Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2830 del 02/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 02/02/2017, (ud. 06/10/2016, dep.02/02/2017),  n. 2830

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICO Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14714-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

TONY AIRWAYS S.R.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 891/08/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di MILANO, emessa il 18/12/2013 e depositata il

20/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ENRICO MANZON.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., osserva quanto segue.

La CTR di Milano accoglieva l’appello della “Toni Airways srl” avverso la sentenza n. 274/24/2012 della CTP di Milano che aveva respinto il ricorso della predetta contribuente ed aveva così confermato l’avviso di accertamento per IVA-IRES-IRAP relativo all’anno 2005.

La CTR osservava in particolare che risultava evidente che l’atto impositivo era basato su presunzioni non valide, posto che il comportamento elusivo deve risultare da un insieme di elementi oggettivi tali da far escludere che l’operazione possa spiegarsi altrimenti che con il conseguimento di meri vantaggi fiscali e che la prova dell’intento elusivo deve essere rigorosamente fornita onde evitare che l’istituto dell’abuso del diritto finisca per diventare elemento di intrusione nelle libere scelte dell’imprenditore; rilevava quindi che non avendo l’Ufficio fornito detta prova, l’appellante aveva per contro provato che non vi era stato alcun intento elusivo e nessun utilizzo illecito di forme giuridiche per realizzare indebiti vantaggi, “ma solo scelte aziendali con risultati finali positivi”.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo due motivi.

La parte contribuente non si è difesa.

Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, – l’Agenzia fiscale ricorrente lamenta violazione/falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., poichè la CTR non si è pronunciata sulla sua eccezione preliminare di inammissibilità dell’appello sia perchè l’appellante si era tardivamente costituita in giudizio sia perchè non aveva depositato l’atto di impugnazione presso la segreteria della CAP. Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, – la ricorrente si duole di violazione/falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, commi 1-2, art. 53, comma 2, poichè la CTR ha comunque disatteso ovvero male applicato le specifiche prescrizioni date da tali disposizioni legislative come condizioni di ammissibilità dell’appello.

Le censure, da esaminarsi congiuntamente per stretta connessione, sono fondate.

Va premesso e ribadito che “In tema di “errores in procedendo”, non è consentito alla parte interessata di formulare, in sede di legittimità, la censura di omessa motivazione, spettando alla Corte di cassazione accertare se vi sia stato, o meno, il denunciato vizio di attività, attraverso l’esame diretto degli atti, indipendentemente dall’esistenza o dalla sufficienza e logicità dell’eventuale motivazione del giudice di merito sul punto. Nè il mancato esame, da parte di quel giudice, di una questione puramente processuale può dar luogo ad omissione di pronuncia, configurandosi quest’ultima nella sola ipotesi di mancato esame di domande o eccezioni di merito” (Sez. 1, Sentenza n. 22952 del 10/11/2015, Rv. 637622) ovvero altresì che “Il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale (nella specie, il difetto di legittimazione “iure hereditario”) non è suscettibile di dar luogo al vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, ma può configurare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c. se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte” (Sez. 6 – 2, Sentenza n. 321 del 12/01/2016, Rv. 638383).

Ciò posto, tuttavia il vizio procedurale denunziato dall’Agenzia fiscale ricorrente è di tutta evidenza.

Infatti è pacifico che l’appello è stato notificato il 18 dicembre 2012, mentre la costituzione dell’appellante è avvenuta il 5 febbraio 2013, dunque senza dubbio tardivamente, essendo il termine correlativo fissato dal combinato disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, art. 22, commi 1-2, a pena di inammissibilità – quello di giorni 30.

Inoltre risulta incontestato che non sia stata depositata copia del gravame presso la segreteria della CTP, il che è causa concorrente di inammissibilità D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 53, comma 2, seconda parte, ratione temporis vigente.

Il ricorso va dunque accolto, la sentenza impugnata va cassata con contestuale declaratoria di inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 3, seconda parte.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e dichiara inammissibile l’appello.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2017

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