dell’importo che sarebbe stato corrisposto al S. dalla società assicuratrice a titolo di indennizzo”, in quanto l'”accertamento conservativo depositato in atti non può costituire prova certa dell’importo che sarebbe stato corrisposto dall’Axa nel caso in cui la polizza fosse stata operativa”, non essendo stato “dimostrato che il danno cagionato al S. dall’illecito comportamento dell’amministratore (mancato pagamento del premio) sia pari all’importo di Euro 65.000,00 concordato con il perito assicurativo nell’atto di accertamento conservativo e mai ratificato dall’Axa”, nè avendo d’altro canto i “testi escussi… affermato che la stima dei danni, effettuata in sede di accordo conservativo, sarebbe stata corrisposta per intero dall’assicurazione”.

Orbene, siffatta conclusione è erronea.

Emerge evidente, alla stregua di quanto sopra riportato, che pur avendo ritenuto sussistente l’an del danno (evento) in ragione del “mancato introitamento” da parte dell’originario attore ed odierno ricorrente in via principale S. “dell’indennizzo assicurativo determinato dalla inoperatività della garanzia assicurativa”, cagionato dalla condotta colposa dell’originario convenuto ed odierno ricorrente in via incidentale G. (il quale, da un canto, non ha dimostrato di “aver fatto tutto il possibile (informazione condomini, fissazione assemblea condominiale, recupero somme presso i morosi) per procurarsi il denaro sufficiente e di aver eseguito il pagamento non appena messo in condizione, dalla compagine condominiale, di poterlo fare”, e, per altro verso, “senza alcuna plausibile spiegazione ha atteso fino al 16.2.2007 (due giorni dopo il verificarsi dell’incendio) per effettuare il versamento, dimostrando in tal modo di avere, comunque, in cassa la copertura patrimoniale sufficiente”), la corte di merito ha negato il risarcimento del danno – patrimoniale e non patrimoniale – in favore del S. per non essere stata da quest’ultimo “fornita la prova dell’ammontare dello stesso”.

La corte di merito ha in particolare negato potersi al riguardo attribuire “alcuna rilevanza probatoria in ordine al quantum” del danno all'”accertamento conservativo del danno sottoscritto in data 2.8.2007 dal S. unitamente al geom. F.V., quale perito dell’assicurazione”, non integrando esso “alcun riconoscimento di debito” da parte dell’assicurazione.

A parte il rilievo che la determinazione del quantum di risarcimento dovuto invero certamente non dipende in alcun modo dal “riconoscimento di debito” da parte del debitore/danneggiato, a tale stregua violato la corte di merito ha il principio della valutazione equitativa del danno – patrimoniale e non patrimoniale – ex art. 1226 c.c.

Risponde a principio consolidato che il ristoro pecuniario del danno patrimoniale deve normalmente corrispondere alla sua esatta commisurazione (artt. 1223,1224,1225,1225,1227 c.c.), valendo a rimuovere il pregiudizio economico subito dal danneggiato e restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione (cfr. Cass., 19/1/2007, n. 1183), restituendo al patrimonio del medesimo la consistenza che avrebbe avuto senza il verificarsi del fatto stesso (v. già Cass., 18/7/1989, n. 3352).

Esso deve essere pertanto determinato in relazione all’effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso, non essendo previsto l’arricchimento laddove non sussista una causa giustificatrice dello spostamento patrimoniale da un soggetto all’altro (v. Cass., 8/2/2012, n. 1781), sicchè ciò che viene in rilievo è il danno effettivo (cfr. Cass. Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972; Cass., 12/6/2008, n. 15814).

Atteso che il danno patrimoniale (cfr. Cass., 5/7/2002, n. 9740) si scandisce in danno emergente e lucro cessante, e ciascuna di queste “categorie” o “sottocategorie” è a sua volta compendiata da una pluralità di voci o aspetti o sintagmi (quali ad esempio, avuto riguardo al danno emergente, il mancato conseguimento del bene dovuto o la perdita di beni integranti il proprio patrimonio, il c.d. fermo tecnico, le spese (di querela per l’avvocato difensore, per il C.T., funerarie, ecc.); la perdita della clientela, la irrealizzazione di rapporti contrattuali con terzi, il discredito professionale, la perdita di prestazioni alimentari o lavorative, la perdita della capacità lavorativa specifica, la perdita della capacità lavorativa generica in conseguenza di lesione macropermanente, quanto al lucro cessante: v. Cass., 14/7/2015, n. 14645; Cass., 12/6/2015, n. 12211), i quali normalmente non ricorrono tutti sempre e comunque in ogni ipotesi di illecito o di inadempimento sicchè il relativo ristoro dipende dalla verifica della relativa sussistenza nello specifico caso concreto, spettando allora al giudice del merito accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative si siano verificate a carico del creditore/danneggiato e provvedere al relativo integrale ristoro (v. v. Cass., 14/7/2015, n. 14645; Cass., 13/5/2011, n. 10527; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972), con conseguente differente entità del quantum da liquidarsi al danneggiato/creditore nel singolo caso concreto.

E’ infatti necessario che in quanto sussistenti e provati tali voci o aspetti o sintagmi di cui la categoria generale del danno patrimoniale come detto si compendia vengano tutti risarciti, e nessuno sia lasciato privo di ristoro, nel liquidare l’ammontare dovuto a titolo di danno patrimoniale il giudice dovendo pertanto garantire che risulti sostanzialmente osservato il principio dell’integralità del ristoro nei suesposti termini.

L’onere della prova (anche) dell’ammontare del danno incombe al creditore/danneggiato (art. 2697 c.c.).

Peraltro, allorquando risulti dimostrata l’esistenza di un danno risarcibile certo (e non meramente eventuale o ipotetico) (cfr., da ultimo, Cass., 8/7/2014, n. 15478. E già Cass., 19/6/1962, n. 1536) e vi sia impossibilità o estrema difficoltà (v. Cass., 24/5/2010, n. 12613. E già Cass., 6/10/1972, n. 2904) di prova nel relativo preciso ammontare, la determinazione dell’ammontare del danno patrimoniale risarcibile è peraltro in alcuni caso possibile anche mediante valutazione equitativa ex art. 1226 c.c. (v. Cass., 14/7/2015, n. 14645; Cass., 12/6/2015, n. 12211).

Risponde a principio consolidato che la liquidazione equitativa dei danni è dall’art. 1226 c.c. rimessa al prudente criterio valutativo del giudice di merito non soltanto quando la determinazione del relativo ammontare sia impossibile ma anche quando la stessa, in relazione alle peculiarità del caso concreto, si presenti particolarmente difficoltosa (v. Cass., 4/4/2019, n. 9339; Cass., 9/5/2003, n. 7073; Cass., 17/5/2000, n. 6414. E già Cass., 4/7/1968, n. 2247), essendosi al riguardo da questa Corte precisato che il giudice può fare ricorso al criterio della liquidazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., ove ne sussistano le condizioni, anche senza domanda di parte, trattandosi di criterio rimesso al suo prudente apprezzamento, e tale facoltà può essere esercitata d’ufficio pure dal giudice di appello (v. Cass., 24/1/2020, n. 1636. E già Cass., 17/11/1961, n. 2655).

Atteso che anche di alcuni aspetti o voci del danno patrimoniale la valutazione in realtà non può essere che equitativa (es., del danno patrimoniale futuro: v. Cass., 12/6/2015, n. 12211), il ristoro pecuniario del danno non patrimoniale non può viceversa mai corrispondere alla relativa esatta commisurazione, imponendosene pertanto sempre la valutazione equitativa (v. Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972, cit.; Cass., 31/5/2003, n. 8828. E già Cass., 5/4/1963, n. 872. Cfr. altresì Cass., 10/6/1987, n. 5063; Cass., 1 /4/1980, n. 2112; Cass., 11/7/1977, n. 3106).

Attenendo alla qualificazione e non già all’individuazione del danno (non potendo valere a surrogare il mancato assolvimento dell’onere probatorio imposto all’art. 2697 c.c.: v Cass., 11/5/2010, n. 11368; Cass., 6/5/2010, n. 10957; Cass., 10/12/2009, n. 25820; e, da ultimo, Cass., 4/11/2014, n. 23425), la valutazione equitativa è volta a determinare “la compensazione economica socialmente adeguata” del pregiudizio, quella che “l’ambiente sociale accetta come compensazione equa” (in ordine al significato che nel caso assume l’equità v. Cass., 7/6/2011, n. 12408) e deve essere dal giudice condotta con prudente e ragionevole apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto, considerandosi in particolare la rilevanza economica del danno alla stregua della coscienza sociale e i vari fattori incidenti sulla gravità della lesione (v. Cass., 14/7/2015, n. 14645).

Al riguardo, si è da questa Corte posto in rilievo che, come avvertito anche in dottrina, l’esigenza di una tendenziale uniformità della valutazione di base della lesione non può d’altro canto tradursi in una preventiva tariffazione della persona, rilevando aspetti personalistici che rendono necessariamente individuate e specifica la relativa quantificazione nel singolo caso concreto (cfr. Cass., 31/5/2003, n. 8828).

Il danno non patrimoniale non può essere in ogni caso liquidato in termini puramente simbolici o irrisori o comunque non correlati all’effettiva natura o entità del danno (v. Cass., 12/5/2006, n. 11039; Cass., 11/1/2007, n. 392; Cass., 11/1/2007, n. 394), ma deve essere congruo.

E invero compito del giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul patrimonio e sul valore persona si siano verificate, e provvedendo al relativo integrale ristoro (v. Cass., 13/5/2011, n. 10527; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972).

Ai fini della valutazione equitativa del danno sia patrimoniale che non patrimoniale si è a tale stregua esclusa pertanto la possibilità di applicarsi in modo “puro” parametri rigidamente fissati in astratto giacchè, non essendo in tal caso consentito discostarsene, risulta garantita la prevedibilità delle decisioni ma assicurata una uguaglianza in realtà meramente formale, non anche sostanziale (cfr. Cass., 23/1/2014, n. 1361).

Del pari inidonea si è ravvisata una valutazione rimessa alla mera intuizione soggettiva del giudice, in assenza cioè di qualsivoglia criterio generale valido per tutti i danneggiali a parità di lesioni e pertanto in effetti rimessa al suo mero arbitrio (cfr. Cass., 23/1/2014, n. 1361).

Se una siffatta valutazione vale a teoricamente assicurare un’adeguata personalizzazione del risarcimento, non altrettanto può infatti dirsi circa la parità di trattamento e la prevedibilità della decisione (v. Cass., 7/6/2011, n. 12408).

Fondamentale è che, si è da questa Corte sottolineato, qualunque sia il sistema di quantificazione prescelto, si tratti di criterio idoneo a consentire di pervenire ad una valutazione informata ad equità, e che il giudice dia adeguatamente conto in motivazione del processo logico al riguardo seguito, indicando quanto assunto a base del procedimento valutativo adottato (v., da ultimo, Cass.,30/5/2014, n. 12265; Cass., 19/2/2013, n. 4047; Cass., 6/5/2009, n. 10401), al fine di consentire il controllo di relativa logicità, coerenza e congruità.

Atteso che con particolare riferimento alla liquidazione equitativa (financo nella sua forma c.d. “pura”), deve tenersi in considerazione che – come detto – essa consiste in un giudizio di prudente contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza sul danno nel caso concreto, si è da questa Corte posto in rilievo come il giudice, pur nell’esercizio di un potere di carattere discrezionale, sia chiamato a dare in motivazione conto della operata valutazione di ciascuno di essi, in modo da rendere evidente il percorso logico seguito nella propria determinazione e consentire il sindacato del rispetto dei principi del danno effettivo e dell’integralità del risarcimento, sicchè ove non risultino indicate le ragioni dell’operato apprezzamento nè richiamati gli specifici criteri utilizzati nella liquidazione, la sentenza incorre nel vizio di nullità per difetto di motivazione (v. Cass., 13/9/2018, n. 22272).

Com’è noto, in tema di risarcimento del danno non patrimoniale da sinistro stradale idonea soluzione si è ravvisata essere invero quella costituita dal sistema delle tabelle (v. Cass., 7/6/2011, n. 12408; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972. V. altresì Cass., 13/5/2011, n. 10527).

Lo stesso legislatore, oltre alla giurisprudenza, ha fatto ad esse espressamente riferimento.

In tema di responsabilità civile da circolazione stradale, il D.Lgs. n. 209 del 2005 ha introdotto la tabella unica nazionale per la liquidazione delle invalidità c.d. micropermanenti.

In assenza di tabelle normativamente determinate, ad esempio per le c.d. macropermanenti e per le ipotesi come nella specie diverse da quelle oggetto del suindicato decreto legislativo, il giudice fa normalmente ricorso a tabelle elaborate in base alle prassi seguite nei diversi tribunali (per l’affermazione che tali tabelle costituiscono il c.d. “notorio locale” v. in particolare Cass., 1/6/2010, n. 13431), la cui utilizzazione è stata dalle Sezioni Unite avallata nei limiti in cui, nell’avvalersene, il giudice proceda ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno non patrimoniale, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, al fine “di pervenire al ristoro del danno nella sua interezza” (v. Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972).

Preso atto che le Tabelle di Milano sono andate nel tempo assumendo e palesando una “vocazione nazionale”, in quanto recanti i parametri maggiormente idonei a consentire di tradurre il concetto dell’equità valutativa, e ad evitare (o quantomeno ridurre) – al di là delle diversità delle condizioni economiche e sociali dei diversi contesti territoriali- ingiustificate disparità di trattamento che finiscano per profilarsi in termini di violazione dell’art. 3 Cost., comma 2, questa Corte è pervenuta a ritenerle valido criterio di valutazione equitativa ex art. 1226 c.c. delle lesioni di non lieve entità (dal 10% al 100%) conseguenti alla circolazione (v. Cass., 7/6/2011, n. 12408; Cass., 30/6/2011, n. 14402).

Le tabelle, siano esse giudiziali o normative, costituiscono dunque strumento senz’altro idoneo a consentire al giudice di dare attuazione alla clausola generale posta all’art. 1226 c.c. (v. Cass., 19/5/1999, n. 4852).

Come questa Corte ha già avuto modo di porre in rilievo, si è al riguardo per lungo tempo esclusa la necessità per il giudice di motivare in ordine all’applicazione delle tabelle in uso presso il proprio ufficio giudiziario, essendo esse fondate sulla media dei precedenti del medesimo, e avendo la relativa adozione la finalità di uniformare, quantomeno nell’ambito territoriale, i criteri di liquidazione del danno (v. Cass., 2/3/2004, n. 418), dovendo per converso adeguatamente motivarsi la scelta di avvalersi di tabelle in uso presso altri uffici (v. Cass., 21/10/2009, n. 22287; Cass., 1/6/2006, n. 13130; Cass., 20/10/2005, n. 20323; Cass., 3/8/2005, n. 16237).

Essendo la liquidazione del quantum dovuto per il ristoro del danno non patrimoniale inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimazione, si escludeva altresì che l’attività di quantificazione del danno fosse di per sè soggetta a controllo in sede di legittimità, se non sotto l’esclusivo profilo del vizio di motivazione, in presenza di totale mancanza di giustificazione sorreggente la statuizione o di macroscopico scostamento da dati di comune esperienza o di radicale contraddittorietà delle argomentazioni (cfr. Cass., 19/5/2010, n. 12918; Cass., 26/1/2010, n. 1529).

In particolare laddove la liquidazione del danno si palesasse manifestamente fittizia o irrisoria o simbolica o per nulla correlata con le premesse in fatto in ordine alla natura e all’entità del danno dal medesimo giudice accertate (v. Cass., 16/9/2008, n. 23725; Cass., 2/3/2004, n. 4186; Cass., 2/3/1998, n. 2272; Cass., 21/5/1996, n. 4671).

La Corte Suprema di Cassazione è peraltro successivamente pervenuta a radicalmente mutare tale orientamento.

La mancata adozione da parte del giudice di merito delle Tabelle di Milano in favore di altre, ivi ricomprese quelle in precedenza adottate presso la diversa autorità giudiziaria cui appartiene, si è ravvisato integrare violazione di norma di diritto censurabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (v. Cass., 7/6/2011, n. 12408), peraltro precisandosi che i parametri delle Tabelle di Milano sono da prendersi a riferimento da parte del giudice di merito ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale, ovvero quale criterio di riscontro e verifica di quella di inferiore ammontare cui sia diversamente pervenuto, essendo incongrua la motivazione che non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una quantificazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella cui l’adozione dei parametri esibiti dalle dette Tabelle di Milano consente di pervenire (v. Cass., 30/6/2011, n. 14402. E, conformemente, Cass., 20/8/2015, n. 16992; Cass., 19/10/2016, n. 21059).

Avuto in particolare riferimento al sistema delle tabelle, si è da questa Corte ulteriormente precisato che, al fine di consentire il controllo di relativa logicità, coerenza e congruità, e di evitare che la valutazione risulti sostanzialmente arbitraria non potendo al riguardo invero valorizzarsi tutto generiche ed apodittiche indicazioni, il giudice di merito deve dare adeguatamente conto dei criteri posti a base del procedimento valutativo seguito per addivenire all’adottata liquidazione, indicando il parametro standard adottato; come sia stato esso individuato; quali siano i relativi criteri ispiratori e le modalità di calcolo; quale sia l’incidenza al riguardo assegnata ai parametri considerati; le ragioni della mancata considerazione di altri parametri, a fortiori in caso di discostamento in diminuzione dal dato esibito dalle Tabelle di Milano (cfr. Cass., 4/2/2016, n. 2167).

Orbene, pur avendo nell’impugnata sentenza dato atto della sussistenza di un “accertamento conservativo del danno sottoscritto in data 2.8.2007 dal S. unitamente al geom. F.V., quale perito dell’assicurazione”, la corte di merito è – come detto – pervenuta a negare il risarcimento del danno -patrimoniale e non patrimoniale – in favore del S. per non essere stata da quest’ultimo “fornita la prova dell’ammontare dello stesso”, al riguardo argomentando dalla ravvisata impossibilità di attribuirsi “alcuna rilevanza probatoria in ordine al quantum” del danno, non integrando esso “alcun riconoscimento di debito” da parte dell’assicurazione e in quanto inidoneo a costituire “prova certa” dell'”ammontare del danno”.

Sulla base cioè di una motivazione intrinsecamente ed irredimibilmente illogica e giuridicamente erronea, come già più sopra posto in rilievo.

Atteso che del danno non patrimoniale richiesto e del danno patrimoniale futuro come sopra esposto la determinazione non può che rispondere a una valutazione equitativa ex art. 1226 c.c., la ravvista mancanza di prova risulta invero del tutto immotivata e dalla corte di merito in termini assolutamente apodittici affermata, senza invero spiegare perchè non abbia dato ingresso alla valutazione equitativa del danno, oltre che per i tipi di danno per i quali essa è indefettibilmente necessaria, anche con riferimento al danno patrimoniale, e perchè non si sia inteso a quest’ultimo riguardo ritenuto possibile prendere in considerazione il suindicato “accertamento conservativo del danno”.

Con il 1 motivo il ricorrente in via incidentale denunzia violazione dell’art. 1898 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè “omesso esame” di fatto decisivo per la decisione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con il 2 denunzia violazione dell’art. 2697 c.c., art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 3 motivo denunzia violazione dell’art. 2043 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 4 motivo denunzia violazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Con il 5 denunzia violazione degli artt. 115,345 c.p.c., artt. 2043,2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 6 motivo denunzia violazione dell’art. 1719 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 7 motivo denunzia violazione dell’art. 1719 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con l’8, il 10 e l’11 motivo denunzia violazione dell’art. 2043 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 9 motivo denunzia violazione dell’art. 2055 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 12 motivo denunzia violazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Con il 13 motivo denunzia violazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Il ricorso è inammissibile.

Va anzitutto osservato che esso risulta formulato in violazione del requisito a pena di inammissibilità richiesto all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nel caso non osservato laddove viene dal ricorrente operato il riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (in particolare, all'”atto notificato il 21.2.2008″, alla propria comparsa di costituzione e risposta nel giudizio di 1 grado, alla comparsa di costituzione e risposta nel giudizio di 1 grado della sig. Sa.An., alla comparsa di costituzione e risposta nel giudizio di 1 grado della società Axa Assicurazioni s.p.a., alle “memorie art. 183 c.p.c., comma 6”, alla sentenza del giudice di prime cure, all’atto di gravame del S., alla propria comparsa di costituzione e risposta nel giudizio di 2 grado, alla “denuncia dell’avv. G.I. per la falsa testimonianza del 24.2.10”, al “documento già in atti – allegato al verbale di primo grado”, al “documento, depositato in atti (nel fascicolo di primo grado, denominato “Procura della Repubblica di Roma Verbale di sommarie informazioni di persona sottoposta alle indagini procedimento 21243/10, alla pg. 2)”, alla “confessione (o, sconfessione), effettuata dal F., innanzi all’Autorità penale”, all'”accertamento tecnico da lui operato”, alle “condizioni di polizza”alla “lettera del 5.9.2007”, al “comportamento processuale della Axa”, al “mandato ricevuto dal G. per l’amministrazione del condominio”, alle dichiarazioni del “teste Cortellazzi”, al “documento n. 7 della comparsa di risposta (fascicolo primo grado)”, al “contratto assicurativo”, alla “richiesta di risarcimento (doc. 11 fascicolo primo grado)”, all'”incarico ad uno studio fiduciario esterno -lo studio F. (doc. 12 fascicolo primo grado)”, al “doc. 13 fascicolo primo grado”, al “doc. 14 fascicolo primo grado”) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente (per la parte strettamente d’interesse in questa sede) riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti (v., in particolare, il “documento già in atti -allegato al verbale di primo grado”, all’art. 27 delle “condizioni di polizza”; alle “memorie art. 183, comma 6, n. 1”), senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v. Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (v. Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34469; Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

A tale stregua non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

L’accertamento in fatto e la decisione dalla corte di merito adottata e nell’impugnata decisione rimangono pertanto dall’odierno ricorrente non idoneamente censurati.

I requisiti di formazione del ricorso per cassazione ex art. 366 c.p.c. vanno invero indefettibilmente osservati, a pena di inammissibilità del medesimo.

Essi rilevano infatti ai fini della giuridica esistenza e conseguente ammissibilità del ricorso, assumendo pregiudiziale e prodromica rilevanza ai fini del vaglio della relativa fondatezza nel merito, che in loro difetto rimane invero al giudice imprescindibilmente precluso (cfr. Cass., 6/7/2015, n. 13827; Cass., 18/3/2015, n. 5424; Cass., 12/11/2014, n. 24135; Cass., 18/10/2014, n. 21519; Cass., 30/9/2014, n. 20594; Cass., 5 19/6/2014, n. 13984; Cass., 20/1/2014, n. 987; Cass., 28/5/2013, n. 13190; Cass., 20/3/2013, n. 6990; Cass., 20/7/2012, n. 12664; Cass., 23/7/2009, n. 17253; Cass., 19/4/2006, n. 9076; Cass., 23/1/2006, n. 1221).

E’ al riguardo appena il caso di osservare come risponda a principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità che i requisiti di formazione del ricorso vanno sempre ed indefettibilmente osservati, anche in ipotesi di non contestazione ad opera della controparte (quando cioè si reputi che una data circostanza debba ritenersi sottratta al thema decidendum in quanto non contestata: cfr. Cass., 6/7/2015, n. 13827; Cass., 18/3/2015, n. 5424; Cass., 12/11/2014, n. 24135; Cass., 18/10/2014, n. 21519; Cass., 30/9/2014, n. 20594; Cass., 19/6/2014, n. 13984; Cass., 20/1/2014, n. 987; Cass., 28/5/2013, n. 13190; Cass., 20/3/2013, n. 6990; Cass., 20/7/2012, n. 12664; Cass., 23/7/2009, n. 17253; Cass., 19/4/2006, n. 9076; Cass., 23/1/2006, n. 1221), ovvero allorquando come nella specie la S.C. è (anche) “giudice del fatto”, giacchè come questa Corte ha già avuto più volte modo di precisare (v., con particolare riferimento all’ipotesi della revocazione ex art. 391 bis c.p.c., Cass., 28/7/2017, n. 1885; relativamente a quella dell’error in procedendo ex art. 112 c.p.c. cfr. Cass., Sez. Un., 14/5/2010, n. 11730; Cass., 17/1/2007, n. 978), in tali ipotesi la Corte di legittimità diviene giudice anche del fatto (processuale), con potere-dovere di procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali, preliminare ad ogni altra questione si prospetta invero pur sempre l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che solo quando questa sia stata accertata diviene possibile esaminarne la fondatezza, sicchè esclusivamente nell’ambito di tale valutazione la Corte Suprema di Cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (v. Cass., 23/1/2006, n. 1221, e, conformemente, Cass., 13/3/2007, n. 5836; Cass., 17/1/2012, n. 539, Cass., 20/7/2012, n. 12664, nonchè, da ultimo, Cass., 24/3/2016, n. 5934, Cass., 17/2/2017, n. 4288; Cass., 28/7/2017, n. 18855).

Va per altro verso posto in rilievo come al di là della formale intestazione dei motivi la ricorrente deduca in realtà doglianze (anche) di vizio di motivazione al di là dei limiti consentiti dalla vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053), nel caso ratione temporis applicabile, sostanziantesi nel mero omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche come nella specie l’omessa e a fortiori l’erronea valutazione di determinate emergenze probatorie (cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, conformemente, Cass., 29/9/2016, n. 19312).

L’inammissibilità del ricorso preclude pertanto la relativa disamina nel merito (come invero non si dubita in caso d’inammissibilità del ricorso per tardività, irrilevante essendo che lo stesso possa essere eventualmente fondato, tale non potendo in realtà esso propriamente mai dirsi, atteso che come sopra esposto – il relativo accertamento rimane in ogni caso in limine precluso).

Senza sottacersi, che a sostegno del 4, del 9 e del 12 motivo non risultano invero sviluppati argomenti in diritto con i contenuti richiesti dal combinato disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, essendosi il ricorrente limitato a muovere apodittiche doglianze prive di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, appalesandosi invero nulle per inidoneità al raggiungimento dello scopo, sicchè quanto dedotto dal ricorrente si risolve in realtà nella proposizione di “non motivi” (cfr. Cass., 8/1/2010, n. 120; Cass., 29/8/2019, n. 21793; Cass., 28/8/2018, n. 21246; Cass., 12/6/2018, n. 15190).

Attesa la fondatezza del ricorso principale nei termini e limiti più sopra indicati dell’impugnata sentenza, dichiarato inammissibile il ricorso incidentale, s’impone pertanto la cassazione in relazione, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, che in diversa composizione procederà a nuovo esame, facendo dei suindicati disattesi principi applicazione.

Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie p.q.r. il ricorso principale, dichiara inammissibile l’incidentale. Cassa in relazione l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 15 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2021

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