Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2830 del 09/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 09/02/2010, (ud. 26/11/2009, dep. 09/02/2010), n.2830

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. BARDOVAGNI Paolo – Consigliere –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 7625-2005 proposto da:

L.C.I.A., elettivamente domiciliata in ROMA

PIAZZA CAVOUR, presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIORDANO FRANCO con studio in

TORINO VIA M. POLO 32-BIS, (avviso postale), giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI TORINO (OMISSIS) in

persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrenti –

avverso la decisione n. 275/2004 della COMM. TRIBUTARIA CENTRALE di

ROMA, depositata il 19/01/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/11/2009 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decisione del 26/10/2004 la Commissione Tributaria Centrale accoglieva il gravame interposto dall’Ufficio delle II.DD. di Torino nei confronti della pronunzia della Commissione Tributaria di 2^ grado di Torino del 22/1/1996 di accoglimento, a conferma della pronunzie emesse dalla Commissione Tributaria di 1^ grado di Torino, delle riunite opposizioni spiegate dalla contribuente sig. L. C.I.A. contro cartelle esattoriali emesse nei suoi confronti, quale socia della società Promoven s.n.c, a titolo di ILOR per gli anni d’imposta dal 1983 al 1986, nonchè a titolo di IRPEF per gli anni d’imposta dal 1984 al 1988, per redditi di partecipazione quale socia della detta società, all’esito di accertamenti a carico di quest’ultima.

Avverso la suindicata decisione della Commissione Tributaria Centrale la contribuente L.C. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 4 motivi.

Resistono con controricorso il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia delle entrate.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1^ motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2291 e 2304 c.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Nel premettere che “siccome per le imposte di cui sono soggetti passivi le società in nome collettivo, la responsabilità solidale dei soci ex art. 2291 c.c. è sussidiaria, non possono trovare applicazione nei loro confronti i principi della solidarietà tributaria enunciati dalla sentenza n. 48 della Corte Costituzionale”, lamenta che “La circostanza di non essersi potuto soddisfare sul patrimonio sociale, non solo non è stata dedotta e provata dall’Ufficio, ma non è stata neppure allegata, con conseguente decadenza da tale attività”, e “inammissibilità delle richieste di corresponsione di tributi ad un singolo socio da parte dell’Amministrazione finanziaria”.

Con il 2^ motivo denunzia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, artt. 19, 145 e 156 c.p.c., art. 24 Cost., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta che ®L’aver eseguito la “notifica” di un avviso di mora relativo ad una società in nome collettivo alla residenza o al domicilio del socio, anzichè nella sede della società o quanto meno nel luogo ove essa svolge l’attività comporta la nullità dell’avviso di mora o quanto meno la inesistenza e/o nullità della notificazione dello stesso, mancando l’atto dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 2″.

Si duole che la notifica dell’avviso di mora non sia stato nel caso preceduto della notifica della cartella di pagamento, dall’intestazione della quale non risultava neppure l’aggiunta effettuata dall’esattore “e per esso L.C.A.I.”.

Con il 3^ motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 23 e 24 Cost., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole dell'”assoluta insufficienza della motivazione della sentenza impugnata”.

Con il 4^ motivo denunzia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che relativamente all’IRPEF, benchè avesse “eccepito la nullità delle cartelle di pagamento n. 491945 e n. 491916 per mancata indicazione dell’imposta richiesta, degli anni di riferimento e delle somme di denaro dovute, la Commissione Tributaria centrale avrebbe dovuto sostenere la validità delle predette cartelle con adeguata motivazione”, laddove “in realtà nella parte motiva della pronuncia impugnata non vi è neppure il minimo accenno alla questione relativa all’irpef”.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Va anzitutto osservato il 1^ motivo di ricorso, là dove viene fatto riferimento alla “circostanza di non essersi potuto soddisfare sul patrimonio sociale, non solo non è stata dedotta e provata dall’Ufficio, ma non è stata neppure allegata, con conseguente decadenza da tale attività”, risulta connotato, come eccepito dai controricorrenti, da profili di novità, dalla decisione impugnata non emergendo che la medesima sia stata invero prospettata in sede di impugnazione di merito.

L’odierna ricorrente omette al riguardo sia di indicare in quale atto abbia dedotto la questione in quel giudizio di merito, sia in quale atto l’abbia poi se del caso riproposta all’attenzione del giudice del gravame.

A tale stregua, risulta dalla ricorrente non osservato il fermo principio posto da questa Corte secondo cui qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata nè indicata nelle conclusioni ivi epigrafate, il ricorrente che riproponga la questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (v. Cass., 28/07/2008, n. 20518; Cass., 19/10/2007, n. 21978; Cass., 31/08/2007, n. 18440).

Va ulteriormente posto in rilievo che i motivi risultano invero formulati in violazione del principio di autosufficienza.

Come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare, i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa, con – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito.

Sebbene l’esposizione sommaria dei fatti di causa non deve necessariamente costituire una premessa a sè stante ed autonoma rispetto ai motivi di impugnazione, è tuttavia indispensabile, per soddisfare la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, che il ricorso, almeno nella parte destinata alla esposizione dei motivi, offra, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonchè delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il ricorso, senza necessità di attingere ad altre fonti, ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di merito, la sentenza impugnata ed il ricorso per cassazione (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass., 17/4/2000, n. 4937; Cass., 22/5/1999, n. 4998).

E’ cioè indispensabile che dal solo contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del “fatto”, sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la i portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (v.

Cass., 4/6/1999, n. 5492).

Allorquando con quest’ultimo viene come nella specie denunziato vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto, non è infatti sufficiente una doglianza meramente apodittica e non seguita da alcuna dimostrazione, la stessa non consentendo alla Corte di legittimità di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali la pronunzia impugnata è fatta oggetto di censura (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 15/2/2003, n. 2312; Cass., 21/8/1997, n. 7851).

Orbene, il suindicato principio risulta invero non osservato dall’odierna ricorrente.

Già sotto l’assorbente profilo dell’autosufficienza, va posto in rilievo che la medesima fa richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito (in particolare, alle “richieste di corresponsione di tributi ad un singolo socio da parte dell’Amministrazione finanziaria”; alle eccezioni e le difese di controparte; all'”avviso di mora relativo ad accertamenti effettuati ai fini ilor”; alle “cartelle esattoriali relative ad accertamenti eseguiti ai fini irpef”; all'”atto costitutivo della società”; alla “quota di partecipazione della ricorrente”; al “fatto che la medesima non avesse più contatti con la società stessa dal 1985; alla “notifica al solo Casu delle cartelle esattoriali”; alle “argomentazioni della sentenza della Commissione Tributaria Regionale”; all’eccezione di “nullità delle cartelle di pagamento n. (OMISSIS) per mancata indicazione dell’imposta richiesta, degli anni di riferimento e delle somme di denaro dovute”), limitandosi a meramente rinviare agli atti del giudizio di merito, senza invero debitamente riprodurli nel ricorso.

A tale stregua la ricorrente non pone questa Corte nella condizione di effettuare il richiesto controllo (anche in ordine alla tempestività e decisività dei denunziati vizi), da condursi sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Le doglianze si presentano d’altro canto inammissibilmente formulate in termini apodittici, e la critica alle soluzioni adottate dal giudice di merito nell’impugnato provvedimento risulta operata invero non già mediante puntuali contestazioni delle soluzioni stesse nell’ambito d’una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate, bensì mediante la mera contrapposizione – in sede di legittimità invero non consentita – di queste ultime a quelle poste a base dell’impugnata sentenza.

A tale stregua, anzichè denunziare vizi della decisione gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni dell’odierna ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., n. 4, si risolvono nella mera doglianza circa l’asseritamente erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Come risulta invero sintomaticamente confermato dalla circostanza che la ricorrente denunzia anche vizi di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (3^ e 4^ motivo), laddove risponde a principio consolidato in giurisprudenza di legittimità che il ricorso per cassazione avverso le decisioni della Commissione tributaria centrale (rese nel regime del processo tributario disciplinato dal D.P.R. n. 636 del 1972) è proponibile solo ai sensi dell’art. 111 Cost., sicchè sono deducibili, con tale rimedio straordinario, soltanto i vizi di violazione di legge, e non anche quelli di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (v. Cass., 29/01/2008, n. 1938; Cass., 05/08/2002, n. 11684; Cass., 05/08/2002, n. 11684).

Emerge allora evidente come, lungi dal censurare la decisione per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., la ricorrente in realtà solleciti, contro ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

All’inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2010

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