Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28303 del 11/12/2020

Cassazione civile sez. III, 11/12/2020, (ud. 14/10/2020, dep. 11/12/2020), n.28303

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18986/2017 proposto da:

TERMEX SRL, IN LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

PANAMA N. 86, presso lo studio dell’avvocato VALERIO BARTOCCI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANDREA VIANI;

– ricorrente –

e contro

T.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 137/2017 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 01/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/10/2020 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

la Termex s.r.l. in liquidazione ha proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi, corredati da memoria, avverso la sentenza n. 137 del 2017 della Corte di appello di Genova, esponendo che:

– un lodo arbitrale del 2011 aveva deciso una controversia tra la deducente e la T.G. avente ad oggetto due contratti, del 1998 e del 1999, con cui la seconda società, quale usufruttuaria di un fabbricato industriale, lo aveva concesso in locazione alla ricorrente;

– gli arbitri avevano dichiarato la risoluzione di entrambi i contratti a far data dalla domanda, 17 febbraio 2010, condannando, per quanto ancora qui rileva, al conseguente rilascio dell’immobile;

– la T.G. s.r.l. aveva chiesto e ottenuto la dichiarazione di esecutorietà del lodo e l’apposizione della formula esecutiva;

– T.G. aveva invece notificato personalmente precetto per il rilascio;

– la deducente aveva quindi proposto opposizione al precetto, deducendo che il titolo esecutivo non poteva essere azionato coattivamente da parte di soggetto diverso da quello in esso indicato quale titolare attivo dell’obbligazione, e, inoltre, spedito in forma esecutiva in favore di quest’ultimo;

– aggiungeva la deducente che, successivamente ai contratti di locazione, era intervenuto, nel 2004, ulteriore accordo tra le parti e lo stesso T.G., che legittimava la conduttrice a restare nella detenzione dell’immobile;

– il Tribunale aveva rigettato l’opposizione, con pronuncia confermata dalla Corte di appello secondo la quale la cessazione dell’usufrutto aveva dato luogo a una successione “ex lege” nel contratto di locazione che restava opponibile al proprietario nei limiti di cui all’art. 999 c.c., sicchè il titolo esecutivo era spendibile dal successore anche se spedito in forma esecutiva in favore del dante causa e precedente locatore, mentre tutte le altre questioni, proprie del merito sotteso, antecedenti la formazione del titolo medesimo, non erano esaminabili in sede di opposizione a precetto;

Rilevato che:

con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 999,2908 c.c., art. 475 c.p.c., art. 12 preleggi, poichè la Corte di appello avrebbe errato ricostruendo il consolidamento dominicale per cessazione dell’usufrutto quale fenomeno successorio, così come nel mancare di considerare che, pur ipotizzando che il titolo fosse spendibile nei termini assunti, avrebbe comunque dovuto chiedersi la spedizione della formula esecutiva da parte del precettante;

con il secondo motivo si prospetta l’omesso esame di un fatto decisivo e discusso poichè la Corte di appello avrebbe mancato di vagliare che nel lodo azionato si era pronunciata la risoluzione del rapporto locatizio a far data dalla domanda, ovvero dal 17 febbraio 2010, sicchè, al momento dell’accertata cessazione dell’usufrutto, 31 dicembre 2010, non poteva esservi stato alcun subentro nel contratto di locazione ormai sciolto;

con il terzo motivo si prospetta l’omesso esame di un motivo di appello nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c. e della L. n. 392 del 1978, art. 27, poichè la Corte territoriale avrebbe mancato di vagliare la persistenza dell’accordo del 2004 – non inficiato dal lodo e peraltro richiamato anche da successiva scrittura del 2006 – con cui le parti avevano stabilito che, in mancanza di un acquisto dell’immobile, sarebbe stato stipulato nuovo contratto locatizio con canone rimesso, se necessario, a un arbitratore, cui infatti si era rivolta la deducente, ferma la debenza di un rateo comunque stabilito in 7.500,00 Euro mensili dal 1 gennaio 2006 sino al 31 ottobre 2006, che dimostrava la legittima detenzione della conduttrice per una durata che non poteva essere inferiore a quella imperativamente stabilita in sei anni dalla legge;

con il quarto motivo si prospetta l’omesso esame di un fatto decisivo e discusso poichè la Corte di appello avrebbe mancato di considerare che la scrittura del 2004 non era stata esaminata dagli arbitri che si erano limitati a pronunciarsi sulle locazioni degli anni 1998 e 1999;

Rilevato che:

il primo motivo di ricorso è infondato;

il fenomeno successorio dal lato attivo nella titolarità della situazione sostanziale, verificato prima dell’instaurazione del processo esecutivo, è regolato dagli artt. 474 e 475 c.p.c.;

si ritiene anche in dottrina che il termine successione sia utilizzato in forma generica e comprenda, come del resto non vi sarebbe ragione logica per escludere, sia la successione attiva “inter vivos” che “mortis causa” (cfr. Cass., 16 febbraio 1968, n. 551, Cass., 27 gennaio 1981, n. 610; arg. ex Cass., 14/02/2013, n. 3643, p. 3.1);

nella fattispecie deve quindi valutarsi se si tratti, o meno, di un fenomeno successorio inteso come traslazione del diritto, concetto su cui si fondano le conclusioni appena richiamate;

la risposta dev’essere positiva;

infatti, alla cessazione dell’usufrutto e suo consolidamento in piena proprietà, il titolare della nuda proprietà, a norma dell’art. 999 c.c., comma 2, richiamato dalla Corte territoriale, succede legalmente nel rapporto locatizio che, entro limiti volti a contemperare i diritti dominicali con quelli del conduttore (Cass., 26/05/2011, n. 11602), “continua” (o “dura”, come si esprime il comma 1);

ne consegue che il titolo esecutivo non può ritenersi inutilmente dato rispetto al successore legale dal lato attivo;

la censura relativa alla spedizione in forma esecutiva è (ammissibile, posta la risultante tempestività, rilevabile d’ufficio salvo – qui mancante – giudicato interno ostativo, e) parimenti infondata;

l’art. 475 c.p.c., comma 2, prevede che la spedizione in forma esecutiva del titolo giudiziale o equiparato, possa essere effettuata indifferentemente a favore della parte a beneficio della quale è stato pronunciato il provvedimento o dei suoi successori;

l’unica condizione posta dalla norma è che sia fatta menzione, in calce alla formula esecutiva apposta, del nominativo della persona in favore della quale è rilasciata la copia esecutiva;

l’art. 476 c.p.c., comma 1, prescrive, poi, che non possono essere spedite in forma esecutiva in favore della stessa parte più copie del titolo;

la disposizione è preordinata a impedire che il creditore, avendo a disposizione più copie dello stesso titolo con la formula esecutiva, possa procedere a un incontrollato esercizio dell’azione esecutiva;

il divieto di spedizione del titolo in forma esecutiva in plurime copie non è dunque assoluto, ma riguarda ciascuna parte in favore della quale è stato pronunciato il titolo stesso: ciò significa che potranno essere spedite in forma esecutiva tante copie dello stesso titolo quanti siano i titolari, attivi dell’obbligazione, mentre la copia rilasciata con la formula dovrà essere unica in favore di ogni titolare attivo, laddove per tale s’intende ciascuna persona a favore della quale il titolo è stato emesso ovvero il successore che subentra nella stessa posizione di diritto (cfr. Cass., 05/01/1998, n. 53);

il secondo motivo è inammissibile;

la censura non si misura con la ragione decisoria, fondata sulla considerazione che, in pendenza della cognizione sottesa al titolo, fosse cessato l’usufrutto, determinando la successione legale prima ricostruita;

non rileva pertanto, in questa chiave, che, all’esito di quella cognizione, sia stato adottato un provvedimento che abbia risolto a far data precedente il rapporto oggetto di successione legale;

il terzo e quarto motivo, da esaminare congiuntamente per connessione, sono in parte inammissibili, in parte infondati;

va premesso che risulta violato l’art. 366 c.p.c., n. 6, nella misura in cui non è riportato compiutamente il motivo di appello invocato;

l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, per cui il ricorrente non è dispensato dall’onere di dettagliare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale precisazione dev’essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, a norma dell’art. 366 c.p.c., n. 6, sicchè il ricorrente non può limitarsi a rinviare all’atto in parola o riportarne un segmento, ma deve riportarne il contenuto nella compiuta misura necessaria alla verifica (cfr. Cass., 25/09/2019, n. 23834, Cass., 29/09/2017, n. 22880);

ciò posto, nel merito le critiche non colgono nel segno; la ricorrente sostiene che il Collegio arbitrale, con il lodo del 2011:

– aveva esaminato la scrittura del 2004, che avrebbe legittimato la persistenza della detenzione in qualità di conduttrice della deducente, ma – non ne avrebbe tenuto conto rispetto alla pronuncia circoscritta ai contratti di locazione del 1998 e 1999;

si tratta, per ciò stesso, di questioni afferenti alla cognizione sottesa al titolo avente ad oggetto il complessivo rapporto locatizio tra le parti, secondo il dedotto e deducibile dalle stesse, e come tali non riesaminabili diversamente dal giudice dell’opposizione esecutiva per riconfigurare il titolo infine adottato, secondo quanto correttamente affermato dalla Corte di appello;

il ricorso dev’essere rigettato;

non risultando attività difensiva dell’intimato non deve provvedersi sulle spese.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2020

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